Attualità

La finanza speculativa affonda la Deutsche Bank

Una delle cause è la conversione della banca da commerciale a banca d’investimento speculativo

La Deutsche Bank è la prima banca tedesca. Dall’inizio dell’anno le sue azioni hanno perso oltre il 40% del loro valore. Le iniziative prese dal management per arrestare questo tracollo non hanno portato fino ad ora a nessun risultato che abbia eliminato le cause della disfatta. Una delle quali – e probabilmente la più importante – è stata la conversione della banca da commerciale a banca d’investimento speculativo, come tra l’altro, è successo a diverse grandi banche europee, comprese quelle italiane. A nulla, fino ad ora, sono valse le richieste di separare nelle banche  la funzione commerciale da quella speculativa, come era avvenuto negli USA con il “Glass-Steagall Act” del 1933 (il senatore Carter Glass e il deputato Henry B. Steagall) per far fronte alla crisi del 1929. La legge fu abrogata il 12 novembre 1999 dal presidente Bill Clinton. L’abrogazione ha permesso la costituzione di gruppi bancari che, al loro interno, permettono, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l’attività bancaria tradizionale, sia l’attività assicurativa e di investment banking. Anche le banche europee hanno seguito l’esempio di quelle americane e non si può certamente affermare che anch’esse non abbiano patito le conseguenze di questa non separazione. La crisi finanziaria del 2008 ne è stata una riprova. La diffusione eccessiva dei derivati, anche in banche senza patrimoni corrispondenti, ha dimostrato la debolezza del sistema e la necessità di porvi rimedio. Uno di questi era rappresentato dalla separazione delle funzioni ed il ritorno ai principi del Glass-Steagall Act. L’on. Muscardini, ad esempio, ha chiesto insistentemente questa separazione nel corso di due decenni, ma la Commissione europea si è detta non disposta a un simile provvedimento. Tutto il sistema bancario europeo, ancora oggi, corre il rischio di nuove crisi. Di fronte a queste prospettive l’UE ha cambiato parere? La situazione della Deutsche Bank suona un nuovo campanello d’allarme, anche nel settore dei derivati. Tutto questo è ben spiegato nell’articolo di Paolo Raimondi e Mario Lettieri pubblicato l’8 giugno su Italia Oggi, che siamo ben lieti di riprendere interamente per i lettori de Il Patto Sociale, ringraziando l’autore e l’editore.

Parlare della situazione finanziaria della Deutsche Bank, la prima banca tedesca, ci sembra doveroso. Non tanto per ributtare oltralpe la palla dello scandalo e della polemica pretestuosa, ma per affrontare insieme una sfida difficile che tocca tutta l’Unione europea e l’intero sistema bancario e finanziario internazionale. Dall’inizio dell’anno a oggi le azioni Db hanno perso oltre il 40% del loro valore. Certo, non per l’inaffidabilità del governo tedesco. Neanche per la decisione del management di operare una riduzione dell’organico di circa 10 mila dipendenti. E nemmeno per il recente abbassamento del rating fatto dall’americana Standard & Poor’s.

La vera ragione, secondo noi, è negli effetti del fallimento provocato dalla conversione della banca da commerciale a banca d’investimento speculativo. Ciò è stato candidamente ammesso da David Folkerts-Landau, l’economista capo della Db, che, in un’intervista al quotidiano economico Handelsblatt, ha affermato che dagli anni Novanta il management ha, di fatto, trasformato la banca in una specie di hedge fund speculativo di tipo anglosassone. A tutti i costi bisognava ottenere un rendimento del 25% sul capitale, «accettando di correre grossi rischi finanziari ed etici».

Fino alla fine degli anni ottanta la Db era stata la banca più impegnata nel sostegno ai grandi progetti industriali, poi, purtroppo, come hanno fatto tante altre banche, ha favorito il rischio e la speculazione rispetto all’economia reale. Tra gli analisti indipendenti alcuni dicono che, se si collega la situazione emblematica della Db alla bolla globale del debito societario, si potrebbe essere vicini a una nuova crisi di liquidità, di enormi dimensioni.

Non è casuale il fatto che recentemente la Bce abbia richiesto che la banca faccia la simulazione di uno «scenario di crisi» per valutare i costi e gli effetti sistemici della repentina cessazione del reparto di investment banking. Quel reparto che opera in derivati e in altre operazioni finanziarie ad alto rischio sui mercati di Londra e di New York. Indubbiamente la Db non è una «banchetta» qualsiasi e i suoi dirigenti si affannano a dimostrare che essa può contare, sulla carta, su alcuni elementi di garanzia, quali la notevole liquidità e un tasso di solidità, il cosiddetto Cet1, pari a 13,4%, ben oltre i livelli richiesti dalla Bce. Com’è noto, esso misura l’ammontare del capitale versato con le attività a rischio.

Tutto ciò è vero. Infatti, non è l’intera Db a rischio default, ma è la sua componente di banca d’affari a trascinare a fondo l’intero istituto. Da oltre tre anni essa registra consistenti perdite. Anche la cultura popolare sa che una mela guasta non rimossa può far marcire l’intero cesto! Basta leggere il Rapporto annuale della Deutsche Bank del 2017. Fornisce due dati impressionanti: rispetto all’anno precedente, il 2017 ha visto perdite nel settore dei derivati pari a 124,1 miliardi di euro, mentre il valore nozionale totale dei derivati è salito da 42,9 a 48,3 trilioni di euro! E di questi quasi il 90% sarebbero i «famigerati derivati over the counter (otc)», quelli negoziati fuori dei mercati regolamentati.

Per obiettività, comunque, non si può certo negare quanto sostengono i dirigenti attuali della Db. Secondo loro la banca è da qualche tempo oggetto di una «particolare attenzione» e anche di attacchi all’interno degli Stati Uniti, come se si volessero addebitare alla Db tutte le malefatte finanziarie perpetrate negli ultimi anni da tutte le banche «too big to fail», troppo grosse per fallire in primis dalla Goldman Sachs, dalla JP Morgan, ecc.

Nel settembre 2016 il Wall Street Journal riportò che il Dipartimento di Giustizia americano aveva iniziato un procedimento legale contro la Db per ottenere il risarcimento di ben 14 miliardi di dollari con l’accusa di aver utilizzato dubbie ipoteche durante la grande crisi. Naturalmente simili notizie dovrebbero essere mantenute nel riserbo assoluto per evitare conseguenze sui mercati e per arrivare a possibili patteggiamenti. Nel caso specifico, dopo l’intervento da parte del governo tedesco, si convenne di far pagare alla Db circa la metà della somma.

Intanto l’immagine della banca era già stata fortemente compromessa, tanto che oggi si parla di una sua uscita dal mercato americano. Del resto anche la Federal Reserve, nel 2017, ha avviato altre 4 azioni legali nei confronti della banca tedesca con multe per 200 milioni di dollari. Oggi, poi, la Fed rincara la dose e parla di «condizioni problematiche» in cui verserebbe la Db. Se le pratiche delle grandi banche internazionali continuano a essere distorsive dei mercati, certamente il rischio di un’ulteriore crisi diventa più concreto. È un problema globale che dovrebbe essere affrontato con urgenza, soprattutto dall’Europa.

Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia –  Paolo Raimondi, economista

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