Dazi

  • Tregua tra Usa e Ue su acciaio e alluminio: Bruxelles ferma le tariffe

    Cambio di passo tra Washington e Bruxelles sul fronte dei dazi. Dopo le tariffe decise dall’ex presidente statunitense Donald Trump, l’avvento di Joe Biden sembra aver ripristinato venti d’intesa. L’Unione europea sospenderà infatti temporaneamente il previsto aumento dei dazi su acciaio e alluminio statunitense. Lo annuncia una nota congiunta, spiegando che è stata riconosciuta da entrambi la “necessità di soluzioni efficaci che preservino le nostre industrie rilevanti”. Washington e Bruxelles “hanno concordato di tracciare un percorso che ponga fine alle controversie del Wto dopo l’applicazione delle tariffe statunitensi sulle importazioni dall’Ue”.

    Era stato Trump a firmare nel 2018 lo storico decreto che imponeva dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio che entrano negli Stati Uniti. In risposta l’Ue aveva reagito con dazi del 25% su prodotti iconici Usa tra cui bourbon, jeans e motociclette Harley Davidson. Proprio queste tariffe avrebbero dovuto essere rinnovate automaticamente il prossimo 1 giugno. L’accordo raggiunto alcuni giorni fa tra Usa e Ue “ci dà spazio per trovare soluzioni comuni a questa controversia e affrontare l’eccesso di capacità globale”, ha scritto su Twitter il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, che ha anche la delega al Commercio.  Lo sforzo con la controparte statunitense è definire un accordo “entro fine anno”, ha aggiunto. “Possiamo preservare le nostre industrie fondamentali e trovare soluzioni efficaci entro la fine dell’anno”, ha sottolineato anche la Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti Katherine Tai.

    Lo stop ai dazi tra Washington e Bruxelles è senz’altro una buona notizia per le industrie che necessitano di acciaio e alluminio, o almeno per quelle del Vecchio continente che denunciano difficoltà di approvvigionamento. In occasione dell’intesa i diplomatici Usa e Ue hanno riconosciuto l’impatto sulle loro industrie derivante dall’eccesso di capacità globale guidato in gran parte da terze parti come – e soprattutto – la Cina. “Le distorsioni che derivanti da questa capacità in eccesso rappresentano una seria minaccia per le industrie dell’acciaio e dell’alluminio dell’Ue e Usa orientate al mercato e per i lavoratori di tali industrie”, si legge in un comunicato congiunto delle parti che “hanno convenuto che, poiché gli Stati Uniti e gli Stati membri dell’Ue sono alleati e partner, condividendo interessi di sicurezza nazionale simili a quelli delle economie democratiche e di mercato, possono collaborare per promuovere standard elevati, affrontare le preoccupazioni condivise e mantenere paesi come la Cina che sostengono la distorsione del commercio politiche da tenere in considerazione”, sottolineano.

  • Biden ricuce con l’Ue sospendendo i dazi per il caso Boeing-Airbus

    Joe Biden tende la mano a Bruxelles per il rilancio della partnership e avvia il disgelo nella guerra dei dazi con la Ue, rottamando un’altra eredità di Donald Trump e dando una nuova boccata d’ossigeno ai mercati drammaticamente depressi dalla pandemia, compreso il Made in Italy. Usa e Ue hanno infatti concordato una tregua, sospendendo per quattro mesi le reciproche tariffe legate alla disputa sui rispettivi sussidi statali ai due maggiori costruttori mondiali di aerei, Boeing e Airbus.

    E’ stata la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a dare l’annuncio per prima, dopo una telefonata con il presidente americano: “Come nuovo inizio per la nostra partnership, abbiamo deciso di sospendere tutte le tariffe relative alle controversie Airbus-Boeing su aeromobili e prodotti non aerei per un periodo iniziale di 4 mesi. Ci siamo anche impegnati a risolvere queste controversie”, ha detto, riferendo di aver proposto inoltre un “Consiglio per il commercio e la tecnologia a livello ministeriale per affrontare le sfide dell’innovazione” e di aver invitato Biden al vertice mondiale sulla salute a Roma il 21 maggio.

    L’intesa è stata ufficializzata poco dopo anche dalla Casa Bianca, secondo cui il presidente americano ha ribadito il suo impegno ha “riparare e rivitalizzare la partnership Usa-Ue” e a “coordinarsi su questioni di comune interesse, compresa Cina, Russia, Bielorussia, Ucraina e i Balcani occidentali”. Biden ha anche sottolineato l’importanza di una stretta cooperazione Usa-Ue per contenere la pandemia di Covid-19 e potenziare la sicurezza sanitaria globale, perseguire una ripresa economica globale sostenibile, affrontare la crisi climatica e rafforzare la democrazia”. Insomma, piena e ritrovata sintonia tra Washington e Bruxelles.

    La tregua è finalizzata a negoziare un accordo finale che metta fine a una disputa lunga 17 anni, durante i quali non sono mancati momenti di tensione e scontro. Soprattutto durante la presidenza Trump, che aveva ignorato le richieste europee per arrivare ad una intesa, preferendo cavalcare la sua guerra commerciale anche con gli alleati europei. Il braccio di ferro aveva portato all’imposizione di dazi, autorizzati dal Wto, per un valore complessivo di 11,5 miliardi di dollari: 7,5 miliardi di dollari da parte americana nell’ottobre 2019 e 4 miliardi di dollari da parte di Bruxelles l’anno successivo, come misura ritorsiva dopo i falliti tentativi di negoziati. Le tariffe si erano abbattute su settori strategici, dall’industria ai beni di consumo. L’Italia aveva pagato il prezzo più alto nel comparto food, anche se Trump non aveva infierito più di tanto sul Made in Italy. Secondo le ultime stime della Coldiretti, i dazi Usa colpivano le esportazioni agroalimentari italiane per un valore di circa mezzo miliardo di euro su prodotti come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi, agrumi, succhi, cordiali e liquori come amari e limoncello. Graziato invece il vino tricolore, a differenza di quelli francesi e tedeschi. Ma non c’è dubbio che la tregua ora rilancerà export e consumi per tutti. A partire dall’Italia: gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco extra-Ue per i nostri prodotti agroalimentari, con un fatturato record di quasi 5 miliardi di euro l’anno nel 2020.

    La mossa segue quella analoga annunciata giovedì nei confronti di Londra, con cui Washington ha una ‘special relationship’: 4 mesi di sospensione dei dazi, che in Gran Bretagna avevano colpito beni come il whisky scozzese, alcuni formaggi tipici, biscotti. Un passo importante nell’agenda britannica post Brexit, dove il premier Boris Johnson punta ora ad un nuovo accordo commerciale con gli Stati Uniti. Ma ora anche per la Ue si apre un nuovo terreno di collaborazione commerciale, dopo che Biden si è impegnato a rilanciare l’alleanza tra le 2 sponde dell’Atlantico su tutti i fronti.

  • Via libera dell’OMC a l’Europa per emettere tariffe pari a 4 miliardi di dollari su merci statunitensi

    L’Organizzazione Mondiale del Commercio ha autorizzato l’Unione europea a imporre tariffe sui beni statunitensi per un valore di 4 miliardi di dollari per ritorsione contro i sussidi per il produttore americano Boeing.

    La disputa tra le due parti sugli aiuti alle rispettive industrie aeronautiche è durata ben 16 anni, si può davvero parlare della più grande controversia aziendale del mondo.

    Lo scorso anno Washington ha iniziato a imporre tariffe su beni UE per un valore di 7,5 miliardi di dollari sul sostegno statale per il rivale di Boeing, Airbus.

    Secondo fonti vicine alle due parti i dazi dell’UE su prodotti come i jet Boeing difficilmente sarebbero stati imposti prima delle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo 3 novembre.

    Airbus e Boeing hanno rifiutato di commentare, dicendo che il rapporto dell’OMC è attualmente riservato.

    Fonti europee hanno affermato che l’aggiudicazione non include circa 4,2 miliardi di dollari di dazi contro gli Stati Uniti rimasti da un caso precedente, dando all’UE 8,2 miliardi di dollari da gestire in maniera ‘aggressiva’.

     

  • Guerra dei dazi Usa-Cina, la Ue chiede di esentare i farmaci

    Se lo stallo con gli Usa sulla disputa Airbus-Boeing non si sblocca l’Ue “non avrà altra scelta” che imporre dazi punitivi su una lista di prodotti stelle e strisce. Potrà farlo a partire dal prossimo mese, quando il Wto renderà noto l’ammontare delle compensazioni cui l’Europa ha diritto per gli aiuti illegali di Washington alla Boeing. E’ in questi termini che il commissario Ue al commercio, Phil Hogan, ha riassunto ai ministri europei riuniti in teleconferenza la situazione sulla controversia parallela, sugli aiuti di Stato all’industria aeronautica civile, in cui sia l’europea Airbus che l’americana Boeing hanno ricevuto miliardi di dollari di sussidi irregolari. Ricevuto l’ok dal Wto per compensazioni record da 7,5 miliardi di dollari, gli Usa sono passati all’attacco nell’ottobre scorso, con dazi punitivi su un’ampia lista di prodotti europei, anche italiani. In febbraio, Washington avrebbe potuto infierire, ma non lo ha fatto. Sembrava fosse tregua. Invece, “dopo 9 mesi di sforzi per trovare una soluzione”, ha spiegato Hogan, “le posizioni sono distanti”. Senza una svolta l’Ue applicherà le sue misure punitive. Ma il politico irlandese non vuol sentire parlare di “escalation”. “Si tratta di una mossa pienamente in linea con i nostri diritti ed essenziale per riportare gli Stati Uniti al tavolo dei negoziati”, ha spiegato.

    Il clima elettorale negli Usa non semplifica le cose. Nel fine settimana il presidente americano Donald Trump è tornato a minacciare dazi sulle auto europee dal Maine, Stato grande produttore di aragoste, se l’Ue non eliminerà le tariffe dell’8% sulle importazioni dei crostacei stelle e strisce.

    Il Wto, la camera di compensazione pensata negli anni Novanta del secolo scorso, per ridurre le tensioni commerciali, ha perso già la funzionalità dell’organismo di appello per la risoluzione delle dispute e in agosto il direttore generale Roberto Azevedo lascerà il posto. L’Ue sta cercando di portare avanti un’agenda di riforma per l’organizzazione, con priorità come trasparenza, sostenibilità e, novità della pandemia, salute. Così la Commissione europea proporrà a breve a un gruppo ristretto di partner commerciali – il Gruppo di Ottawa, nato proprio per riformare il Wto – di agire in sede Wto per azzerare i dazi su farmaci, dispositivi e forniture mediche e rendere più difficile bloccare gli scambi di beni essenziali. L’accordo Wto del 1994 sull’accesso ai medicinali tra Ue, Usa e altri quattro Stati che rappresentavano il 90% degli scambi nel settore non basta più. Quella quota è diminuita di un terzo e, soprattutto, l’intesa non è sottoscritta dalle attuali ‘fabbriche’ di medicinali del mondo, Cina e India. L’iniziativa è anche di natura squisitamente commerciale, che riguarda il 12% delle esportazioni totali dell’Ue, ovvero 236 miliardi di euro. “Dobbiamo creare nuove opportunità di esportazione per i produttori di prodotti sanitari dell’Ue – sintetizza Hogan – e incentivare quindi una maggiore produzione nell’Ue.

  • Prodotti made in Italy ‘graziati’ per 180 giorni dai dazi Usa

    Non ci saranno nuovi dazi sui prodotti agroalimentari italiani destinati al mercato Usa. Per il momento non cambia nulla e il Made in Italy tira un sospiro di sollievo. Ma la situazione resta pesante. “Il lavoro fatto in questi mesi ha dato i suoi frutti – ha commentato la ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova – Abbiamo scongiurato il rischio che le nostre eccellenze subissero danni irreparabili”.

    L’amministrazione Usa ha deciso di lasciare invariate le tariffe doganali già in vigore, imposte lo scorso ottobre, pari al 25% del valore, sulle importazioni di prodotti agroalimentari dalla Ue nel quadro del contenzioso sugli aiuti pubblici al consorzio Airbus. E’ scongiurato quindi il rischio di prelievi aggiuntivi su prodotti agroalimentari nazionali come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Provolone, Asiago, Fontina, salami, mortadelle, crostacei, molluschi, agrumi, succhi e liquori (come amari e limoncello), e che si possano estendere ad altri settori del nostro export sul mercato Usa. Ma solo per il momento perché l’ufficio per il commercio Usa si riserva comunque di cambiare le merci colpite dalla tariffe con scadenze di 180 giorni.

    E se il Sistema Italia per ora tira un sospiro di sollievo, effetti negativi dopo i dazi si sono comunque verificati sulle esportazioni di alcuni prodotti simbolo del Made in Italy, come Parmigiano Reggiano e Grana Padano negli Usa, che sottolinea Coldiretti, “sono crollate rispetto all’anno precedente del 54% a novembre e del 43% in dicembre”, tanto che il presidente dell’associazione, Ettore Prandini, chiede di “attivare al più presto aiuti compensativi ai settori che restano colpiti”.

    Naturalmente i produttori avrebbero voluto la completa cancellazione delle tariffe ma la diplomazia italiana è riuscita a evitare almeno ulteriori aumenti. Ed è quindi “una buona notizia per tutto il settore”, afferma Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia. Sulla stessa linea Giorgio Mercuri, presidente di Alleanza cooperative Agroalimentare e il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio che riconoscono il lavoro diplomatico portato avanti dal governo italiano. Ma ora occorre “avviare un negoziato diretto con gli Usa per raggiungere un nuovo accordo commerciale, che metta fine alle tensioni in atto”, osserva il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.

    Le esportazioni del “Made in Italy” agroalimentare sul mercato statunitense ammontano a 4,5 miliardi di euro l’anno. Si tratta del primo mercato di sbocco fuori dalla UE e il terzo in assoluto. Circa la metà dell’export di settore è assicurata da vini, pasta e olio d’oliva. Per i vini, in particolare, le esportazioni verso gli USA si sono attestate a 1,3 miliardi di euro nel periodo gennaio-ottobre 2019, con una crescita di oltre il 4% sullo stesso periodo del 2018.

  • L’UE sospende parte dei vantaggi commerciali della Cambogia per violazione dei diritti umani

    Stretta dell’Unione europea sulle agevolazioni commerciali di cui gode la Cambogia secondo i principi del Trattato EBA (Everything but Arms) a causa delle sistematiche violazioni dei diritti umani. La Commissione europea, che si è espressa al riguardo, ha stabilito infatti che il paese asiatico perderà circa il 20% dei diritti preferenziali di cui gode nell’ambito dell’EBA, circa 1 miliardo di euro delle esportazioni annuali verso l’UE, anche se continuerà a ricevere un sostegno sulla diversificazione delle sue esportazioni in modo che le industrie emergenti continuino a godere del dazio zero e senza quote al blocco imposto da Bruxelles.

    La norma entrerà in vigore il 12 agosto 2020, a meno che il Parlamento europeo e il Consiglio non si oppongano alla decisione.

    L’accaparramento di terre, la quasi totale assenza dei diritti dei lavoratori e la repressione politica sono problemi che attanagliano da lungo tempo la Cambogia, come ha indicato la Commissione Europea nel 2019 e che martedì scorso ha presentato un rapporto secondo il quale il governo del Primo Ministro cambogiano Hun Sen negli ultimi tre anni ha represso opposizione, gruppi della società civile e media.

    L’Unione europea ha il diritto di revocare le prestazioni dell’EBA in caso di “violazione grave e sistematica” dei principi dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ai quali l’EBA si è conformata quando è stata istituita nel 2001 offrendo a 48 tra i paesi più poveri del mondo un accesso esente da dazi ai mercati dell’UE.

  • Tre anni…

    Tre anni di banali analisi che hanno interessato l’intera politica italiana ed europea assieme al mondo accademico tutte imperniate sulle critiche alla politica del presidente degli Stati Uniti Trump.

    Accademici, economisti ed esperti di ogni materia hanno omesso con colpevole ignoranza o disonestà intellettuale come la politica dei dazi fosse stata inaugurata ben prima dall’Unione Europea con l’introduzione della tutela della produzione di alluminio. Nessuno di questi dotti esponenti dell’intelligentia occidentale ha saputo interpretare la posizione dell’amministrazione statunitense anche nella ricerca di una rinnovata posizione di forza che si potesse esprimere in una nuova capacità negoziale.

    Supportata dal conseguimento dell’indipendenza energetica e dalla leadership di primo produttore al mondo di petrolio, l’amministrazione statunitense si sottrae al ricatto energetico che per anni ne ha condizionato la politica. Da questa posizione di rinnovata forza ottiene finalmente di riportare il colosso cinese all’interno di un primo perimetro di regole. Questa vittoria commerciale rappresenta, in altri termini, la cocente sconfitta delle politiche economiche dell’Unione Europea.

    Mai come in questi ultimi tre anni viene confermata, ancora una volta, l’dea che per far nascere un sentimento europeista sia necessario dimostrare le competenze e tutelare gli interessi economici dei propri cittadini. Questi ultimi  sono definiti in prima istanza dalla tutela del lavoro e di conseguenza della produzione industriale. Sembra incredibile invece come tutto il mondo europeo ed italiano in particolare guardino ad una svolta “Green”  dell’economia quando il sistema delle PMI italiano ha già raggiunto da anni traguardi considerevoli (https://www.ilpattosociale.it/2018/12/10/sostenibilita-efficienza-energetica-e-sistemi-industriali/).

    Mentre l’amministrazione statunitense nell’ultimo accordo del Nafta ha determinato la rialloocazione produttiva dell’Industria automobilistica precedentemente delocalizzata in Messico  la nostra classe dirigente si diletta nell’applicazione della legge di Samuelson (https://www.ilpattosociale.it/2020/01/07/il-ritardo-culturale-accademico/).

    Il raggiungimento della piena occupazione, la borsa di Wall Street ai massimi livelli aiutati sicuramente dalla raggiunta indipendenza energetica rappresentano inequivocabilmente i risultati raggiunti dall’amministrazione  statunitense. Contemporaneamente i traguardi conseguiti dal Presidente Trump e dalla sua amministrazione evidenziano in modo inequivocabile, ancora una volta, come il nostro ritardo sia indice di una crisi culturale della quale quella  economica ne rappresenta un aspetto fondamentale.

  • Il ritardo culturale accademico

    Considerati tra i maggiori esperti di economia mondiali i proff. Alesina e Giavazzi criticano le posizioni di Trump sui dazi (dimenticando come  questa politica sia stata avviata ben prima dalla stessa Unione Europea con l’alluminio) citando la legge di Samuelson. Sostanzialmente questa teoria afferma come  la differenza di costi di produzione tra Cina e Stati Uniti, per esempio, nella produzione di magliette e computer provocherà essenzialmente la sparizione nell’industria tessile negli Stati Uniti che verrà sviluppata (il termine delocalizzazione produttiva risulta sconosciuto) in Cina mentre la realizzazione dei prodotti alto di gamma, come i computer, troverà massimo sviluppo negli Stati Uniti.

    Questa teoria  dei “vantaggi comparati” si basa (semplificando) sulla analisi di  due Nazioni come Stati Uniti e Cina che presentano costi  del lavoro  fortemente differenti.

    E’ evidentemente come questa analisi comparativa possa venire applicata a tutte le nazioni dell’Occidente sviluppato rispetto a quelle del Medio ed estremo Oriente e dell’Africa Occidentale.

    La  maggiore incidenza percentuale dei costi di produzione per i prodotti a minore valore aggiunto rispetto ad una produzione alto di gamma inevitabilmente ha determinato lo spostamento della produzione, per esempio di magliette, nei paesi a basso costo di manodopera. (*)

    Francamente si rimanere basiti sentendo una teoria economica applicata “sic et simpliciter” in un contesto storico economico in continua e progressiva  evoluzione. Anche perché la storia contemporanea sta evidenziando come il vantaggio competitivo in ambito tecnologico (vedi 5G) proprio della Cina e dei paesi dell’estremo Oriente dimostri esattamente che la differenziazione tra prodotti di alto e basso di gamma come di alto o basso contenuto tecnologico risulti sostanzialmente superata in un’analisi comparativa.

    In più le delocalizzazioni produttive non vengono introdotte in applicazione dei principi della legge di Samuelson ma semplicemente hanno rappresentato l’applicazione del principio speculativo mediato dal settore finanziario al settore industriale. Una legittima strategia che presenta l’unico obiettivo non tanto della crescita delle aziende quanto della riduzione dei costi e di conseguenza di un maggiore rendimento del capitale investito (Roe).

    Sembra incredibile come due  tra i maggiori economisti del mondo non attribuiscano importanza in un’ottica di sviluppo strategico al “reshoring produttivo” (uno degli obiettivi della politica dell’amministrazione statunitense odierna).

    Inoltre, a puro titolo di cronaca, le ultime rilevazioni statistiche dimostrano come il nostro Paese non cresca da oltre vent’anni, quindi ben prima della nascita del mercato globale che avrebbe dovuto rappresentare la  panacea per lo sviluppo senza limiti e tanto meno confini. Inoltre la stessa globalizzazione, con la conseguente concorrenza tra sistemi fiscali nazionali, ha dimezzato le tassazione societaria (fonte WSJ) la quale non ha determinato come conseguenza alcun aumento dei consumi specialmente per le economie occidentali ed in particolare italiana.

    Il ritardo culturale viene poi dimostrato ancor più dalla mancata analisi del contesto contemporaneo  nel quale la digitalizzazione permette trasferimenti tecnologici in tempo reale indipendentemente dalla nazione nella quale  vengano  ideati ( https://marketingambientale.blogspot.com/2017/11/francesco-pontelli-economista.html?m=1).

    Il contesto economico contemporaneo viene inteso come cristallizzato e quindi privo di ogni evoluzione nell’analisi di Alesina e Giavazzi i quali  non riservano alcuna importanza al fattore  evolutivo.

    Se sono queste le intelligenze di riferimento vent’anni dopo l’ingresso nel terzo millennio dalle quali dovrebbero trovare uno spunto tutte le strategie economiche del mondo occidentale fermiamoci un attimo perché il loro ritardo culturale, esattamente come il nostalgico ritorno ai mercati bloccati e chiusi tanto cari ai sovranisti, non ci permettono di nutrire alcuna speranza.

    Il  vero declino culturale emerge quando le classi apicali della società continuano ad applicare regole economiche come se negli ultimi vent’anni non fosse cambiato il mondo nella sua globalità ma come  semplice esibizione di  puro nozionismo culturale. A questa si aggiunge l’incapacità di comprendere come il mondo digitalizzato, ormai  in aggiornamento perenne, rende inevitabile la rivisitazione e la rielaborazione di  ogni legge economica.

    Questo intervento in ambito economico rappresenta il segno del nostro declino inarrestabile e contemporaneamente le ragioni  del ritardo culturale di  una intera classe dirigente ed accademica. Ogni analisi economica decontestualizzata dalla evoluzione del mercato risulta assolutamente manieristica. Sicuramente la strategia deve virare verso la tutela del lavoratore più che del lavoro ma l’unico parametro oggettivo per valutare gli effetti positivi di ogni strategia o iniziativa economica viene rappresentato dalla semplice ricaduta positiva di occupazione stabile. Tutto il resto rappresenta poesia o peggio ancora ideologia.

    (*) Chissà se ricordano  i due professori  dove viene prodotta la Apple (https://www.corriere.it/opinioni/19_dicembre_21/gli-errori-trump-nostri-4656361e-2422-11ea-8330-496805e4bde5.shtml)

     

  • I dazi Usa fanno calare le esportazioni cinesi

    Le esportazioni della Cina hanno registrato in novembre un calo dell’1,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In seguito ai dazi introdotti dagli Usa, il surplus del commercio estero cinese, sempre in novembre, è sceso a 38.730 miliardi di dollari (35.022 miliardi di euro) a fronte dei 42.911 miliardi di dollari (38.802 miliardi di euro) registrati a ottobre. Il surplus commerciale con gli Usa è passato da 26.450 a 24.600 miliardi di dollari(da23.917 a 22.244 miliardi di euro). Negli 11 primi mesi del 2019 il valore dell’interscambio commerciale Cina-Usa si è ridotto del 15,2% con un ribasso del 12,5% dell’export e del 23,3% dell’import.

    Gli analisti non si attendevano un andamento negativo delle esportazioni cinese, che erano anzi previste in rialzo dello 0,8% grazie al traino degli acquisti natalizi. Novembre è stato il quarto mese del 2019 in cui l’export cinese ha accusato una caduta. Il direttore dell’ufficio statistico dell’Amministrazione generale delle Dogane, Li Kuiwen, ha affermato che il calo si deve «al rallentamento della crescita economica e commerciale internazionale» e ha sostenuto che «l’economia cinese si mantiene stabile». Un segnale in tal senso, sarebbe l’incremento delle importazioni pari allo 0,3%, il che indica che la domanda interna è alta. È il primo dato positivo dell’import cinese dell’aprile scorso.

  • Gli Stati Uniti ripristinano i dazi sui prodotti siderurgici provenienti da Argentina e Brasile

    Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato via twitter che è intenzionato a ripristinare i dazi sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dal Brasile e dall’Argentina perché i due Paesi indebolendo le loro valute hanno colpito di conseguenza gli agricoltori americani. Entrambi i paesi, dopo aver accettato le quote, l’anno scorso sono stati esentati da tariffe su acciaio e alluminio, proprio quando Trump stava cercando di evitare una guerra commerciale con loro.

    Se il governo brasiliano ha fatto sapere di essere già in trattativa con Washington, il ministro della produzione argentino ha definito l’annuncio di Trump “inaspettato” e ha detto che avrebbe provato ad avviare dei colloqui con i funzionari statunitensi.

    Trump ha anche esortato la Banca Centrale americana a impedire ad altri paesi di svalutare le proprie valute, spiegando che tale manovra rende molto difficile per i produttori e gli agricoltori americani “esportare equamente le loro merci”.

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