Africa

  • Zambia uncovers ‘sophisticated’ Chinese cybercrime syndicate

    A “sophisticated internet fraud syndicate” has been uncovered in Zambia, leading to the arrest of 77 people, including 22 Chinese nationals.

    It was a “significant breakthrough in the fight against cybercrime”, the authorities said after a multi-agency raid on a Chinese-run company.

    The firm employed Zambians who believed they were to be call-centre agents.

    Among equipment seized were devices allowing callers to disguise their location and thousands of Sim cards.

    Golden Top Support Services, the company at the centre of the raid, has not commented on the allegations.

    The swoop on its premises, located in Roma, an upmarket suburb of the capital, Lusaka, was led by the Drug Enforcement Commission (DEC) and also involved the police, the immigration department and anti-terrorism unit.

    It came after months of intelligence gathering by the agencies following an alarming rise in internet fraud cases in Zambia, DEC director general Nason Banda said after Tuesday’s raid.

    He said Golden Top Support Services had recruited ” unsuspecting” Zambians aged between 20 and 25.

    They had been tasked “with engaging in deceptive conversations with unsuspecting mobile users across various platforms such as WhatsApp, Telegram, chatrooms and others, using scripted dialogues”.

    During the operation 11 Sim boxes were found – these are devices that can route calls in a way that bypasses legitimate phone networks.

    This enables them to be used “for fraudulent activities, including internet fraud and online scams”, Mr Banda said.

    More than 13,000 Sim cards – both domestic and international – were also seized, which underscored “the extent of the operation’s reach”, the DEC head said.

    An increasing number of Zambians were losing money from their bank accounts through money-laundering schemes, though this scam’s alleged “illicit operations extended beyond Zambia’s borders”, he said.

    Evidence indicated people in countries including Singapore, Peru, the United Arab Emirates (UAE) and others across Africa had been targeted.

    Two firearms and about 78 rounds of ammunition were confiscated and two vehicles, belonging to a Chinese national linked to the business, have been impounded.

    Mr Banda said the Zambian nationals had been charged and released on bail so they could help the authorities with their investigations.

    The foreign nationals – 22 Chinese men and a Cameroonian – remain in custody.

  • La storia di Hela: da cucciolo di ghepardo orfano a madre selvaggia

    Era l’agosto del 2018, quando gli incaricati del Ministero dell’Ambiente, delle Foreste e del Turismo della Namibia (MEFT) hanno recuperato quattro fratellini di ghepardo di circa quattro mesi, rimasti orfani in circostanze sconosciute.  Affidati immediatamente alle cure del Cheetah Conservation Fund di Otjiwarongo, i cuccioli, dopo i primi esami di routine, risultavano in buone condizioni fisiche e di salute. Come da prassi sono stati assegnati loro, per la distinzione tra i soggetti, i nomi di Thor, Loki, Mike e Hela, la nostra protagonista.

    Le fasi del ciclo di vita di un ghepardo sono tre: cucciolo (dalla nascita a 18 mesi), adolescenza (da 18 a 24 mesi) e vita adulta (da 24 mesi in poi). A 4 mesi di età, in natura, i cuccioli di ghepardo sono molto attivi e curiosi, apprendono velocemente dal mondo che li circonda iniziando ad esplorare il territorio seguendo ed accompagnando la madre nel quotidiano. Ogni occasione è buona per il gioco, stimolo all’attività futura di “veloci cacciatori”. In questa fase vitale, le loro unghie semi retrattili sono ancora affilate, arrampicarsi sugli alberi è una divertente attività per ottenere una visuale più lunga sull’orizzonte, oggi un gioco, e domani utile pratica per localizzare le prede in lontananza.

    È noto che la privazione precoce dell’influenza degli adulti ha effetti a lungo termine sulla possibilità di apprendimento alla vita selvaggia, poiché gli adulti svolgono un ruolo chiave nel guidare e regolare il comportamento dei giovani. I ghepardi restano accanto alla madre per 18 mesi (fase adolescenziale), quindi è probabile che l’assenza della madre possa aver provocato una perdita di apprendimento nello sviluppo delle abilità dei cuccioli recuperati. La risposta ai primi esami comportamentali dei cuccioli orfani, ha fatto ben sperare per un eventuale e potenziale rilascio in natura.

    Accolti nell’area di riabilitazione, dove le interazioni umane sono ridotte al minimo, sono stati affiancati con successo ad altri ghepardi orfani di età maggiore. Una buona reazione all’ambiente che li ha accolti, aggiunto alle scrupolose cure del personale del CCF hanno fatto sì che raggiungessero i 18 mesi forti e sani. La speranza di un ritorno in natura si faceva più tangibile. Per evitare le note zuffe fra i sessi opposti, soprattutto in fase adolescenziale, sono stati separati in gruppi maschili e femminili. Hela è stata unita ad un’altra femmina di nome Adina, e i maschi congiunti ad altri tre.

    Dopo due anni di monitoraggio nell’area di riabilitazione, confermato l’atteggiamento “selvaggio” e la percezione di “pericolo” nei confronti dell’essere umano, si è potuto finalmente confermare il rilascio in libertà di Hela. Inizialmente Adina e Hela sono state sedate per il controllo sanitario, che comprendeva la pesatura, la misurazione, il prelievo dei campioni di sangue. Dotate anche di collari satellitari per monitorarne gli spostamenti sono state accompagnate. Nella prima fase del rilascio che comprendeva il trasferimento in un “boma” di 200 ettari (area di controllo recintata per il periodo di adattamento), e successivamente, qualche mese dopo, è avvenuto il rilascio in Natura delle due femmine.

    Hela ha svolto la riabilitazione in modo straordinario, tanto da diventare un’ottima cacciatrice. Abbatteva regolarmente le prede, e il suo atteggiamento schivo nei confronti dell’essere umano la rendeva “selvaggia” a tutti gli effetti. Questo è stato uno dei motivi per cui è stata inizialmente selezionata come uno degli otto ghepardi candidati al trasferimento in India per il programma di reintroduzione Cheetah Project. Durante il controllo sanitario, prima della partenza, abbiamo scoperto che Hela era incinta, accoppiatasi certamente nel periodo passato in libertà, e si è deciso immediatamente di escluderla dal progetto, di farla partire per l’India. Lontano dalle interazioni umane e nella privacy più totale, nell’area di riabilitazione ha partorito quattro bellissimi cuccioli che ha cresciuto in modo esemplare.

    Il mese scorso (24 marzo), confermate le eccezionali attitudini di Hela si è deciso per il grande, e definitivo, ritorno della famiglia in natura. Ai cuccioli è stato riservato un controllo speciale: sono stati pesati, misurati e dotati di collari localizzatori per monitorarne gli spostamenti, e garantire loro sicurezza e nel caso di bisogno ed intervenire con le cure necessarie. Ogni cucciolo pesava tra i 32 e 35 kg.

    Il loro rilascio è andato liscio, l’istinto di Hela ha preso il sopravvento quando, una volta libera, ha subito richiamato a sé i suoi cuccioli attraverso le tipiche vocalizzazioni cosicchè ciascuno dei cuccioli si è rapidamente ricongiunto alla madre. È stato commovente vedere il legame tra “madre e cuccioli”, ed era chiaro che tutti erano pronti per iniziare la loro nuova vita in libertà. Oggi Hela caccia regolarmente per lei e ed i suoi cuccioli. Ciò che verrà trasmesso alla prole da questa madre straordinaria sarà il risultato di una nuova popolazione di ghepardi selvaggi e liberi di correre veloci nelle savane Namibiane.

    “Sono entusiasta di vedere che Hela e i suoi cuccioli hanno la possibilità di vivere nel loro habitat naturale” dice la Dott.ssa Laurie Marker, “Tutto può succedere ad Hela ed ai suoi cuccioli in natura; la sopravvivenza non è garantita. Ma, nei primi momenti dopo il rilascio, guardandola chiamare i suoi cuccioli, so che tutta la dedizione dello staff del CCF ha dato un risultato straordinario”. 

    Grazie al vostro sostegno, lavoriamo quotidianamente per rendere la natura un posto migliore sia per i ghepardi che per gli esseri umani.

  • Zimbabwe’s President Mnangagwa declares national disaster over drought

    Zimbabwe’s President Emmerson Mnangagwa has declared a national disaster to tackle the prolonged drought crisis.

    Mr Mnangagwa said on Wednesday the country needs $2bn (£1.6bn) to tackle hunger caused by low rainfall which has wiped out about half of the maize crop.

    The grain shortage has pushed up food prices and an estimated 2.7 million people will face hunger.

    Neighbouring Zambia and Malawi have also recently declared states of disasters due to drought.

    Some fear that the drought sweeping southern Africa will be one of the worst in decades.

    The World Food Programme said 13.6 million people are currently experiencing crisis level of food insecurity in the region.

    “Top on our priority is securing food for all Zimbabweans. No Zimbabwean must succumb to or die from hunger,” Mr Mnangagwa told journalists.

    Zimbabwe is already grappling with high inflation driven by food prices.

    The country now joins the regional scramble to find enough maize on the international market.

    The lack of rain induced by the El Nino global weather pattern has also affected electricity production, as Zimbabwe relies on hydroelectric power.

    Zimbabwe was once the breadbasket of southern Africa, but in recent years has suffered bouts of severe drought affecting crop and cattle.

    The worst drought in living memory occurred in 1992, when a quarter of the national cattle herd perished.

    But the dry spells have returned with increasing frequency. Droughts were declared in 2016 and again in 2019.

    Not all droughts are due to climate change, but excess heat in the atmosphere is drawing more moisture out of the earth and making droughts worse.

    The world has already warmed by about 1.2C since since the industrial era began and temperatures will keep rising unless governments around the world make steep cuts to emissions.

  • Defezione del Niger: stop all’accordo militare con gli Usa

    Il governo militare del Niger ha interrotto “con effetto immediato” l’accordo di cooperazione militare firmato con gli Stati Uniti nel 2012. L’annuncio è stato letto in un intervento trasmesso dalla televisione nazionale “Rtn” dal colonnello Amadou Abdramane, portavoce della giunta al potere dal colpo di stato dell’anno scorso, chiamata Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp). Abdramane ha spiegato che il governo nigerino “tenendo conto delle aspirazioni e degli interessi del suo popolo” ha deciso “di interrompere con effetto immediato l’accordo relativo allo status delle forze armate degli Stati Uniti” e del personale civile del dipartimento della Difesa Usa in territorio nigerino. Il portavoce ha definito la presenza militare statunitense “illegale” e in violazione di “tutte le regole costituzionali e democratiche”. Non solo: secondo Niamey è illegittimo e “ingiusto” lo stesso accordo, che sarebbe stato “imposto unilateralmente” dagli Stati Uniti, tramite una “semplice nota verbale”, il 6 luglio 2012.

    L’annuncio giunge dopo una visita di tre giorni (12-14 marzo) di una delegazione Usa guidata da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, e comprendente anche il generale Michael Langley, comandante del comando Africom. Il portavoce del governo militare di Niamey ha riferito che dalla delegazione è stata lanciata al Niger l’accusa “cinica” di aver stretto un accordo segreto per fornire uranio all’Iran e la “minaccia di ritorsioni”. Il colonnello ha contestato anche le obiezioni che gli Usa avrebbero sollevato sugli alleati scelti dal Niger, nonché il mancato rispetto del protocollo diplomatico: il Niger non sarebbe stato informato della composizione della delegazione, della data di arrivo e dell’agenda della missione.

    I militari statunitensi presenti in Niger sono più di 600. In risposta all’annuncio di Nyamey, Washington ha replicato con un post pubblicato su X del portavoce del dipartimento di Stato Usa, Matthew Miller. “Siamo a conoscenza della dichiarazione del Cnsp in Niger, che fa seguito alle franche discussioni a livello senior svoltesi questa settimana a Niamey riguardo alle nostre preoccupazioni per la traiettoria del Cnsp. Siamo in contatto con il Cnsp e forniremo ulteriori aggiornamenti come garantito”, ha scritto Miller.

    Il Niger ha precedentemente messo fine alla cooperazione militare con la Francia. Lo scorso 24 settembre il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato il ritiro del contingente ancora presente in Niger, ritiro iniziato il 5 ottobre e completato il 22 dicembre. Dal 2015 la Francia ha inviato circa 1.500 militari nel Paese africano per contribuire a contrastare l’intensificarsi dell’insurrezione jihadista. Le truppe francesi erano stanziate nella capitale Niamey e nelle basi di Ouallam e Ayorou, vicino al confine con il Mali.

    Nel Paese è presente la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin), autorizzata dal Parlamento italiano nel 2018 e istituita al fine di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto di Unione europea e Stati Uniti per la stabilizzazione dell’area, il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel e le attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio e di sviluppo della componente aerea. La missione – la cui area geografica di intervento è allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin – conta attualmente circa 350 effettivi e 13 mezzi, tutti terrestri.

    Il contingente, dislocato in un hub operativo-logistico completato nel giugno 2022 e situato all’interno dell’aeroporto di Niamey, comprende squadre di ricognizione, comando e controllo, e addestratori, da impiegare anche presso il Defense College in Mauritania, personale sanitario e del Genio per lavori infrastrutturali, squadra rilevazioni contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (Cbrn), unità di supporto, force protection, raccolta informativa, sorveglianza e ricognizione a supporto delle operazioni.

  • Africa, Piano Mattei, inquinamento

    Il Piano Mattei per l’Africa, voluto dal governo Meloni, lancia una concreta nuova prospettiva di reciproca collaborazione tra i Paesi del vasto continente africano e l’Europa, con l’Italia cinghia di propulsione.

    L’Africa è stata, ed è ancora, in parte colonizzata dalla Cina e dalla Russia, pur con sistemi diversi e diverse aree di influenza, e molti problemi stanno venendo alla luce, basti pensare alle sommosse dei lavoratori kenioti contro le imprese cinesi che li trattano con disprezzo e con salari troppo bassi rispetto ai parametri del Paese.

    Liberare l’Africa dai colonialismi significa ovviamente anche aprire un mercato alla pari con l’Europa, con regole per la produzione e la coltivazione ed una collaborazione corretta in tema di ambiente.

    Tra i maggiori problemi, la mancata soluzione dei quali ha portato ad un arresto dello sviluppo ed ad aree di estrema povertà, sono la mancanza di acqua e di adeguati sistemi, specie nelle aree urbanizzate, di smaltimento dei rifiuti.

    Il problema dell’acqua può essere risolto solo con i pozzi ed, in alcuni casi, con sistemi di desalinizzazione ed è ovvio che i pozzi andrebbero fatti direttamente dalle imprese europee, villaggio per villaggio, perché altrimenti si rischierebbe un dispendio di soldi che non corrisponderebbe alla realizzazione delle opere. non per nulla i cinesi costruiscono direttamente le infrastrutture per le quali si sono accordati con i governi africani.

    Siamo ovviamente consapevoli che nel piano Mattei è ben presente la ricchezza, sotto varie forme, come i giacimenti di varie materie di interesse strategico per l’Europa, che offre il sottosuolo africano e che il continente è anche un importante partner per l’acquisto di tecnologia europea ma non dobbiamo dimenticare il problema inquinamento.

    L’Europa si è data obiettivi ferrei, a breve scadenza, per ridurre il deterioramento dell’ecosistema dovuto a varie attività umane ma nessun risultato sarà veramente raggiunto se non si terrà conto delle discariche a cielo aperto, dei roghi di immondizie e materie tossiche che oscurano spesso il cielo dei villaggi africani, se si continueranno a mandare in Africa i nostri veicoli, privati e commerciali, da noi divenuti obsoleti perché troppo inquinanti.

    Ci sono strategie di grande portata che per essere di concreta utilità devono tenere conto anche di realtà che solo in apparenza sono meno importanti: combattere l’inquinamento in Africa è combatterlo anche per il continente europeo, per il resto del mondo.

    L’importante è avere chiara la visione d’insieme e cominciare a partire con iniziative concrete, in un certo modo potremmo dire non tanto soldi quanto attività direttamente sul luogo.

  • FGM in The Gambia: Lawmaker tables bill in parliament to lift ban

    A bill aimed at lifting the ban on female genital mutilation (FGM) has been tabled in The Gambia’s parliament by an independent lawmaker.

    It was outlawed in the mainly Muslim nation in 2015 when Yahya Jammeh was president.

    He said it was not required in Islam.

    But influential Muslim clerics have been pushing for the ban to be repealed, while women’s rights activists have vowed to campaign for it to remain in place.

    Mr Jammeh’s 22-year authoritarian rule came to an end in 2016.

    More than three-quarters of Gambian females aged between 15 and 49 have undergone FGM, according to the UN.

    In the procedure’s most severe form, after removing the sensitive clitoris, the genitals are cut and stitched closed so that the woman cannot have or enjoy sex.

    Followers of an outspoken Muslim cleric, Abdoulie Fatty, rallied in support of the bill shortly before it was introduced in parliament on Monday.

    They chanted: “Female circumcision is my religious belief, Gambia is not for sale.”

    Last year, the cleric helped pay the fines of three women who were convicted of carrying out FGM on young girls.

    At the time, The Gambia Supreme Islamic Council, the main body of Muslim clerics in the country, called for the ban to be scrapped.

    There are different views in Islam over the practice, with some leading scholars, like those in Egypt, opposing it.

    The Gambian lawmaker who is championing the bill, Almammeh Gibba, said it sought to “uphold religious purity and safeguard cultural norms and values”, the privately owned Point newspaper reported.

    He said the practice could not be described as mutilation if done properly.

    The head of The Gambia’s Female Lawyers Association, Anna Njie, said that repealing the ban would be a backward step.

    “We have no authority to tell the National Assembly what to do, but we have rights reserved in the constitution to take legal action when certain fundamental rights are violated,” she was quoted by the local Standard newspaper as saying.

    The leader of the majority party in parliament, Billay Tunkara, said it had not yet taken a decision on whether to support the bill.

    “We are taking our time because it is a very sensitive area that doesn’t only have to do with religion or cultural aspect but also human rights and health issues,” he said.

  • L’Eritrea rivendica territori in Etiopia

    Il governo dell’Eritrea sostiene che le sue truppe ancora presenti in Etiopia occupino in realtà “territori sovrani eritrei”, tornando a rivendicare una porzione di territorio contesa con Addis Abeba ai sensi dell’accordo di Algeri del 2000. Lo riferisce “The Reporter Etiopia”, precisando che Asmara fa riferimento in particolare alla città frontaliera di Badem e ad altri territori contesi sulla punta più settentrionale dell’Etiopia, zone che il governo del presidente Isaias Afwerki rivendica come eritrei. “Le truppe eritree si trovano all’interno dei territori sovrani eritrei senza alcuna presenza nella terra sovrana etiope”, si legge in una dichiarazione pubblicata lo scorso 28 febbraio dall’ambasciata eritrea nel Regno Unito ed in Irlanda, nella quale si afferma che le aree di confine sono sotto il controllo delle truppe eritree sin dal conflitto del Tigrè, durato due anni e concluso a novembre del 2022. Si tratta, si legge ancora, di “territori sovrani eritrei che il Tplf (il Fronte di liberazione popolare del Tigrè) ha occupato illegalmente ed impunemente per due decenni”.

    I termini dell’accordo di pace di Pretoria, che ha messo fine al conflitto tigrino, prevedevano il ritiro dal nord etiope delle forze alleate con il governo federale del premier Abiy Ahmed: fra queste le milizie regionali amhara, note come Fano; e le stesse truppe eritree, sebbene né le une né le altre fossero esplicitamente citate nel testo. È da questa assenza dell’Eritrea dalle trattative per l’accordo di pace, siglato a Pretoria il 2 novembre 2021, che il già precario equilibrio esistente fra Etiopia ed Eritrea dopo l’accordo di riconciliazione del 2018 si è sgretolato, portando le truppe eritree a mantenere le loro posizioni al confine ed impedendo agli abitanti di quelle zone di rientrare a casa dopo la fine del conflitto. Durante la guerra il governo etiope ha negato a lungo che le forze eritree fossero implicate nei combattimenti, nonostante ripetute denunce internazionali a questo proposito. I funzionari dell’amministrazione provvisoria del Tigrè e il suo presidente Getachew Reda denunciano da tempo al governo federale etiope quella che di fatto vivono come un’occupazione del loro territorio da parte delle forze eritree, che dopo la guerra non si sono mai ritirate oltre il confine.

    Lo scorso 28 febbraio, nel suo intervento al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il vicesegretario generale Onu per i diritti umani Ilze Brands Kehris ha dichiarato che il suo ufficio “ha informazioni credibili che la Forza di difesa eritrea (l’esercito) rimane nel Tigrè e continua a commettere violazioni transfrontaliere, vale a dire rapimenti, stupri, saccheggi di proprietà, arresti arbitrari e altre violazioni dell’integrità fisica”. Secondo l’amministrazione tigrina, peraltro, il 52 per cento delle terre della regione etiope non è ad oggi coltivabile proprio a causa della presenza delle forze eritree ed amhara, esponendo la zona ad un altissimo rischio di carestia. Come sottolineato a “Ethiopian Reporter” dal vice capo dell’Ufficio regionale dell’agricoltura del Tigrè, Adolom Berhan Harifyo, il governo federale etiope non ha pienamente attuato l’accordo di Pretoria e la maggior parte delle aree che producono alti rendimenti nella regione sono state catturate dalle forze eritree. L’effetto finale è che su una previsione di raccolto di circa 15 milioni di quintali di grano a metà dell’anno fiscale in corso è stato possibile ottenerne solo 5 milioni, ovvero il 33 per cento del totale. Nella regione tigrina ci sono complessivamente 1,3 milioni di ettari di terreno coltivabile, di cui 640mila sono stati coltivati. In tutto, nel Tigré è coltivabile il 48 per cento del territorio.

  • L’Africa e il Brics: un rapporto strategico

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su www.notiziegeopolitiche.net del 24 febbraio 2024

    Mentre l’Europa è timida rispetto ai futuri rapporti con i paesi dell’Africa, la collaborazione tra questo continente e il gruppo dei paesi Brics sta diventando sempre più operativa. L’ultimo summit del gruppo, tenutosi lo scorso settembre a Johannesburg, in Sud Africa, è stato dedicato proprio allo cooperazione con l’Africa e alle opportunità offerte dal nuovo mercato comune africano. Evidentemente se ne è sottovalutato le potenzialità.
    Nel summit si affermò a chiare lettere che “l’Area di libero scambio continentale africana (Afcfta) crea un ambiente favorevole per il commercio e gli investimenti in Africa, in particolare nello sviluppo delle infrastrutture. I paesi del Brics sono partner affidabili per la cooperazione, il commercio e lo sviluppo”. Ratificata nel 2019, l’Afcfta intende superare le barriere doganali tra i paesi africani e promuovere l’integrazione economica, monetaria e di sviluppo per l’intero continente. Oggi rappresenta già un mercato di quasi un miliardo e mezzo di persone e un pil di 2.600 miliardi di dollari.
    Anche nel 2024 l’Africa avrà una speciale attenzione da parte del Brics. La presidenza del gruppo sarà del Brasile, che coordinerà anche le attività del G20. Si rammenti che già allo scorso vertice sul clima di Nairobi, il presidente Lula aveva sposato le posizioni dell’Unione africana sulla riduzione del debito, sulla necessità di un’architettura finanziaria globale più inclusiva e “adatta allo scopo”.

    Anche Celso Amorin, consigliere speciale della presidenza brasiliana per gli affari internazionali e uno degli artefici del Brics, ha affermato che l’Africa sarà al centro della politica estera del Brasile.
    Non è un mistero che il 2024 sarà un anno pieno di insidie per il debito africano. Secondo la Banca dei regolamenti intenzionali di Basilea, il debito estero è già arrivato al 30% del pil, un terzo del quale è detenuto da banche commerciali. Quest’anno dovranno essere rinnovati titoli di debito in scadenza per oltre 200 miliardi di dollari. Nel 2023 l’inflazione media nell’Africa sub sahariana è stata del 18% e la svalutazione delle monete locali del 20% rispetto al dollaro. Questo è il quadro.
    Dopo i fallimenti del Ghana, dello Zambia e dell’Etiopia, 9 stati africani sono in grande sofferenza, 15 ad alto rischio e altri 14 a rischio moderato. I tassi d’interesse alti e un dollaro più forte sono una miscela disastrosa per i paesi poveri.
    L’Africa costituisce circa il 18% della popolazione mondiale, quota che si prevede salirà al 25% entro il 2050. Nella regione sub sahariana l’età media è di circa vent’anni. L’Africa possiede il 30% delle risorse minerarie mondiali e il 60% delle terre coltivabili inutilizzate a livello planetario.
    Negli ultimi due decenni, il focus delle esportazioni africane si è spostato verso Cina e India, con quote in calo per gli Stati Uniti e l’Unione europea.
    Perciò è’ in atto la cosiddetta “grande corsa verso l’Africa”, ricordando quella dell’oro dei secoli passati. In quest’ottica i summit bilaterali con i paesi dell’Africa sono in aumento. Dopo di quelli con la Cina, con la Russia e con l’Italia, altri sono in programma con l’Arabia Saudita, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, la Corea del sud e l’India.
    Per contrastare la crescente influenza cinese con la sua Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta, del valore di mille miliardi di dollari, l’Ue ha lanciato il proprio piano strategico d’investimenti, il Global Gateway, di cui la metà, pari a circa 150 miliardi di euro, è stata destinata al continente africano.
    I leader africani, soprattutto quelli espressi dalla società civile, sono consapevoli che questo crescente interesse è rivolto più alle materie prime che allo sviluppo del continente. Perciò si vuole dare più importanza ai rapporti con il Brics. Sempre più paesi dell’Africa ne vogliono far parte. Oggi ci sono il Sud Africa, l’Egitto e l’Etiopia, ma vorrebbero aderire anche la Nigeria, il Senegal, l’Algeria, la Repubblica democratica del Congo ed altri.
    L’Africa è consapevole che il Brics dà ai paesi del Global South la possibilità di articolare le proprie proposte e di fissare le proprie priorità, anche nei settori tecnologici. L’utilizzo delle monete locali nei commerci dovrebbe creare maggiore efficienza e risparmio. Il governo egiziano ha appena deciso l’utilizzo delle monete nazionali nei commerci come sua priorità programmatica. Una sperabile maggiore indipendenza finanziaria dovrebbe essere garantita da un sistema di pagamento panafricano che è stato sviluppato dall’Afreximbank, la banca export import nata con gli accordi Afcfta, cui le banche centrali dovrebbero aderire entro la fine del 2024 e le banche commerciali entro la fine del 2025.
    Attraverso l’azione dell’Afcfta e dell’Unione africana i rapporti con il Brics diventeranno di natura collettiva, continentale. Si auspica che il Brics possa essere un efficace ombrello protettivo per i paesi africani nei confronti di chi ha eventuali intenti predatori. E’ una speranza per l’intero mondo se vero è che il nuovo ordine economico mondiale non può che essere fondato sul multilateralismo e su una nuova architettura finanziaria globale.

    * Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista.

  • Von der Leyen e Sanchez rassicurano la Mauritania sul sostegno della Ue

    L’Unione europea intende sostenere lo sviluppo della Mauritania, passando per un aumento degli investimenti nel Paese ma anche per la cooperazione energetica, senza dimenticare la gestione dei migranti. Questo è quanto emerso dalla visita a Nouakchott della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e del presidente del governo spagnolo, Pedro Sanchez, l’8 febbraio. I due sono stati ricevuti dal capo dello Stato della Mauritania, Ould Ghazouani, con il quale si sono soffermati su diversi temi di interesse condiviso. Von der Leyen ha spiegato che l’Ue vuole rafforzare i rapporti con il Paese africano, in una prospettiva politica ed economica. “La nostra visita dimostra l’importanza del nostro partenariato con la Mauritania – ha detto von der Leyen-. Questa partnership è cresciuta negli ultimi anni in un contesto difficile. Penso, ovviamente, all’attuale instabilità del Sahel, ma anche all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e alle sue terribili conseguenze per il mondo, e per l’Africa in particolare. La vostra condanna verso questa aggressione – ha aggiunto – vi onora e ci avvicina”. “In un simile contesto, è naturale che desideriamo rafforzare ancora di più il nostro partenariato, e lo stiamo facendo oggi”, ha proseguito von der Leyen. In questa prospettiva, l’Ue intende lavorare per costruire un ecosistema di idrogeno verde nel Paese africano, sebbene per un progetto di questo tipo sia “indispensabile la prevedibilità”.

    La presidente della Commissione ha ricordato come le autorità della Mauritania abbiano lanciato nel 2020 la strategia nazionale di transizione energetica, e questa “è una coincidenza, perché esattamente nello stesso periodo, all’inizio del 2020, abbiamo lanciato il Green deal europeo, la nostra ambiziosa strategia per essere neutrali dal punto di vista climatico entro il 2050, facendo crescere la nostra economia pulita e circolare”. Una parte di questa economia “è rappresentata dall’idrogeno verde”, ha ricordato von der Leyen. “Per darvi due cifre, l’Unione europea vuole produrre dieci milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030 a livello nazionale, ma sappiamo anche che dovremo importare altri dieci milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030. Quindi dobbiamo lavorare molto duramente a livello nazionale, ma abbiamo anche bisogno di partner all’estero”, ha rilevato la funzionaria tedesca, aprendo alla possibile cooperazione con la Mauritania in materia.

    Intervenendo in conferenza stampa con von der Leyen e Ghazouani, Sanchez ha ricordato come il Paese africano svolga “un ruolo fondamentale come referente per la stabilità democratica del Sahel”, una regione “cruciale per la Spagna e per l’Europa”. Il premier iberico ha evidenziato come il Paese africano sia vittima delle conseguenze dell’instabilità economica dell’area. “La Spagna e la Mauritania condividono molti obiettivi come la lotta al terrorismo, la ricerca di un’immigrazione ordinata, regolare e sicura e l’emergenza climatica”, ha proseguito il capo dell’esecutivo di Madrid. “La prosperità è il maggiore investimento per la sicurezza e la stabilità di tutta la regione”, ha aggiunto Sanchez prima di citare una serie di nuovi impegni assunti dal governo spagnolo nei confronti della Mauritania.

    Il primo di questi impegni è la firma di un accordo di cooperazione allo sviluppo da 60 milioni di euro per progetti da attuare nei prossimi quattro anni, oltre a 40 milioni di euro aggiuntivi per altre iniziative che saranno individuate insieme alla Banca mondiale per gli investimenti. In secondo luogo, attraverso la collaborazione delle imprese spagnole, saranno mobilitati nei prossimi anni 200 milioni di euro in particolare in progetti di viabilità e di energie rinnovabili. Sanchez ha infine evidenziato come il fenomeno dell’immigrazione irregolare colpisca con particolare intensità i due Paesi. Per questa ragione, il premier ha annunciato un rafforzamento dei progetti di collaborazione già esistenti attraverso, soprattutto, il controllo delle frontiere.

  • Accordo da 105 milioni tra Italia e Senegal

    Nel quadro del vertice Italia-Africa, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, e il ministro dell’Economia, della pianificazione e della cooperazione del Senegal, Doudou Ka, hanno firmato il “Programma di partenariato Senegal-Italia 2024-2026”, che prevede interventi nei settori prioritari dello sviluppo rurale, dell’occupazione, del settore privato e della formazione professionale, dell’istruzione, dell’ambiente e della digitalizzazione. L’impegno finanziario di 105 milioni di euro, si legge in un comunicato dell’ambasciata d’Italia a Dakar, conferma il sostegno italiano agli sforzi del Senegal per uno sviluppo sostenibile e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare. Attraverso un forte partenariato politico, economico, culturale e scientifico, i due Paesi si impegnano a promuovere la pace, la stabilità, lo sradicamento della povertà e l’emancipazione economica e sociale delle fasce più vulnerabili della popolazione. Il nuovo Programma, sostenuto dalla Cooperazione italiana, conferma questa visione condivisa e questo impegno reciproco, aprendo nuove aree di cooperazione e l’utilizzo dei più moderni progressi tecnologici.

    Il Programma ha l’obiettivo di sostenere il governo del Senegal nell’attuazione del suo piano di sviluppo economico e sociale in modo sostenibile e inclusivo, intervenendo nei settori prioritari dello sviluppo rurale, dell’occupazione, del settore privato e della formazione professionale, dell’istruzione e dell’ambiente, oltre che della digitalizzazione. Mira inoltre a combattere le cause profonde della migrazione irregolare, in particolare creando opportunità di istruzione, integrazione socioprofessionale e prospettive economiche, migliorando la governance del fenomeno e garantendo un ritorno, una riammissione e una reintegrazione efficaci e sostenibili dei migranti. In particolare, il Programma intende contribuire a colmare il divario di competenze dei giovani e dei gruppi più vulnerabili e a sostenere opportunità di lavoro che promuovano la stabilità, la crescita economica inclusiva, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile, con un approccio teso a massimizzare il potenziale della migrazione come fattore abilitante per lo sviluppo sostenibile della società senegalese.

    Il Programma ribadisce la centralità di un approccio sistemico che vede la partecipazione, accanto agli attori statali, di rappresentanti della società civile, della cooperazione decentrata e del settore privato italiano e senegalese. Determinante anche il ruolo svolto da altri attori delle realtà territoriali italiane (associazioni di migranti/diaspora, università), che fungeranno da indispensabile anello di congiunzione nelle relazioni con le comunità territoriali senegalesi. Il sostegno finanziario sarà fornito principalmente attraverso programmi bilaterali gestiti dai vari ministeri senegalesi attraverso la concessione di un dono per un valore complessivo di 45 milioni di euro ed un credito d’aiuto di un valore complessivo di 60 milioni di euro. Gli impegni multilaterali italiani sosterranno anche le azioni condotte dalle organizzazioni internazionali che operano nei settori interessati.

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