Coldiretti

  • Coldiretti cerca firme per una petizione sulle etichette alimentari

    Coldiretti sollecita a firmare entro il 2 ottobre la petizione “Eat original! Unmask your food” per chiedere alla Commissione Ue di estendere l’obbligo di indicare l’origine in etichetta a tutti gli alimenti. Promossa dalla stessa Coldiretti assieme a Fnsea (il maggior sindacato agricolo francese), Ocu (la più grande associazione di consumatori spagnola), Solidarnosc (storico sindacato polacco), Upa (l’Unione dei piccoli agricoltori in Spagna), Slow Food, Gaia (associazione degli agricoltori greci), Campagna amica, Fondazione Univerde, Green protein (ONG svedese), la petizione deve essere supportata dai cittadini di almeno 7 Paesi dell’Ue. I promotori puntano ad arrivare a un milione di firme e si prefiggono, come recita Coldiretti, di «mettere all’angolo multinazionali e lobbies del Nord Europa e spingere la Commissione a valorizzare l’origine dei prodotti agricoli e garantire un giusto reddito agli agricoltori».

     

  • Coldiretti teme un’invasione di formaggi italian sounding dagli Usa

    Coldiretti teme che gli Usa vogliano invadere l’Europa con imitazioni a stelle e strisce dei formaggi europei (negli Stati Uniti solo i tarocchi di formaggi italiani hanno raggiunto il quantitativo record di 2,4 miliardi di chili all’anno). Una lettera inviata al presidente Donald Trump nell’ambito della procedura di consultazione per far scattare nuovi dazi Usa nei confronti di prodotti importati dall’Unione Europea per la disputa sull’industria aeronautica, che si è conclusa il 28 maggio, l’associazione casearia statunitense chiede di imporre dazi alle importazioni di formaggi europei se non verrà aperto il mercato dell’Unione ai tarocchi statunitensi venduti anche con nomi che richiamano esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese anche se – sottolinea Coldiretti – a differenza delle produzioni Dop quelle statunitensi non rispettano i rigidi disciplinari di produzione dell’Unione Europea (che definiscono tra l’altro, le aree di produzione, il tipo di alimentazione e modalità di trasformazione).

    La produzione di imitazioni dei formaggi italiani in Usa secondo l’analisi Coldiretti su dati Usda ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni ed è realizzata per quasi i 2/3 in Wisconsin e California mentre lo Stato di New York si colloca al terzo posto. In termini quantitativi in cima alla classifica c’è la mozzarella con 1,89 miliardi di chili, seguita dal parmesan con 204 milioni di chili, dal provolone con 180 milioni di chili, dalla ricotta con 108 milioni di chili e dal Romano con 26 milioni di chili. Il risultato è che sul mercato americano appena l’1% in quantità dei formaggi di tipo italiano consumati ha in realtà un legame con la realtà produttiva tricolore mentre il resto è realizzato sul suolo americano. Una situazione che rischia di aggravarsi con la minaccia di Trump di imporre dazi su una black list di prodotti europei che comprende anche i formaggi Made in Italy con il valore dell’export che ha raggiunto 273 milioni nel 2018.

    Invero nel mirino del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è finita circa la metà (50%) degli alimentari e delle bevande Made in Italy esportate in Usa dove nel 2018 si è registrato il record per un valore di 4,2 miliardi (+2%). Nella black list sotto esame sono finiti infatti oltre ai formaggi anche vini tra i quali il Prosecco ed il Marsala, l’olio di oliva, gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici.

  • L’Europa deve proteggere meglio i propri prodotti e produttori agricoli

    Tra le molte iniziative che l’Italia dovrebbe prendere nel futuro Parlamento europeo vi sono anche quelle legate alla tutela dei prodotti alimentari, sia come garanzia per i consumatori che per rispetto dei produttori. Bisognerebbe ad esempio definire che la parola formaggio si riferisce solo a un prodotto che nasce direttamente dal latte, latte che dovrebbe essere tracciato in maniera più trasparente. Oggi molti formaggi, anche prodotti in Italia, derivano da latte non italiano o da prodotti ricavati dal latte (caglio) che possono destare serie perplessità rispetto ai modi coi quali sono stati prodotti. Il finto made in Italy rimane uno dei gravi problemi europeo e mondiale e troppe multinazionali riversano in Italia un latte di provenienza non definita. Se è vero che il 40% del latte consumato in Italia è un latte indistinto, come sostiene la Coldiretti. Se del latte è indistinta la provenienza, di conseguenza è indistinta la provenienza di ciò che è alla base del formaggio, cioè proprio il latte. L’Italia produce 110 milioni di quintali di latte e ne importa 86 milioni, la conseguenza di questa importazione, oltre alla mancata garanzia circa la provenienza, significa per l’Italia una perdita di 17mila mucche e 1200 occupati in agricoltura. Dal 2007 un allevamento italiano su 5 è stato chiuso e sono stati persi 32mila posti di lavoro. Se pensiamo inoltre che circa la metà dei nostri allevamenti di mucche da latte è in zone collinari, montane o svantaggiate, comprendiamo bene come l’aumento dell’importazione di latte da altri Paesi, con conseguente perdita di allevamenti italiani, comporta anche l’abbandono di aree collinari o svantaggiate con i conseguenti disastri ambientali e territoriali che ben conosciamo. Mentre da un lato il consumo di latte anche quando è in aumento rimane comunque stabile, il prezzo continua a calare rendendo quindi per gli agricoltori onesti più difficile continuare nell’attività.

    Oltre al problema latte, vi è il problema delle agromafie, il cui business supera i 24 miliardi, secondo un rapporto di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità presentato il 14 febbraio 2019. Se a questa cifra si aggiunge l’italian sounding sembra si arrivi a un valore sui 130 miliardi, tre volte superiore a quello del nostro export, a dire del presidente di Coldiretti. Se la Ue non deciderà di avere un Osservatorio sulla qualità e sicurezza dei prodotti, per monitorare e contrastare le agromafie, il problema esploderà non solo dal punto di vista economico ma anche sanitario. Bisogna eliminare il segreto sui flussi commerciali per rendere finalmente trasparente i nomi delle imprese che importano le materie prime dall’estero, infatti solo nel 2017-18 vi è stato un aumento del 58% delle frodi che hanno coinvolto diversi prodotti (dal vino al pomodoro).

    La lotta alle ecomafie passa anche da un migliore sistema di distribuzione e da un diverso e più efficace controllo dei container che arrivano nei porti.

    L’Europa sembra abbia intrapreso la strada di contrastare i monopoli che acquistano per conto della grande distribuzione strozzando i produttori agricoli, ma la strada è ancora lunga e ci sembra che, salvo rare eccezioni, le forze politiche e i candidati al Parlamento europeo siano poco interessati a prepararsi per la prossima legislatura attraverso una conoscenza reale dei problemi e un progetto che, al di là delle appartenenze partitiche, difenda e sostenga il sistema Italia in agricoltura.

  • Italia verso l’autarchia nella produzione di riso

    L’obbligo di indicare l’origine in etichetta farà aumentare le semine di riso Made in Italy per circa 3500 ettari nel 2019, secondo quanto emerge da una analisi della Coldiretti divulgata in occasione della presentazione dell’iniziativa “Abbiamo riso per una cosa seria” organizzata insieme alla Focsiv a favore dell’agricoltura familiare in Italia e nel mondo.

    A un anno dall’entrata in vigore, nel febbraio 2018, dell’obbligo di indicare la provenienza in etichetta, la coltivazione di riso in Italia riguarderà 220.670 ettari  (secondo l’ultimo sondaggio dell’Ente Risi a marzo), in controtendenza rispetto agli ultimi tre anni, che hanno portato a perdere quasi 20.000 ettari di superfici seminate a riso (già nel 2018 le importazioni di riso straniero sono crollate del 24%, scendendo a 180 milioni di chili, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat).

    In Europa l’Italia è il primo produttore di riso con 1,40 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da circa 4mila aziende che copre il 50% dell’intera produzione Ue con una gamma varietale del tutto unica. Alla valorizzazione della produzione nazionale ha contributo anche lo stop all’invasione di riso asiatico nell’Ue, tramite i dazi imposti da metà gennaio 2019 sulle importazioni provenienti da Cambogia e Birmania/Myamar (quest’ultima ritenuta peraltro responsabile di gravi violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione Rohinya, una minoranza etnica di religione musulmana).

    Nel dettaglio sono previsti dazi solo sul riso Indica lavorato e semilavorato per un periodo non superiore a tre anni, con un valore scalare dell’importo da 175 euro a tonnellata nel 2019, a 150 euro a tonnellata nel 2020 fino a 125 euro a tonnellata nel 2021 ma è possibile una proroga ove sia giustificata da particolari circostanze. Secondo i primi dati aggiornati alla fine di marzo della Commissione Europea, i numeri dimostrano che la clausola di salvaguardia inizia a fare effetto. Le importazioni di semilavorato e lavorato da Cambogia e Myanmar nel mese di marzo in Europa sono calate di 24mila tonnellate (16.000 a fronte delle 40.000 registrate a febbraio e delle 54.000 tonnellate di gennaio).

    Si tratta di una esperienza che dimostra l’importanza della trasparenza dell’informazione ai consumatori per salvare il consumo di suolo in un Paese come l’Italia dove nel 2019 sono scomparsi 100mila ettari di terra coltivata, pari alla superficie di 150mila campi da calcio, a causa del consumo di suolo e della cementificazione ma anche del mancato riconoscimento del lavoro degli agricoltori e dei bassi prezzi pagati per i prodotti agricoli nazionali per la concorrenza sleale delle importazioni low cost di prodotti dall’estero.

  • Coldiretti spaventata dai dazi di Trump

    Coldiretti e Filiera Italia lamentano che i dazi (per 11miliardi di dollari) che gli Usa meditano di introdurre nei confronti dell’Unione Europea comprendono anche importanti prodotti agricoli e alimentari di interesse nazionale come i vini, tra i quali il Prosecco ed il Marsala, formaggi, ma anche l’olio di oliva, gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici tra gli alimentari e le bevande colpite.

    Nel mirino di Donald Trump in particolare è finita, secondo Coldiretti e Filiera Italia, circa la metà (50%) degli alimentari e delle bevande Made in Italy protagoniste di Tuttofood, la World Food Exibition alla Fiera di Milano dal 6 al 9 maggio.

    Gli Usa, ricorda lo studio di Filiera Italia e Coldiretti, sono il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari. Se con un valore delle esportazioni di 1,5 miliardi di euro nel 2018 il vino è il prodotto Made in Italy più colpito, in pericolo ci sono anche altri prodotti simbolo dell’agroalimentare nazionale a partire dall’olio di oliva con le esportazioni che nel 2018 sono state pari a 436 milioni, ma ad essere minacciati sono anche i formaggi italiani che valgono 273 milioni. E’ il caso del Pecorino Romano con gli Usa che rappresentano circa i 2/3 del totale export mentre per Grana Padano e Parmigiano Reggiano gli Usa sono il secondo paese per importanza, dopo la Germania.

  • Dazi ed etichette fanno impennare le quotazioni del riso italiano

    A un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine del riso aumentano fino al 75% le quotazioni dei raccolti Made in Italy rilevate da una analisi della Coldiretti (che ha fortemente sostenuto la nuova normativa sull’obbligo di indicare la provenienza in etichetta entrata in vigore nel febbraio 2018). Secondo lo studio, le quotazioni nell’arco di un anno sono aumentate del 70% per la varietà Arborio che ha raggiunto i 520 euro a tonnellata, mentre per il Selenio l’incremento è stato addirittura del 75% con 490 euro a tonnellata. Variazioni positive anche per tutti gli altri risi Made in Italy: dal Roma +54% al Sant’Andrea +49%, dal Carnaroli + 55% al Vialone Nano +32% fino al Lungo B +20%.

    L’indicazione in etichetta dell’origine per il riso deve riportare le diciture “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di lavorazione” e “Paese di confezionamento”. Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine del riso”, seguita dal nome del Paese. In caso di riso coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture “UE”, “non UE”, ed “UE e non UE”.

    Alla valorizzazione della produzione nazionale ha contributo anche lo stop all’invasione di riso asiatico nell’Unione europea che da metà gennaio 2019 ha messo dazi sulle importazioni provenienti da Cambogia e Birmania, con un valore scalare dell’importo da 175 euro a tonnellata nel 2019, a 150 euro a tonnellata nel 2020 fino a 125 euro a tonnellata nel 2021 (è possibile una proroga ove sia giustificata da particolari circostanze).

    “Si tratta del risultato della mobilitazione della Coldiretti nelle piazze italiane e nelle sedi istituzionali che ha portato al via libera all’etichetta Made in Italy a  livello nazionale mentre Bruxelles ha riconosciuto il danno economico generato dai volumi di importazioni di riso, che nell’arco dal 2011/12 al 2017/18 sono aumentati del 256% giustificando l’attivazione della clausola di salvaguardia e lo stop alle agevolazioni a dazio zero” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre lavorare per estenderli anche al riso non lavorato. Un obiettivo che – ha continuato Prandini – potrebbe arrivare presto a seguito della verifica in atto da parte dell’Unione Europea sul deterioramento dello stato dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori nel Myamar che potrebbe determinare l’avvio di una procedura per la sospensione del regime preferenziale EBA, come già accaduto alla Cambogia, che porterebbe al ripristino strutturale dei dazi anche per il riso non lavorato”.

    L’Italia in Europa è il primo produttore di riso con 1,40 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da circa 4mila aziende di 219.300 ettari, che copre circa il 50 % dell’intera produzione Ue con una gamma varietale del tutto unica.Riso Coldiretti

  • Eni e Coldiretti insieme per la prima rete italiana di biometano agricolo

    Alleanza tra Eni e Coldiretti per sviluppare la filiera italiana del biometano agricolo e favorire la mobilità sostenibile in un’ottica di economia circolare. Un accordo di collaborazione sancisce lo sviluppo della produzione di biometano grazie agli scarti e sottoprodotti ottenuti dall’agricoltura e dagli allevamenti col quale alimentare una rete di rifornimento per il biometano agricolo (l’obiettivo è una produzione di 8 miliardi di metri cubi di gas “verde” entro il 2030).

    I mini impianti per il biometano possono arrivare a coprire fino al 12% del consumo di gas in Italia mentre Eni ha già convertito due raffinerie tradizionali in bioraffinerie nell’ottica della decarbonizzazione dei trasporti. In base all’accordo, Coldiretti, che con 1,6 milioni di associati è la maggiore organizzazione di rappresentanza degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo, si occuperà di diffondere tra le aziende associate un modello di gestione dei sottoprodotti e degli scarti agricoli affinché siano valorizzate come materie prime nella produzione di biometano; Eni metterà in campo azioni finalizzate a concretizzarne la produzione, il trasporto e l’immissione sia nella rete di vendita territoriale che in reti dedicate alle stesse imprese associate, nonché a offrire agli associati di Coldiretti proposte dedicate per l’uso di carburanti alternativi a basse emissioni di anidride carbonica dei mezzi utilizzati per le attività agricole.

    Il biometano deriva dal biogas, fonte energetica rinnovabile, che può essere prodotto e consumato nella forma di gas naturale compresso (GNC) o di gas naturale liquefatto (GNL) e può contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra.

  • Meno risorse alla politica agricola comune della Ue e Coldiretti protesta

    «Le ipotesi di taglio alla Politica Agricola Comune (Pac) sono insostenibili in un settore chiave per vincere le nuove sfide che l’Unione (Ue) deve affrontare, dai cambiamenti climatici, all’immigrazione, alla sicurezza», afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel commentare le proposte di riforma della Pac presentate dal Commissario Europeo all’agricoltura Phil Hogan che secondo alcune analisi sui dati della Commissione potrebbero far perdere all’Italia circa 2,7 miliardi a prezzi correnti rispetto all’attuale periodo di programmazione.

    Ricordando che «l’ipotesi di riduzione dei fondi è stata giustamente bocciata dal Parlamento Europeo oltre che dagli stessi cittadini dell’Unione che per il 90% sostengono la politica agricola a livello comunitario per il ruolo determinante per l’ambiente, il territorio e salute secondo la Consultazione pubblica promossa dalla stessa Commissione europea», Coldiretti sostiene che «soprattutto preoccupa l’impatto negativo di questa riduzione di bilancio sui redditi degli agricoltori impegnati a garantire i migliori standard di qualità, sanitari ed ambientali». E afferma ancora: «Occorre mantenere il budget al livello attuale in prezzi costanti e garantire una più equa distribuzione delle risorse tra gli Stati superando gli squilibri che hanno caratterizzato il passato. Solo in questo modo si potranno cogliere gli elementi positivi pur presenti nella proposta di Riforma che vanno dal maggiore sostegno ai giovani agricoltori all’importanza della sostenibilità, dall’attenzione al concetto di vero agricoltore fino al maggior peso del lavoro, anche familiare, e dei criteri socioeconomici per la ridistribuzione interna dei pagamenti diretti».

  • Con i tagli alla Pac a rischio 35 miliardi di risorse

    La spesa per la Politica agricola comune (primo e secondo pilastro) rischia di subire un taglio pesante. Il bilancio 2021-2027 presentato dalla Commissione europea il 2 maggio scorso prevede uno stanziamento totale di 1.279,408 miliardi di euro con un aumento di 192 miliardi e un contributo nazionale dell’1,1% del reddito nazionale lordo Ue 27 (1% nella precedente programmazione).

    Per quanto riguarda l’agricoltura, alla voce 3 del nuovo documento finanziario “Risorse naturali e ambientali” è assegnato un budget di 378,920 miliardi di cui 286 miliardi per spese di mercato e pagamenti diretti e 79 miliardi per lo sviluppo rurale, in calo rispetto all’attuale dote della Pac pari a 400 miliardi. Il taglio è dunque di 35 miliardi con una flessione rispetto all’attuale documento finanziario del 9,5% se si considera lo stanziamento totale e del 7% per i soli aiuti Pac e misure di mercato.

    Intanto ci sarà una revisione del greening con una maggiore finalizzazione ai temi ambientali attraverso il rafforzamento della condizionalità per i pagamenti diretti. Verrà costituita una nuova riserva di crisi, nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia e l’accesso sarà possibile se a livello nazionale sarà messa a punto una strategia che preveda strumenti come quelli assicurativi.

    Una manovra che non piace al presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, che sottolineato coma “a pagare il conto della Brexit non può essere l’agricoltura che è un settore chiave per vincere le nuove sfide che l’Unione deve affrontare, dai cambiamenti climatici, all’immigrazione, alla sicurezza. Indebolire l’agricoltura, che è l’unico settore realmente integrato dell’Unione, significa minare le fondamenta della stessa Ue in un momento particolarmente critico per il suo futuro”.

    I prossimi passi saranno la presentazione da parte della Commissione delle proposte dettagliate quindi, dopo il via libera dal Parlamento europeo, l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio. L’obiettivo è di chiudere il negoziato prima delle prossime elezioni europee.

    Fonte: Il Punto Coldiretti del 3 maggio 2018

  • Accordo Ue-Messico per eliminare i dazi sulle transazioni commerciali

    Dove c’è un dazio, la Coldiretti c’è. Dopo essersi opposta all’accordo Usa-Ue, poi abortito, e a quello Canada-Ue, che ha consentito a 41 marchi protetti (Doc, Docg) di essere riconosciuti e tutelati oltreoceano, la Coldiretti contesta l’accordo raggiunto, dopo quasi due anni di trattative, tra la Commissione europea e il governo messicano, un accordo politico che prevede la rimozione del 99% dei dazi, delle tariffe e in generale delle barriere commerciali applicate ai prodotti europei (tra cui la pasta e formaggi come il gorgonzola), nonché il riconoscimento di 340 Igp (Indicazione geografica protetta) che vengono così messe al riparo da imitazioni e contraffazioni.

    Definendo “scelta autolesionista” l’intesa, l’associazione ha annunciato di voler promuovere una “mobilitazione popolare per fermare il cibo falso”, lamentando che il Messico potrà “produrre e vendere oltre il 90% degli 817 prodotti a denominazione di origine nazionali riconosciuti in Italia e nell’Ue come il Parmesano, i salamini e il vino Dolcetto ‘Made in Messico’.

    Per il ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda invece l’accordo rappresenta una “importante novità” ed è un “passo importante verso l’affermazione di un principio di relazioni commerciali internazionali basate su di una equa ripartizione dei benefici del commercio e sul rispetto di alti standard sociali ed ambientali”, ancor più ora che “nuove spinte protezionistiche si affacciano all’orizzonte” ed è “forte il bisogno di governare la globalizzazione”.

    L’interscambio di beni e servizi tra Ue e Messico vale circa 77 miliardi di euro e le esportazioni dell’Unione verso il partner americano hanno raggiunto i 48 miliardi di euro (l’Italia esporta per 4 miliardi e registra un attivo commerciale di 3,3 miliardi). Dal 2000, cioè dall’entra in vigore della prima intesa commerciale bilaterale, l’interscambio tra Ue e Messico è cresciuto del 148%.

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