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In attesa di Giustizia: trattative in corso

E’ ancora fresco di stampa il dispositivo letto dalla Corte d’Assise di Palermo nel processo c.d. “Trattativa Stato-Mafia”, durato anni e distribuito in oltre duecento udienze: per la motivazione si dovrà ancora attendere e, forse, allora si potrà commentare con maggiore attenzione. Ma solo forse, se è vero che uno dei difensori ha dovuto prendere un appartamento in affitto esclusivamente per riporvi atti di indagine e verbali processuali: insomma, per non fare chiacchiere da Bar Sport, una conoscenza puntuale del quadro accusatorio sarebbe fondamentale sebbene quasi impraticabile per chi non abbia avuto un ruolo attivo nel processo stesso.

Qualche limitato considerando, che serva – se non altro – a stimolare una  riflessione tuttavia, si può provare a fare nel mentre che dei cittadini hanno riportato una condanna a dodici anni di reclusione, asseritamente per avere negoziato il “cessate il fuoco” della criminalità organizzata a fronte di un ammorbidimento del carcere duro, competenza del Ministro Guardasigilli, imposto ad esponenti della mafia.

Personalmente, premetto, ho sempre mostrato diffidenza nei confronti di evidenti eccessi investigativi: la prova di un fatto, se c’è, si caratterizza per essenzialità e chiarezza: diversamente quella che si propone altro non può essere che una sommatoria di dati evanescenti difficilmente idonei (proprio per tale caratteristica) a far superare la soglia del ragionevole dubbio. E’ come addizionare degli zeri: il risultato è analogo.

A mo’ di esempio, basterà ricordare gli oltre cinquecento testimoni chiamati a deporre sul famoso bacio tra Riina e Andreotti e l’esito di quel processo.

Fatta questa ampia premessa, le domande da porsi, se il teorema dovesse reggere, sono più di una:

se anche l’ex Presidente della Corte Costituzionale, illustre giurista e uomo retto, all’epoca Ministro della Giustizia, Giovanni Conso se non fosse morto nel frattempo avrebbe dovuto essere processato e condannato dal momento che fu lui a  sospendere i 41 bis;

se vi fossero anche altri apparati dello Stato (forse tutti) che non potevano non sapere e – quindi – dovrebbero esserne inquisiti quantomeno i vertici, avendo condiviso l’iniziativa;

se, ammesso che sia accaduto veramente, negoziare coi delinquenti per evitare danni alla nazione o sangue innocente è un crimine perché quando la Farnesina “tratta” coi terroristi musulmani per riscattare la vita di un sequestrato non viene indagato il Ministro degli Esteri e insieme a lui i funzionari operativi della Unità di Crisi;

se, guardando indietro, la scelta di Andreotti di una linea dura con le BR ai tempi del sequestro Moro, lasciando così che lo uccidessero, ha evitato all’uomo politico ed ai suoi Ministri e collaboratori una successiva incriminazione e condanna.

Pur sempre limitati dal fatto di non avere un quartierino dove stipare le carte e andarle a studiare, intanto che almeno a queste domande proviamo a dare una risposta, a Palermo Giustizia è stata fatta. O, almeno, così dicono.

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