dittatura

  • Il peccato originale tra il 2018 e il 2024

    Sono passati sei anni dal marzo 2018 da quando individuavo il pericolo della crescita di una potenza assolutamente non democratica come la Cina (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-peccato-originale/).

    La conferma arriva ora proprio durante la crisi russo-ucraina, in quanto la seconda potenza economica mondiale ha confermato il proprio sostegno alla Russia anche nel caso di un evento bellico durante il quale resterà al fianco di Putin.

    Questo conferma ancora una volta la visione miope di una oligarchia economica occidentale all’interno di un mondo globale il quale, privo di un minimo di regole condivise, rischia la disintegrazione proprio avendo sfruttato solo il vantaggio competitivo della diversità di sistemi fiscali, economici e democratici come strumento di speculazione, finalizzato semplicemente al raggiungimento del minor costo della manodopera e quindi dell’investimento.

    Il dumping economico, espressione di un più complesso dumping fiscale e sociale che si manifesta con una minore tutela dei lavoratori e dei consumatori, mostra i propri limiti proprio all’interno di una complessa situazione internazionale che mette in gioco la stessa democrazia.

    L’illusione di una supremazia dell’interesse economico in grado di trasformarsi in una sorta di adeguamento politico ed istituzionale al modello occidentale ha permesso ed anzi incentivato il trasferimento del primato tecnologico ed industriale dell’Occidente ai paesi dell’estremo Oriente. Con l’unico effetto che ora questi possono, sfruttando il basso costo della manodopera, mettere in difficoltà il sistema economico occidentale il quale non è in grado in alcun modo di risolvere le criticità politiche e strategiche internazionali.

    La crisi internazionale scaturita dal covid e dalla guerra russo-ucraina, come dal conflitto arabo israeliano e dagli attacchi alle rotte del Mar Rosso, pone in evidenza come la sola economia (o forse sarebbe più corretto parlare degli interessi speculativi di una minima parte degli operatori economici) non abbia la capacità, e forse neppure l’interesse, di risolvere e tantomeno di prevedere i problemi politici e democratici di un mondo troppo globale anche per le istituzioni politiche internazionali.

    In altre parole, la sintesi della criticità internazionali dimostrano come sia illusorio credere in un ipotetico primato dell’economia su ogni asset politico, sociale e culturale. Lo stesso principio della concorrenza a favore dei consumatore diventa solo teorico se non inserito all’interno di un quadro di norme condivise politiche, fiscali e sociali. In altre parole il suo valore si può esprimere solo se in quadri democratici condivisi, altrimenti ogni evoluzione economica diventa un semplice fattore di speculazione che si arena al primo ostacolo.

    Qualsiasi crescita economica, specialmente se non espressione di investimenti, ma semplicemente favorita da un minore costo della manodopera, quando avviene all’interno di sistemi politici non democratici favorisce gli oligopoli e rafforza le dittature creando le condizioni per le crisi internazionali come quella attuale.

  • Chi vota ha sempre ragione se il suo voto è libero

    Chi vota ha sempre ragione se vota in un Paese democratico nel quale la libertà è un diritto fondamentale ed inalienabile.

    Se vive in un Paese dove la minoranza è rispettata ed ha il suo spazio, un Paese con regole certe ed un’informazione libera a tutto campo, un Paese, uno Stato, una Nazione il cui governo non imprigiona gli avversari e li suicida o uccide, una nazione che rispetta il diritto internazionale e la vita dei suoi cittadini.
    Se le elezioni si svolgono in un paese libero e democratico ognuno ha il diritto di esprimere la sua scelta ed il risultato elettorale va rispettato, in caso contrario si tratta di elezioni farsa, guidate dalla forza di chi detiene in modo assoluto il potere e nessun risultato può essere riconosciuto come attendibile.
    Lo diciamo con calma a Salvini e ai tanti o pochi amici di Putin che vivono in Italia ricordando che se hanno tanta ammirazione per il nuovo zar niente vieta a loro di andare a vivere in Russia, quello che certamente non consentiremo a nessuno è di tentare di portare in Italia, in Europa, l’autocrazia e qualunque altro regime che privi i cittadini della libertà e dei diritti fondamentali che regolano le democrazie.

  • Rapporto indipendente che conferma inquietanti abusi di potere

    Un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società.

    Montesquieu

    Il Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi (The Council of American Ambassadors; n.d.a.) è una nota organizzazione senza scopo di lucro e apartitica che raggruppa più di 200 membri. Si tratta di ex ambasciatori di carriera che hanno svolto la loro attività diplomatica negli ultimi sessant’anni. Il Consiglio, riconosciuto ufficialmente anche dal Dipartimento di Stato, svolge diverse attività in base ai suoi programmi. Il Consiglio collabora attivamente con il Dipartimento di Stato, offrendo sostegno e suggerimenti, riferensosi agli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti in divese parti del mondo, nonché all’esperienze dei suoi membri. In più il Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi programma ed organizza delle riunioni, delle tavole rotonde con diversi alti rappresentati diplomatici stranieri accreditati presso la Casa Bianca. Tra le tante attività che svolge il Consiglio c’è anche quella di organizzare ed attuare delle missioni investigative indipendenti per raccogliere dati ed informazioni in diversi Paesi del mondo. Dati ed informazioni che spesso non vengono rapportati da altre istituzioni e/o dai media.

    Ebbene, nel periodo tra il 7 ed il 14 maggio 2023 un gruppo di dieci rappresentanti del Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi è stato mandato in una missione di raccolta dati ed informazioni in tre Paesi dei Balcani occidentali: Albania, Kosovo e Macedonia del Nord. Dopo quella missione è stato redatto un rapporto che è stato reso pubblico una decina di giorni fa. Nel rapporto sull’Albania viene trattata soprattutto la decisione firmata dal segretario di Stato statunitense nei confronti dell’attuale dirigente dell’opposizione albanese, ex Presidente della Repubblica (1992-1997) ed ex primo ministro (2005-2013).

    Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò in un articolo pubblicato nel maggio 2021. “Il 19 maggio scorso, un’inattesa notizia, arrivata da oltreoceano, ha scombussolato la politica e l’opinione pubblica in Albania. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America ha pubblicato, nel suo account personale Twitter, la dichiarazione come “persona non desiderata per entrare negli Stati Uniti” dell’ex Presidente della Repubblica (1992-1997) ed ex primo ministro (2005-2013). Con lui anche sua moglie e i due figli. Questa drastica decisione è stata presa perché gli atti corruttivi dell’ex Presidente “…hanno minato la democrazia in Albania”. Il Segretario di Stato ha espresso la sua convinzione che l’ex primo ministro “…. era coinvolto in atti corruttivi come l’uso improprio dei fondi pubblici, interventi nei processi pubblici, compreso l’uso del suo potere a beneficio e all’arricchimento degli alleati politici e dei membri della sua famiglia”. Il Segretario di Stato ha ribadito anche che l’ex primo ministro, con la sua retorica, “…è pronto a difendere se stesso, i membri della sua famiglia e gli alleati politici, a scapito delle indagini indipendenti, degli sforzi anticorruzione e delle misure sulla responsabilità [penale]””. Così scriveva l’autore di queste righe il 24 maggio 2021. E poi aggiungeva: “…Per facilitare la chiave di lettura, il nostro lettore deve sapere che ormai l’ex primo ministro albanese, dichiarato “persona non grata” il 19 maggio scorso, dopo la sua sconfitta elettorale nel 2013 ha dato le dimissioni da ogni responsabilità istituzionale e politica, tranne quella di deputato, della quale ha beneficiato fino al febbraio 2019. Il che vuol dire che lui, da circa otto anni ormai, non gode di nessun “potere corruttivo” (Eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali; 24 maggio 2021).

    Il sopracitato rapporto del Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi, all’inizio del capitolo che si riferiva all’Albania, affermava che i membri della missione avevano incontrato il presidente della Repubblica, membri del parlamento, rappresentanti dell’opposizione ed altri. E sottolineava che il primo ministro e i membri del suo gabinetto “non hanno dato informazioni”. Aggiungendo che “È difficile determinare se si trattava di una mancanza di tempo, oppure per tergiversare e [in seguito] discreditare ogni critica che poteva emergere dalla nostra missione. Ma il primo ministro Rama è stato il tema delle conversazioni in quasi tutti i nostri incontri”. Nel rapporto viene sottolineato, tra l’altro, il fatto che l’allora ambasciatrice statunitense in Albania (2020-2023) non ha risposto alle domande dei membri della missione riguardo alle prove che hanno portato alla sopracitata decisione firmata dal segretario di Stato statunitense il 19 maggio 2021. Il rapporto sottolineava che quello nei confronti del dirigente dell’opposizione era “interamente una determinazione in camera, esclusa da contestazioni della parte lesa e senza appello. Questo è altamente insolito, se non [caso] unico per la giurisprudenza statunitense”. Chissà perché allora una simile decisione?! Le cattive lingue hanno sempre parlato però di supporto lobbistico da oltreoceano a favore del primo ministro. Ma l’ambasciatrice aveva confermato in privato alla missione del Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi che “…la lotta contro la corruzione era così fondamentale per la politica degli Stati Uniti e così prioritaria, che i funzionari dell’amministrazione Biden hanno considerato di fare qualcuno come esempio, per sottolineare che nessuno è sopra la legge, oppure immune quando si tratta del crimine della corruzione”. I membri della missione affermavano nel loro sopracitato rapporto che l’ormai 79enne dirigente dell’opposizione si potrebbe considerare alla fine della sua vita politica. Ma affermavano, altresì, che “…non è il modo come la giustizia americana possa mettere nel mirino qualcuno per dare lezione ad un attuale colpevole”. E per rendere tutto più chiaro hanno usato il detto cinese “Uccidere i polli per spaventare le scimmie”. Per chi conosce la preoccupante realtà albanese è molto chiaro che se c’è qualcuno che dovrebbe essere punito per la galoppante corruzione in Albania quello è proprio il primo ministro. Ma “stranamente” durante la sua visita lampo in Albania, il 15 febbraio scorso, il segretario di Stato statunitense ha dichiarato che il primo ministro albanese era “…un illustre dirigente e un ottimo primo ministro”(Sic!). Chissà perché?! Ed era proprio quel segretario di Stato che il 19 maggio 2021 firmava la sopracitata decisione nei confronti del dirigente dell’opposizione,

    Chi scrive queste righe ha trattato per il nostro lettore questi argomenti e continuerà a farlo. Egli, nel frattempo, trova sempre attuale che un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società. Come saggiamente affermava Montesquieu circa tre secoli fa.

  • Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori

    Un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia.

    Esopo

    Il 10 dicembre 1948, durante la sua terza sessione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei Diritti umani. Si tratta di un importante documento che sancisce i diritti innati, acquisiti ed inalienabili dell’essere umano. Si tratta di diritti fondamentali ed universali che garantiscono la dignità della persona. L’articolo 19 della Dichiarazione conferma che “…tutti hanno il diritto alla libertà di espressione; questo diritto include la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni tipo, senza limiti di frontiera, sia oralmente, sia per iscritto, sia sotto forma d’arte, sia attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.

    Oltre alle istituzioni specializzate di ogni Paese e di quelle internazionali, anche il contributo del giornalismo indipendente e responsabile è importante e necessario per garantire sia la tutela dei diritti dell’essere umano, che l’investigazione e la denuncia degli abusi di potere da parte dei rappresentanti politici ed istituzionali. Compresi i massimi livelli. Anzi, loro prima di tutti gli altri. Nel mondo sono operativi diversi media scritti, audiovisivi ed in rete che contribuiscono a raggiungere questo obiettivo. Risulterebbe che uno di loro sia anche il giornale digitale francese Mediapart, fondato nel 2008 da un ex capo redattore della nota testata Le Monde. Mediapart è un quotidiano che non accetta nessuna pubblicità ed è finanziato soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Si tratta di un media composto da due sezioni. Le Journal è lo spazio dove pubblicano i giornalisti professionisti, mentre Le Club è quello in cui scrivono i cittadini abbonati. Bisogna, in più, sottolineare che è stato proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della repubblica francese, Nicolas Sarcozy e François Hollande, con le dovute conseguenze sancite dalla legge. Lo stesso quotidiano, per primo, ha reso pubblico quello che nel 2010 venne chiamato come l’affare Bettencourt. Ha pubblicato nel 2012 una registrazione audio che costrinse, in seguito, l’allora ministro delle finanze a dare le dimissioni. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart.

    Il 28 febbraio scorso è stato proprio questo media che ha pubblicato un articolo in cui si trattava la vera realtà in Albania. L’articolo, intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama è diventato il miglio alleato degli occidentali; n.d.a.), evidenzia, fatti accaduti alla mano, come un autocrate, il primo ministro, controlla tutto anche con il sostegno degli “occidentali”, in cambio a dei favori a loro necessari e ben graditi. Si tratta di un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart che cominciano affermando: “La capitale albanese s’imposta come una tappa diplomatica inevitabile nei Balcani, nel frattempo che il Paese si appresta ad accogliere i richiedenti asilo “delocalizzati” dall’Italia”. Ed in seguito gli autori dell’articolo scrivono: “Mercoledì, il 28 febbraio, l’Albania organizza un “vertice di pace” con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’indomani (29 febbraio; n.d.a.) la capitale albanese ospiterà un vertice regionale Balcani-Unione europea. Del “Vertice” sull’Ucraina il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana (Vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire; 4 marzo 2024). Nel loro articolo gli autori francesi affermano che “Due settimane prima, il 15 febbraio, c’era il segretario di Stato americano Antony Blinken in una visita a Tirana, dove non ha mancato di salutare “l’importanza strategica” dell’Albania e “l’eccellente collaborazione che mantiene il piccolo Paese con gli Stati Uniti”. E poi gli autori si domandano: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. L’autore di queste righe, riferendosi alla visita del segretario di Stato statunitense, informava il nostro lettore anche che “….il segretario di Stato ha considerato il primo ministro albanese come “un illustre dirigente e un ottimo primo ministro” (Sic!). Chissà a cosa si riferiva? Ma non di certo alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese” (Sostegno da Oltreoceano ad un autocrate corrotto; 20 febbraio 2024).

    Nell’articolo pubblicato da Mediapart, riferendosi al primo ministro albanese, gli autori evidenziano che lui “…è nato e cresciuto in una famiglia della nomenklatura dell’Albania stalinista”. Sempre riferendosi al primo ministro albanese, affermavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla [sua] caduta verso l’autoritarismo”. Gli autori del sopracitato articolo affermavano che in cambio dei favori offerti e spesso attuati dal primo ministro albanese “…i partner occidentali sono pronti ad ignorare le “piccole” deviazioni del suo regime dal predominio della legge”. Loro evidenziavano, altresì, che  “Negli ultimi anni la riforma della giustizia […] è stata deviata dai suoi obiettivi”.

    Nel ultimo capitolo del sopracitato articolo pubblicato il 28 febbraio scorso da Mediapart, gli autori scrivevano che il primo ministro albanese, di fronte ai partner occidentali, “…non ha nessuna difficoltà di imporre la narrativa che interessa a lui”. Aggiungendo che il primo ministro albanese fa apparire se stesso “…come ‘un uomo di Stato della stabilità’ nei Balcani, come l’amico sul quale l’Occidente può sempre appoggiarsi. E, per questo, gli occidentali sono pronti a non mostrarsi così rigorosi con i principi democratici”. Con questa frase terminava l’articolo.

    Chi scrive queste righe ha spesso trattato anche questi argomenti per il nostro lettore e condivide quanto hanno scritto i tre giornalisti del Mediapart. Egli, fatti accaduti alla mano, è convinto che il primo ministro albanese è un autocrate disponibile a tutto in cambio di favori. E parafrasando Esopo, il noto scrittore della Grecia antica, si potrebbe dire che un autocrate troverà sempre un pretesto per la sua autocrazia. Anche perché un autocrate e un tiranno hanno molte cose in comune.

  • Non è più il momento di un silenzio complice

    Il ministro Salvini risponde agli avversari, che lo accusano di non aver rilasciato una dichiarazione dopo la morte di Navalny, affermando di essere troppo impegnato a costruire ponti, strade e ferrovie per avere tempo di rispondere ai suoi avversari.

    Tralasciando il fatto che tutti questi cantieri, in giro per l’Italia, non li abbiamo visti mentre la principale preoccupazione del ministro sembra  rimanere il Ponte sullo Stretto, non la mancanza di strade e ferrovie in Sicilia ed in Calabria,non si può dimenticare che  la dichiarazione del vice di Salvini, sulla morte di Navalny, è stata a dir poco preoccupante mentre il ministro, e vicepremier, noto, nel passato, per le sue simpatie putiniane, è rimasto silenzioso!

    Diamo atto, ancora una volta, alla determinazione e chiarezza con la quale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è espresso e ci uniamo alle tante voci che hanno denunciato, anche per questa nuova morte “misteriosa”, Putin e  il sistema russo.

    Siamo  tra i molti che ritengono il presidente russo comunque colpevole, sia che abbia ordinato la soppressione di Navalny, sia che Navalny sia stato  ucciso da un solerte sostenitore dello zar, sia che sia morto per cosiddette cause naturali dopo essere stato avvelenato, detenuto in carcere, processato con fantomatiche accuse e poi recluso nel più duro carcere dell’Antartico dove sopravvivere diventa quasi impossibile.

    Putin si comporta come ai tempi di Stalin e dell’Unione Sovietica quando i dissidenti, e cioè quelli che chiedevano libertà e diritti civili, erano reclusi, e spesso soppressi, in Siberia o avvelenati o “suicidati”. Non dimentichiamo le molte morti “misteriose” anche in questi anni di guerra contro l’Ucraina.

    La dura repressione contro coloro che hanno avuto il coraggio di protestare, portando un fiore sotto il monumento delle vittime dei gulag per ricordare Navalny, e gli arresti violenti, quattro, cinque poliziotti contro una sola persona, testimoniano come, in vista delle elezioni e con una guerra che non sta vincendo e per la quale ha fatto morire centinaia di migliaia  russi, l’arroganza, la crudeltà ed il cinismo del nuovo zar non abbiano limiti.

    Quegli occidentali che ancora, in modo palese, o più o meno occulto, simpatizzano con Putin o trescano con lui esportando ed importando merci, direttamente o con il sistema della triangolazione, prendano atto che per il mondo civile, per la gente per bene qualsiasi tipo di silenzio sulle mala gestione di Putin, sui suoi delitti sarà considerato non solo acquiescenza ma connivenza.

    Non è più il momento di un silenzio pauroso o complice.

  • Assordanti silenzi che nascondono interessi occulti

    Il silenzio è l’ultima arma del potere.

    Charles de Gaulle

    Sabato scorso, il 10 febbraio, è stato celebrato il “Giorno del Ricordo”. Una ricorrenza, un giorno per ricordare le tante ed ineffabili atrocità subite tra il 1943 ed il 1945, ma anche negli anni che seguirono, dalla popolazione italiana in Venezia Giulia, Dalmazia ed altre aree circostanti. Atrocità messe in atto da alcuni reparti speciali dall’esercito jugoslavo con una freddezza disumana. Quella del “Giorno del Ricordo” è una ricorrenza per non dimenticare migliaia di morti innocenti istriani, fiumani e dalmati. Vittime incatenate con dei lunghi fili di ferro e portate sugli argini delle foibe, profonde fosse carsiche sul fondo delle quali si aprivano delle spaccature, spesso colme d’acqua. Gli spietati esecutori sparavano solo alle prime vittime che, cadendo dentro le foibe, trascinavano anche le altre, ancora vive, mentre precipitavano giù nei profondi inghiottitoi. Ma molte altre vittime innocenti hanno perso la vita nelle prigioni e nei campi di concentramento in Jugoslavia. Tutto è cominciato nel 1943, dopo la caduta del regime fascista in Italia ed il seguente armistizio. Sono stati resi attivi i cosiddetti “poteri popolari” e costituiti dei “tribunali speciali” gestiti da esponenti delle forze armate jugoslave. Tutto per fare giustizia e vendicarsi di quello che il regime fascista aveva fatto e causato in Venezia Giulia, in Dalmazia e in altre regioni. Si doveva “ripulire” tutto il territorio dai “nemici del popolo”. Quei tribunali hanno emesso migliaia di condanne a morte. Purtroppo la maggior parte delle persone condannate a morte non erano dei rappresentanti locali dei fascismo, ma bensì, dei semplici cittadini delle comunità italiane che vivevano da anni in quelle regioni. Simili atrocità continuarono fino alla firma del Trattato di Parigi, il 10 febbraio 1947. Come previsto in quel Trattato, alla Jugoslavia venivano assegnate l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia. Tutte regioni ed aree che fino ad allora erano dei territori dell’Italia.

    Ma le sofferenze e le violazioni dei diritti innati della popolazione italiana non finirono con la firma del Trattato di Parigi. Il regime comunista al potere in Jugoslavia aveva già pronta una strategia per gli italiani nelle zone annesse con il Trattato di Parigi. Coloro che appoggiavano il regime, considerati come i “meritevoli”, potevano rimanere ed integrarsi, invece tutti gli altri, che erano la maggior parte, si dovevano allontanare dai territori jugoslavi. Cominciò così un esodo drammatico degli italiani. Un esodo che, infatti, cominciò subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e continuò fino al 1958. Un esodo che, secondo dei dati credibili, avrebbe coinvolto non meno di 250.000 persone, le quali sono state costrette a lasciare tutto, case ed averi lì dove abitavano. Purtroppo però gli esuli giuliani e dalmati, che sono arrivati in Italia, non sono stati bene accolti neanche lì. La maggior parte di loro è stata messa nei campi profughi allestiti dentro delle caserme ed altre strutture, costretti a subire anche un atteggiamento freddo e, non di rado, addirittura ostile degli italiani. Tra i tanti episodi, che non si dovevano mai e poi mai verificare, è molto significativo quello che ormai è noto come il ”treno della vergogna”. Nel 1947 erano sbarcati ad Ancona degli esuli arrivati da Pola. Da Ancona poi loro dovevano proseguire con treno per arrivare a La Spezia. Ma quegli esuli, considerati dalla popolazione locale come dei “fascisti in fuga”, sono stati trattati con ostilità. Il che ha reso necessario l’intervento dei militari. In seguito il viaggio degli esuli continuò a bordo di un treno merci. Era stata prevista una fermata di quel treno alla stazione di Bologna per offrire a coloro che erano dentro un pasto caldo. Ma tutto saltò in seguito ad una sassata contro il treno. Sassata organizzata ed attuata dai ferrovieri comunisti per impedire la fermata in stazione del “treno dei fascisti”! Il treno allora proseguì per poi arrivare finalmente e Parma dove gli esuli, tra i quali c’erano bambini ed anziani, ricevettero la necessaria assistenza ed ebbero qualche pasto prima di raggiungere La Spezia.

    Su tutte quelle atrocità subite dalla popolazione italiana in Venezia Giulia, in Dalmazia ed in altre località c’è stato per anni un continuo silenzio da parte dello Stato italiano, ma non solo. Silenzio che è stato causato dalle cosiddette “ragioni di Stato” e da “interessi geopolitici/geostrategici”. Dal 1948 la Jugoslavia si staccò dall’Unione Sovietica, assumendo un suo ruolo nello scacchiere geopolitico e geostregico. Il che costrinse i Paesi occidentali ad avere un diverso approccio ed un nuovo atteggiamento nei confronti della Jugoslavia, che era uno dei Paesi fondatori, insieme con India ed Egitto, nel 1955, del Movimento dei Paesi non allineati. Ma dopo tanti anni di “silenzio” sulle atrocità subite dagli italiani in Venezia Giulia, in Dalmazia ed altre località, finalmente c’è stata l’approvazione da parte del Parlamento, il 30 marzo 2004, e la successiva pubblicazione, il 13 aprile 2004, nella Gazzetta Ufficiale n.86, della legge n.92 che sanciva l’istituzione del “Giorno del Ricordo”. In quella legge si sanciva, tra l’altro, l’obbligo civile e morale per conservare e rinnovare “…la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati italiani, durante la seconda guerra mondiale e dell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945), e della più complessa vicenda del confine orientale”. L’autore di queste righe ha sentito parlare per la prima volta delle disumane atrocità subite dalle popolazioni di Venezia Giulia e di Dalmazia da un suo collega. Erano gli inizi degli anni ’90. In seguito l’autore di queste righe ha avuto modo di incontrare anche la madre del collega, nato e vissuto fino alla giovanissima età a Lussinpiccolo. Poi è stato costretto, insieme con la sua famiglia, a lasciare l’isola di Lussino (ormai parte della Croazia; n.d.a.) e a sistemarsi a Trieste. Erano proprio il collega e sua madre, la quale parlava in dialetto, che hanno raccontato all’autore di queste righe di quello che i “titini” avevano fatto subire agli italiani. Foibe ed esodo forzato compresi. Racconti che egli ricorda ancora, soprattutto quando sente parlare delle foibe. Il “Giorno del Ricordo” offre perciò a tutti delle opportunità per conoscere la verità e, allo stesso tempo, ricorda l’obbligo civile e morale di non dimenticare tutte quelle atrocità.

    Purtroppo attualmente si stanno verificando altri esodi drammatici in diverse parti del mondo. Così come si sta verificando anche un preoccupante aumento di flussi delle persone che scappano da guerre e da altre difficoltà nei propri paesi natali. Quanto accade da anni ormai a Lampedusa ed in altre località dell’Italia meridionale ne è una inconfutabile testimonianza. Scappano i siriani, gli afghani, gli africani subsahariani ed altri. Scappano perché in Siria ancora ci sono degli scontri etnici armati. Scappano perché in Afghanistan, dopo il vergognoso ritiro nell’agosto 2021 del contingente internazionale, guidato dagli Stati Uniti d’America, i talebani, sopravvissuti per ben venti anni e poi ritornati di nuovo al potere, stanno reprimendo tutte le innate libertà degli afghani. Scappano i subsahariani ed altre popolazioni africane per sfuggire alle carestie ed altre sofferenze. Ma in questi ultimi dieci anni scappano in tanti anche dall’Albania, nonostante lì non si combatta una guerra. Ma in Albania in questi ultimi anni è stata restaurata e si sta consolidando, ogni giorno che passa, una pericolosa nuova dittatura. Il nostro lettore ormai da anni è stato sempre informato con la dovuta e richiesta oggettività e con tanti fatti accaduti e documentati alla mano, di questa vera, preoccupante, pericolosa e sofferta realtà. Realtà causata da quella dittatura camuffata da una ingannatrice facciata di pluripartitismo. Si tratta però di una dittatura, espressione dell’alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e/o internazionale, quella italiana e latino americana comprese, e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E non a caso, ormai da alcuni anni, gli albanesi stanno scappando numerosi dalla madre patria. Il che sta generando un altrettanto preoccupante e pericoloso problema a lungo termine: lo spopolamento dell’Albania. Purtroppo c’è una ben studiata, ideata e attualmente attuata strategia per lo spopolamento dell’Albania. Il governo jugoslavo, subito dopo la seconda guerra mondiale, ha costretto gli italiani in Venezia Giulia, in Dalmazia ed in altre località a scappare per poi impadronirsi dei loro territori. Mentre adesso, la strategia per lo spopolamento dell’Albania prevede l’uso dei territori abbandonati, da coloro che gestiscono tutto, per la diffusa coltivazione della cannabis e la necessaria base logistica. Il Paese deve diventare, con il passare degli anni e dopo il continuo spopolamento, una specie di “porto franco” sia per i traffici internazionali degli stupefacenti che per il successivo smistamento verso i Paesi dell Europa occidentale.

    Durante lo scorso autunno in Albania è stato svolto un censimento della popolazione. Ebbene il risultato di quel censimento non è stato ancora reso noto. Gli specialisti, con la loro esperienza professionale, affermano che sia per l’elaborazione dei dati, sia per la pubblicazione dei risultati era necessario non tanto tempo. Comunque meno del tempo ormai passato. Ad oggi però nessun risultato del censimento è stato reso pubblico. Secondo fonti credibili risulterebbe che la ragione è una sola: l’allarmante spopolamento del Paese. Nel 2011, in base al censimento fatto allora, risultava che in Albania la popolazione residente era di circa 2.800.000 abitanti. Invece attualmente la popolazione residente, nel migliore dei casi, non è mai superiore a 1.700.000! Mentre le cattive lingue dicono che attualmente in Albania la popolazione residente non supera i 1.500.000 abitanti. Chi sa che anche in questo caso le cattive lingue non abbiano avuto ragione?!

    L’autore di queste righe da anni ha trattato per il nostro lettore questo preoccupante e pericoloso fenomeno demografico. Già nel settembre 2015 egli scriveva: “…Giustamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sia orientata verso migliaia e migliaia di profughi che scappano dalle atrocità, di guerre e conflitti continui, in Medio Oriente e in Nord Africa. La situazione drammatica ha reso impossibile la vita a milioni di abitanti in quelle terre”. E poi continuava “…Purtroppo tutto questo sta sfumando un altrettanto preoccupante fenomeno che si sta consumando in Albania. Flussi migratori, provenienti da un paese candidato all’Unione Europea e membro della NATO, che gode da alcuni anni del regime di Schengen per la libera circolazione, si dirigono verso la Germania, ma non solo”(Accade in Albania; 7 settembre 2015). Mentre nell’estate del 2022 l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: L’Albania si sta paurosamente spopolando! Solo questo fatto dovrebbe essere un assordante campanello d’allarme per tutte le persone responsabili, per tutti gli albanesi patrioti. Solo questo fatto dovrebbe essere un buon motivo, non solo per protestare, ma per ribellarsi contro il nuovo regime restaurato in Albania” (La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere; 12 luglio 2022). Solo alcuni mesi dopo, sempre riferendosi agli albanesi che scappano, egli scriveva: “…dai dati risulta che durante i primi sei mesi di quest’anno nel Regno Unito sono arrivati 2165 albanesi, 2066 afghani, 1723 iraniani, 1573 iracheni, 1041 siriani, 850 eritrei, 460 sudanesi, 305 egiziani, 279 vietnamiti e 198 kuwaitiani. I numeri parlano da soli e meglio di qualsiasi commento!” (Scontri diplomatici e governativi sui migranti; 14 novembre 2022).

    Chi scrive queste righe è convinto che nei territori abbandonati in Albania ci sono dei progetti anche per far costruire dei centri per profughi, che altri Paesi europei possono trasferire in Albania. L’Italia ne sta approfittando. Ci sta seriamente pensando anche la Germania. In cambio i dirigenti di questi Paesi rimangono silenziosi di fronte alla molto preoccupante realtà albanese. Come si è fatto per tanti anni con la verità sulle foibe e sull’esodo degli italiani. Si tratta di assordanti silenzi che nascondono interessi occulti. Chi scrive queste righe, stimando Charles de Gaulle, condivide anche la sua convinzione sul silenzio. E cioè che il silenzio è l’ultima arma del potere.

  • Esibizioni demagogiche e bugie di un autocrate nelle sedi europee

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che

    si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

    Aristotele; dal libro “Politica”, IV sec. a.C.

    Per definizione la demagogia è un modo di agire per ottenere il consenso ed il supporto degli altri. Riferendosi ai vocabolari, risulta che si tratta di un termine di origine greca antica che deriva dalla composizione delle parole demos (popolo) e aghein (trascinare). Cioè trascinare il popolo. Sempre da studi storici ed etimologici risulta che si tratta di una trasformazione peggiorativa del concetto della democrazia. Un concetto, quello della democrazia, che rappresentava una realtà stabilita e vissuta nella Grecia antica. Uno dei filosofi greci che ha trattato il concetto della demagogia è stato Platone. Lo ha fatto nei suoi trattati “Politico” e “Leggi” circa ventiquattro secoli fa. Secondo Platone, era proprio tramite la demagogia che una democrazia poteva degenerare in un’autocrazia. Ma Platone però, nel caso avesse dovuto scegliere un governo corrotto tra la tirannide, l’oligarchia e la demagogia (che in questo caso la considerava come un sistema di governo e non come modo di agire, rivolgendosi ai cittadini; n.d.a.), avrebbe scelto la demagogia. Si, perché così almeno si poteva avere in salvo la libertà. Platone spesso, trattando il concetto della demagogia, usava i termini demegoria e demegoros (parlare in assemblea e colui che parla in assemblea; n.d.a.). Lui però dava una connotazione negativa alla parola demegoria, convinto che il parlare al pubblico, il discorso politico, era, in fine dei conti, demagogia che poteva danneggiare la democrazia stessa. Una significativa definizione della parola demegoros è stata data da Platone nel decimo libro del suo trattato le “Leggi”. Per lui tra i diversi tipi di empi, e cioè delle persone scellerate, infami, c’erano anche i maghi, gli indovini, i tiranni e i demegoros. Considerando perciò i demegoros, coloro che parlavano in assemblea, come degli imbroglioni, dei ciarlatani pericolosi.

    La storia ci testimonia e ci insegna che la demagogia e i demagoghi hanno sempre accompagnato la vita e le attività dell’essere umano. Sono cambiati soltanto i modi e i mezzi di espressione, di attuazione e presentazione, nonché il modo di comunicazione dei demagoghi con il pubblico. E purtroppo ci sono continui casi in cui tanti demagoghi cercano di attrarre l’attenzione del pubblico per ottenere il voluto appoggio. Ne era molto convinta anche Hannah Arendt, una nota studiosa di storia, di filosofia e di politica. Uno dei suoi tanti libri pubblicati è intitolato Between Past and Future: six exercises in political thought (Tra passato e futuro; sei esercizi del pensiero politico; n.d.a.), pubblicato nel 1961. Un libro in cui l’autrice ha condiviso con il lettore i suoi pensieri e le sue riflessioni. Anche la seguente: “…Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista”. Una frase che esprime quello che realmente accade e si verifica in ogni parte del mondo, dove un demagogo cerca di mentire, di ingannare e di apparire credibile. E, come afferma Hannah Arendt, riferendosi a quanto accadeva soprattutto durante il secolo passato, tali sono i politici, ma anche gli statisti. E le cose non sono cambiate, nonostante i secoli si susseguano. Almeno nella loro essenza la demagogia rimane sempre la stessa. Come rimane sempre la stessa l’intenzione dei demagoghi di ingannare e controllare quelli che credono in loro.

    Lo conferma, anche quanto sta accadendo in questi ultimi anni nei Balcani, Albania compresa. Il nostro lettore è stato spesso informato, con tutta la dovuta e richiesta oggettività, della vera, vissuta e sofferta realtà albanese. Soprattutto dal 2013 ad oggi, da quando ha avuto il primo mandato l’attuale primo ministro. E purtroppo, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risulta che la situazione peggiora ogni giorno che passa. Il nostro lettore è stato altresì informato che durante questi ultimi anni in Albania è stato restaurato un regime autocratico, una nuova dittatura sui generis. Una dittatura come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale, quella italiana e latino americana comprese, e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E tra questi ultimi, uno dei più influenti, molto potente anche finanziariamente, è gestito da un multimiliardario speculatore di borse finanziarie di oltreoceano. Colui che ha attivato in tutto il mondo delle filiali della sua organizzazione della Società aperta. Sono tanti, tantissimi i fatti accaduti e documentati che lo confermano. E non a caso il figlio di quel multimiliardario, al quale il padre sta passando la gestione delle attività, si sta presentando molto attivo negli ultimi anni. Lui è sempre presente anche nelle attività regionali nei Balcani.

    L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, durante questi ultimi anni, di un’iniziativa regionale nei Balcani occidentali nota come l’iniziativa Open Balkans (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà, 4 luglio 2022; Lobbismo occulto a sostegno di autocrati in difficoltà, 2 agosto 2022; Pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica, 3 ottobre 2022; Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale, 27 marzo 2023 ecc.). Si tratta dell’iniziativa presentata ufficialmente per la prima volta il 10 ottobre 2019, in Serbia, a Novi Sad. Allora quell’iniziativa veniva identificata come il “Mini-Schengen balcanico”. Si tratta di un’iniziativa che è stata firmata soltanto da tre dei sei Paesi dei Balcani occidentali: la Serbia, l’Albania e la Macedonia del Nord. Poi, in seguito, durante il Forum di Skopje (Macedonia del Nord) per la cooperazione economica regionale, quell’iniziativa è stata ribattezzata e tuttora è nota come Open Balkans (i Balcani aperti; n.d.a.). Un’iniziativa la quale, nonostante siano passati ormai più di quattro anni, viene riconosciuta soltanto dai tre sopracitati Paesi. L’iniziativa Open Balkans è stata presentata come un’iniziativa regionale che garantisce la libertà di circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone nei rispettivi Paesi aderenti. Gli obiettivi dell’iniziativa, secondo i suoi promotori, il presidente della Serbia, il primo ministro dell’Albania ed il primo ministro della Macedonia del Nord, mirano allo sviluppo ed al rafforzamento della collaborazione economica e commerciale tra i Paesi firmatari. Si tratta di un’iniziativa “concorrente” ad un’altra iniziativa per i Balcani occidentali, nota come il Processo di Berlino. Quest’ultima è sostenuta sia dall’Unione europea che dagli Stati membri dell’Unione. Il Processo di Berlino prevede, permette e garantisce, tra l’altro, l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici nei Paesi balcanici. Quest’iniziativa è stata proposta ed ufficializzata il 28 agosto 2014 proprio a Berlino ed è stata fortemente sostenuta, da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni della stessa Unione. Il Processo di Berlino prevede, come obiettivo fondamentale e sua parte integrante, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più l’iniziativa prevede e garantisce l’attuazione ed il funzionamento normale delle quattro libertà europee e cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Libertà formalmente previste anche dall’iniziativa Open Balkans, ma solo per tre dei sei Paesi balcanici e senza garantire il loro normale funzionamento. Ragion per cui l’iniziativa Open Balkans non ha convinto e non è stata mai sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione.

    L’autore di queste righe alcuni anni fa informava il nostro lettore che il vero ideatore dell’iniziativa Open Balkans era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). In un suo articolo pubblicato nel 1999, subito dopo il crollo del regime di Slobodan Milošević, lui affermava che i Balcani “…non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. Tra l’altro in quell’articolo Soros proponeva, riferendosi alla regione dei Balcani occidentali, che “La regione deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia […] e deve comprendere anche l’Albania”. Lui affermava e garantiva che “…la mia rete delle Fondazioni della Società Aperta adesso è attiva in diversi campi [previsti] del programma”. Non a caso perciò anche il nome Open Balkans (i Balcani aperti) della sopracitata iniziativa. Mentre i tre firmatari dell’iniziativa, circa due decenni dopo, da buoni ingannatori quali sono, mentivano quando si presentavano come ideatori di quell’iniziativa, presentandola come una novità e come una loro idea lungimirante (Sic!). In più bisogna sottolineare che l’iniziativa Open Balkans è fortemente appoggiata anche dalla Russia. Il ministro degli Esteri russo, durante una sua conferenza stampa a Mosca il 6 giugno 2022, ha garantito che “…alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia”. In più il ministro degli Esteri russo, riferendosi alle massime autorità dell’Unione europea, ha ribadito che “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Più chiaro di così!

    Il 22 gennaio scorso a Skopje si è svolto un vertice delle massime autorità dei sei Paesi dei Balcani occidentali. Erano presenti anche i rappresentanti dell’Unione europea e del Dipartimento di Stato statunitense. E, guarda caso, era presente anche il figlio di George Soros! Proprio lui che non è mancato in nessuno dei vertici che riguardano l’iniziativa Open Balkans. Chissà perché?! In quel vertice si è parlato della collaborazione tra i Paesi della regione. Il primo ministro albanese, da innato bugiardo e noto demagogo, ha cercato di nuovo di mettersi in mostra ed attirare l’attenzione. Così come, con la sua misera demagogia, dall’estate scorsa dichiara che Open Balkans era “un’iniziativa fallita”! E lo ha fatto semplicemente perché alcuni mesi dopo, il 16 ottobre 2023, in Albania si era già deciso di svolgere un vertice sul Processo di Berlino, organizzato dall’Unione europea. Ebbene, il primo ministro albanese, che in patria agisce come un autocrate, mentre in sede europea si presenta “piacevole” e non di rado anche vergognosamente ubbidiente, non ha detto che durante quel vertice del 22 gennaio scorso a Skopje lui, il presidente serbo ed il primo ministro macedone hanno firmato due accordi nell’ambito dell’iniziativa Open Balkans. Proprio di quell’iniziativa, che per il primo ministro albanese, dalla scorsa estate, era già fallita. Tutto questo mentre, nello stesso giorno al Parlamento europeo a Bruxelles, il 22 gennaio scorso, il Comitato parlamentare per l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, ha approvato una risoluzione con la quale si smentivano tutte le bugie e gli inganni del primo ministro albanese e si sgretolava la sua misera e spregevole demagogia. Anche quella usata soltanto negli ultimi mesi e riguardante i “continui successi dell’Albania” durante il suo percorso europeo. Comprese quelle bugie e quella demagogia espressa senza batter ciglio dopo l’ennesimo rifiuto del Consiglio europeo del 13 dicembre scorso per aprire i negoziati con l’Albania.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molte più pagine per evidenziare le bugie, gli inganni e la spregevole demagogia di quell’autocrate che è il primo ministro albanese. Egli però avrà senz’altro modo di farlo in futuro, anche perché non mancheranno le occasioni, Anzi! Nel frattempo chi scrive queste righe condivide la convinzione di Aristotele. E cioè che la maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

  • Preoccupanti e pericolose somiglianze

    Tenete sempre divisi i furfanti. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò.

    Jean de La Fontaine

    In Europa uno dei più significativi simboli della “Guerra fredda” era  il Muro di Berlino, noto ufficialmente anche come la Barriera Antifascista da parte di coloro che lo idearono ed, in seguito, lo costruirono. La costruzione del Muro era un’iniziativa comune dell’Unione Sovietica e della Germania dell’Est (la Repubblica Democratica Tedesca) ed ebbe inizio il 13 agosto 1961. Un muro che impediva ai cittadini della Germania dell’Est di passare dall’altra parte, verso il tanto ambito mondo occidentale. Quel muro crollò finalmente il 9 novembre 1989 e segnò anche il crollo dei sistemi dittatoriali comunisti dell’Europa dell’Est, nonché lo sgretolamento della stessa Unione Sovietica. È ormai opinione comune che una delle persone che contribuì a quei importanti eventi e sviluppi geopolitici è stato Papa Giovanni Paolo II. Egli, già durante il suo primo discordo da Papa, il giorno dell’insediamento, il 22 ottobre 1978, tra l’altro disse: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo, alla sua salvatrice potestà!”. Aggiungendo perentorio: “Aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo”. Mentre durante la sua visita ufficiale in Polonia, nel giugno 1979, Papa Wojtyla disse: “Non vuole forse, Cristo, che questo Papa polacco, slavo, proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa?”. Riferendosi proprio al ruolo di Papa Giovanni Paolo II, durante l’Angelus del 9 novembre 2014, in occasione del 25o anniversario della caduta del Muro di Berlino, Papa Francesco disse: “…La caduta avvenne all’improvviso ma fu resa possibile dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto, alcuni fino al sacrificio della vita. Tra questi, un ruolo di protagonista lo ha avuto il santo Papa Giovanni Paolo II”.

    Era il 23 giugno 1996 quando Papa Wojtyla, a Berlino, passava sotto la porta di Brandeburgo. E proprio dalla porta di Brandeburgo, dove si erano radunati numerosissimi partecipanti per vedere e sentire il Pontefice, rivolgendosi ai suoi “cari berlinesi”, a coloro che fino a pochi anni prima erano divisi dal Muro e dai fili spinati, ribadì: “…La Porta di Brandeburgo è stata occupata da due dittature tedesche. Ai dittatori nazionalsocialisti serviva da imponente scenario per le parate e le fiaccolate ed è stata murata dai tiranni comunisti. Poiché avevano paura della libertà, gli ideologi trasformarono una porta in un muro”. E riferendosi a quanto era accaduto negli ultimi decenni passati il Papa aggiunse: “…proprio in questo punto si è manifestato a tutto il mondo il volto spietato del comunismo, al quale risultano sospetti i desideri umani di libertà e di pace. Esso teme però soprattutto la libertà dello spirito, che dittatori bruni e rossi volevano murare”. In seguito, rivolgendosi ai partecipanti, Papa Wojtyla ha ricordato che “… la Porta di Brandeburgo, nel novembre del 1989, è stata testimone del fatto che gli uomini si sono liberati dal giogo dell’oppressione spezzandolo. La Porta chiusa di Brandeburgo era lì come simbolo della divisione; quando infine fu aperta, divenne simbolo dell’unità […]. E così si può dire a ragione: la Porta di Brandeburgo è diventata la Porta della libertà”. Papa Giovanni Paolo II era convinto, e lo ribadì, che “L’uomo libero è tenuto alla verità, altrimenti la sua libertà non è più concreta di un bel sogno, che si dissolve al risveglio”. E le dittature opprimono, annientano la libertà, sia quella del singolo essere umano che della società intera. Causando atroci sofferenze e tantissime vittime innocenti. Quanto è accaduto in Germania, sia durante la dittatura nazista che, poi in seguito, durante la dittatura comunista, rappresenta un’inconfutabile testimonianza. Un valoroso ed importante insegnamento lasciato a tutti e non solo ai berlinesi, quanto Papa Giovanni Paolo II disse convinto e perentorio sotto la Porta di Brandeburgo quel 23 giugno 1996. Un insegnamento per tutti coloro, ovunque nel mondo, che apprezzano la libertà e vogliono, ci tengono, ad essere delle persone libere. Non bisogna mai arrendersi alle dittature!

    Purtroppo in diverse parti del mondo sono attivi non pochi sistemi autocratici/dittatoriali. Dittature “ideologiche e politiche”, nonostante non di rado gli autocrati/dittatori si camuffino dietro le “ideologie” per giustificare tutto il resto. Anche in Europa, fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta siano attivi alcuni sistemi autocratici e dittatoriali. In Turchia l’ormai presidente della Repubblica dal 28 agosto 2014 risulta essere una persona che ha ampi poteri decisionali. Fondatore nel 2001 del partito della Giustizia e dello Sviluppo (nella lingua turca Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP; n.d.a.), è stato il sindaco di Istanbul (1994 – 1998). In seguito è stato primo ministro dal marzo del 2003 fino al suo insediamento come presidente della Repubblica nell’agosto 2014. Quasi due anni dopo, il 15 luglio 2016, in Turchia c’è stato un fallito colpo di Stato. Il presidente turco denunciò allora subito come mandante del colpo di Stato Fethullah Gülen, suo amico fino a qualche anno prima. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito. L’autore di queste righe scriveva allora: “….dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, il presidente turco ha deciso di rafforzare i propri poteri”. Sottolineando che “Il fallito golpe del 15 luglio 2016 rappresenta un momento cruciale della recentissima storia della Turchia in cui è stato coinvolto direttamente e personalmente Erdogan”. Egli scriveva allora che “…il presidente turco dopo il fallimento del golpe aveva soprattutto ideato e avviato un periodo di rappresaglie e di purghe […]….Lui vedeva e considerava nemici dappertutto, chiunque poteva essere e/o diventare un pericoloso avversario per lui. Perciò dichiarò guerra a tutto e tutti. Obiettivi e vittime, uccisi o condannati, decine di migliaia, tra alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, docenti universitari e insegnanti, artisti e altri ancora”. Dopodiché l’autore di queste righe si chiedeva: “E se questo non rappresenta un inizio di dittatura, allora cos’è?” (Erdogan come espressione di totalitarismo; 28 marzo 2017). Dopo il fallito colpo si Stato il presidente della Turchia proclamò un referendum per approvare alcuni emendamenti costituzionali che garantivano al presidente altri poteri. Il referendum, svoltosi il 16 aprile 2017, approvò tutti i richiesti cambiamenti costituzionali. Cosicché il presidente turco, che potrà rimanere al potere fino al 2029, ha aumentato per legge il suo autoritarismo. Proprio lui che da anni, ma soprattutto dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, viene accusato di usare dei “metodi duri” per ammutolire tutte le denunce e le critiche nei suoi confronti, fatte dai suoi avversari, sia in Turchia che all’estero.

    Ma in Europa non è solo il presidente della Turchia che con dei cambiamenti della Costituzione e/o con l’approvazione delle leggi ad personam, garantisce a se stesso poteri e protezione. Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, che è al potere dal 1994 e che esercita il suo potere in modo autocratico, ha firmato nei primi giorni di quest’anno una nuova legge a suo favore. Una legge, approvata alla fine del 2023 dal parlamento, che garantisce al presidente bielorusso “l’immunità a vita contro eventuali procedimenti penali” nei suoi confronti. Inoltre la nuova legge protegge anche i suoi familiari. In più questa legge, riferendosi alla vissuta realtà in Bielorussia, riduce di molto le possibilità per gli avversari politici del presidente di creargli problemi durante le elezioni. Avversari che si trovano soprattutto fuori dal territorio della Bielorussia. Si, perché la nuova legge impedisce a tutti i probabili oppositori, cittadini bielorussi che non hanno vissuto stabilmente nel Paese negli ultimi vent’anni, di candidarsi alle elezioni presidenziali. Guarda caso, le prossime elezioni in Bielorussia sono proprio previste nel 2025. Inoltre tutti sanno che il presidente della Bielorussia è un stretto amico e sostenitore di un altro autocrate/dittatore, il presidente della Russia.

    E proprio all’inizio dello scorso dicembre il presidente della Russia ha annunciato “casualmente” la sua candidatura per le prossime elezioni presidenziali, previste di svolgersi tra il 15 e il 17 marzo prossimo. Lo ha fatto durante una conversazione informale durante la cerimonia di consegna della medaglia della Stella d’Oro agli Eroi della Russia che si è svolta al Cremlino. “Non nascondo che in altri momenti ho avuto pensieri diversi. Ma ora, avete ragione, è il momento di prendere una decisione. Mi candiderò alla carica di presidente della Federazione russa”, ha detto l’autocrate/dittatore russo ai partecipanti. Anche lui, al potere dal 2000, quattro mandati da presidente ed un solo mandato da primo ministro (2008-2012), ha consolidato la sua posizione. Ha usato una “riforma costituzionale” aumentando il mandato presidenziale da quattro a sei anni. In seguito, con altri emendamenti ha fatto partire da zero il conteggio dei sui anni da presidente, il che significa che adesso lui potrà avere anche due altri mandati da presidente. In quanto alle elezioni nel prossimo marzo, con tutta probabilità, lui le vincerà. Anche perché il suo avversario, ormai da anni carcerato, da dicembre scorso è stato trasferito in una prigione per detenuti pericolosi nel nord della Russia.

    Un altro autocrate/dittatore, il primo ministro albanese, è al potere dal 2013. E sta facendo di tutto per continuare ad esercitare e abusare del suo potere prima conferito e poi usurpato. Ormai, fatti accaduti e che stanno tutt’ora accadendo, fatti documentati alla mano, lui, il primo ministro albanese, controlla personalmente tutti i poteri. Lui, essendo il maggior responsabile istituzionale del potere esecutivo, non solo controlla ma addirittura ordina i rappresentanti istituzionali sia del potere legislativo che di quello giudiziario. In più, il primo ministro albanese controlla anche il potere mediatico tramite legami di clientela che ha con i proprietari della maggior parte dei media in Albania. Da anni ormai il nostro lettore è stato informato, con la dovuta e richiesta oggettività, della vera, vissuta e sofferta realtà albanese. Cosi che, fatti accaduti e documentati ufficialmente alla mano, il nostro lettore è stato spesso informato della galoppante corruzione che sta pericolosamente divorando la cosa pubblica in Albania. Da anni chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore, basandosi solo e soltanto sui numerosi fatti facilmente verificabili, che in Albania è stata restaurata negli ultimi anni, e si sta consolidando ogni giorno che passa, una nuova e pericolosa dittatura sui generis. Una dittatura camuffata da un “pluripartitismo” più di facciata che reale, grazie a dei legami occulti e di interesse reciproco che il primo ministro ha stabilito con alcuni dirigenti politici in Albania. Una dittatura pericolosa, come espressione dell’alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente proprio dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale ed alcuni raggruppamenti occulti e finanziariamente potenti internazionali, soprattutto uno di oltreoceano. Anche di questo il nostro lettore è stato spesso informato, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano. Una realtà questa che è stata palesemente confermata anche da quello che è accaduto con il dirigente dell’opposizione, ex presidente della Repubblica (1992-1997) ed ex primo ministro (2005-2013). Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, lui rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E dal 30 dicembre scorso, in piena violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, il dirigente dell’opposizione è agli arresti domiciliari. Anche di questo il nostro lettore è stato informato durante gli ultimi mesi (Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale, 7 novembre 2023; Un dittatore corrotto e disposto a tutto, 20 dicembre 2023).

    Chi scrive queste righe pensa che quanto sopracitato rappresenta delle preoccupanti e pericolose somiglianze. Perciò, parafrasando un po’ Jean de La Fontaine, si potrebbe dire che bisogna tenere sempre divisi i furfanti e gli autocrati/dittatori. La sicurezza del resto della terra dipende da ciò.

  • Doverose riflessioni in questo inizio anno

    Non far nulla senza riflessione, alla fine dell’azione non te ne pentirai.

    Dal Siracide, libro dell’Antico Testamento

    Lunedì scorso, 8 gennaio, Papa Francesco ha incontrato i rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Durante l’udienza, tra l’altro, il Santo Padre ha fatto riferimento alla situazione nel mondo, sottolineando l’importanza della pace. Una “…parola tanto fragile e nel contempo impegnativa e densa di significato”. La pace che “… è primariamente un dono di Dio”. Ma che “…nello stesso tempo è una nostra responsabilità”, ha ribadito il Pontefice. Poi ha ricordato quanto aveva detto papa Pio XII alla vigilia di Natale del 1944, mentre la seconda guerra mondiale stava finendo. Pio XII ne era convinto che già allora si sentiva “…una volontà sempre più chiara e ferma: fare di questa guerra mondiale, di questo universale sconvolgimento, il punto da cui prenda le mosse un’era novella per il rinnovamento profondo”. Sono passati ormai quasi ottant’anni dalla fine di quel conflitto mondiale, ma le vere realtà vissute e spesso sofferte in diverse parti del mondo sono tali da far riflettere tutti e responsabilmente. Papa Francesco ha sottolineato lunedì scorso che purtroppo “…la spinta a quel “rinnovamento profondo” sembra essersi esaurita e il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito “terza guerra mondiale a pezzi” in un vero e proprio conflitto globale”. In seguito, durante l’udienza, il Pontefice ha fatto un’analisi della situazione in diverse parti del mondo, dove sono in corso dei conflitti armati. Come quelli in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Ma anche nel Caucaso Meridionale, dove continauno gli attriti tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Papa Francesco ha analizzato anche la preoccupante situazione tutt’ora in corso nel continente africano, dove sono diversi i Paesi in conflitto. Così come ha fatto con la situazione dell’America del Sud. Rivolgendosi ai rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Pontefice ha ribadito che “…la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana. […]. La via della pace esige il rispetto dei diritti umani, secondo quella semplice ma chiara formulazione contenuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”. Il Pontefice ha poi espresso la sua ferma convinzione, secondo la quale “…Il dialogo, invece, dev’essere l’anima della Comunità internazionale”. Sottolineando che “…L’attuale congiuntura è anche causata dall’indebolimento di quelle strutture di diplomazia multilaterale che hanno visto la luce dopo il secondo conflitto mondiale”. Il Papa ha ribadito altresì che “…Per rilanciare un comune impegno a servizio della pace, occorre recuperare le radici, lo spirito e i valori che hanno originato quegli organismi, pur tenendo conto del mutato contesto e avendo riguardo per quanti non si sentono adeguatamente rappresentati dalle strutture delle Organizzazioni internazionali”. Spirito e valori come quelli che hanno evidenziato e proclamato sia gli autori del “Manifesto di Ventotene”, che altri Padri Fondatori dell’attuale Unione europea. Coloro che hanno ideato e attuato il 18 aprile 1951 la costituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Proprio quei Padri Fondatori che sei anni dopo, lungimiranti, convinti e determinati hanno firmato, il 25 marzo 1957, il Trattato di Roma che diede vita alla Comunità Economica Europea, la quale, con il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992, divenne l’attuale Unione europea.

    Purtroppo, non devono preoccupare solo i diversi conflitti armati attualmente in corso, evidenziati da Papa Francesco lunedì scorso, l’8 gennaio, durante l’udienza con i rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Devono preoccupare seriamente anche i molti regimi dittatoriali oppressivi ed attivi in diversi Paesi del mondo. Si tratta di realtà vissute e sofferte che generano la morte, causando tantissime vittime umane, come anche i conflitti armati. Con solo una differenza. Si, perché per le vittime delle guerre si tengono delle evidenze più o meno esatte, mentre per le vittime delle dittature, per centinaia di migliaia di persone che perdono la vita in “silenzio”, nel corso degli anni, in seguito alle numerose violazioni, sofferenze e privazioni, spesso non si sa niente. Si tratta di realtà, quelle legate alle dittature, dove l’individuo, l’essere umano, deve soltanto e semplicemente ubbidire al regime, oppure deve subire tutte le conseguenze. Si tratta delle realtà di cui non sempre si parla e si sa pubblicamente quello che accade, soprattutto fuori dai confini del paese. Si tratta purtroppo di realtà vissute, sofferte e note solo lì dove il regime esercita il suo potere dittatoriale. Ma durante questi ultimi decenni ci sono delle realtà che hanno cominciato ed essere note anche in altre parti del mondo. Sono delle realtà evidenziate e rese pubbliche, tra l’altro, sia da giornalisti coraggiosi, che da cittadini scappati da quelle dittature. Realtà rese pubblicamente note, altresì, da alcune istituzioni internazionali specializzate che da anni analizzano lo stato della democrazia nella maggior parte dei Paesi del mondo. Lo ha fatto dal 2006 anche l’Economist Intelligence Unit Index of Democracy (L’Unità d’intelligenza dell’Economist, parte del noto settimanale britannico The Economist che prepara e pubblica l’Indicatore della Democrazia nel mondo; n.d.a.). Oggetto dello studio, dell’elaborazione dei dati e delle analisi specializzate sono 167 diversi Paesi. Facendo riferimento allo stato  reale della democrazia, i Paesi vengono classificati in quattro categorie, denominate come “democrazie complete”, “democrazie imperfette”, “regimi ibridi” e “regimi autoritari”. Lo studio si concentra su cinque diversi obiettivi principali, che sono il processo elettorale ed il pluralismo, le libertà civili, il funzionamento del governo, la partecipazione politica e la cultura politica/democratica.

    Ebbene, dall’ultimo rapporto dell‘Economist Intelligence Unit pubblicato nel febbraio del 2023 e che si riferisce ai dati del 2022, raccolti ed elaborati nel ambito del Democracy Index, risulta che solo circa la metà della popolazione mondiale, e cioè il 45.3%, vive in un Paese con un sistema democratico, in una delle sue note e studiate forme. Dallo stesso rapporto per il 2022 risulta però e purtroppo che il 36.9% della popolazione mondiale vive in un Paese dov’è attivo un regime autoritario. L’Afghanistan risulta essere il Paese ultimo classificato. Tutto dovuto al ritorno dei talebani al potere, dopo il ritiro vergognoso delle truppe internazionali da Kabul, il 15 agosto 2021. Un ritorno quello che ha di nuovo restaurato il loro regime. Dall’ultimo rapporto dell‘Economist Intelligence Unit risulta che il Paese che ha avuto il peggior andamento nel mondo, dal punto di vista dell’adempimento dei principi democratici, è stato la Russia. Il Paese, una delle maggiori potenze mondiali, ha perso 22 punti rispetto alla sua posizione del 2021, fermandosi al 146o posto. Nel rapporto si elencano anche tutti gli altri Paesi oggetto dello studio, le loro posizioni ed il perché di quei risultati. Il rapporto dell‘Economist Intelligence Unit, pubblicato dal settimanale britannico The Economist, termina con la frase: “Nonostante alcuni miglioramenti globali, la democrazia resta minacciata”. Una preoccupante constatazione questa che deve far riflettere seriamente tutti coloro che hanno delle responsabilità politiche ed istituzionali, sia in ogni singolo Paese, che a livelli più ampi.

    Anche in Europa, come in altre parti del mondo, ci sono dei Paesi nei quali non si rispettano i principi dalla democrazia, non si rispettano i diritti innati dell’essere umano ed altri sacrosanti diritti acquisiti. Paesi dove non si rispetta il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Un principio che rappresenta anche un criterio di valutazione del funzionamento del sistema democratico in un determinato Paese. Un principio quello della separazione dei poteri noto già dall’antichità ed ovviamente adattandosi alle condizioni storiche e sociali dell’epoca. Un principio che è stato elaborato in seguito, durante il diciottesimo secolo, da Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, un filosofo, giurista, nonché studioso di storia e del pensiero politico francese e non solo, meglio e semplicemente noto Montesquieu. L’autore di queste righe, mentre tratta ed analizza per il nostro lettore argomenti che hanno a che fare con la democrazia e/o i regimi autocratici e dittatoriali, ha spesso fatto riferimento al principio della separazione dei poteri. In un suo precedente articolo egli trattava ampiamente proprio questo principio. “Un principio che si basa sulla necessità di garantire la sovranità dello Stato e che individua tre poteri, i quali devono essere sempre attivi e ben indipendenti uno dall’altro, proprio per non permettere abusi di potere che danneggerebbero il normale funzionamento di uno Stato democratico”, scriveva l’autore di queste righe per il nostro lettore a fine ottobre 2023. Cercando di risalire alle origini storiche del principio, egli scriveva: “Il principio della separazione dei poteri era già noto dall’antichità, sia in Grecia che, in seguito, anche nella Roma antica. Un principio trattato da Platone, nella sua nota opera “La Repubblica” e da Aristotele, nella sua opera “La Politica”. Un principio che venne adottato anche nella Costituzione della Roma antica. Ma un trattamento dettagliato del principio della separazione dei poteri in uno Stato democratico è stato fatto secoli dopo. Prima da John Locke, nella sua opera “Due trattati sul governo”, pubblicata nel 1690, in seguito Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, dopo un lungo e impegnativo lavoro, durato per ben quattordici anni, pubblicò  nel 1748 un insieme di trentuno libri, raccolti in due volumi ed intitolato “Spirito delle leggi” (De l’esprit des lois; n.d.a.)”. E poi aggiungeva che “…Ovviamente Montesquieu, quando ha scritto la sua opera prendeva in considerazione l’organizzazione statale di quel tempo, tenendo presente soprattutto l’organizzazione statale nel Regno Unito e la sua Costituzione. Perciò affermava che il potere legislativo “…verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo”. Invece, per quanto riguarda il potere esecutivo “…deve essere nelle mani d’un monarca, perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d’una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”. Mentre, riferendosi al potere giudiziario, Montesquieu ribadiva che doveva essere rappresentato ed esercitato da “…giudici tratti temporaneamente dal popolo”. Il potere giudiziario dovrebbe, altresì, “…essere sottoposto solo alla legge, di cui deve riprodurre alla lettera i contenuti”. Secondo lui il potere giudiziario, doveva essere “la bouche de la lois” (la bocca della legge; n.d.a.)”. Così scriveva l’autore di queste righe per il nostro lettore (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 30 ottobre 2023). È ormai ben noto il pensiero di Montesquieu, filosofo e giurista francese del Settecento, attuale anche adesso. Ed è ben nota una frase con la quale egli spiegava anche l’indispensabilità della separazione del potere esecutivo da quello legislativo e dal potere giudiziario. L’indispensabilità che quei tre poteri siano sempre indipendenti l’uno dall’altro. Montesquieu era convinto che “…Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Purtroppo attualmente sono non pochi coloro che, avendo del potere da esercitare, ne fanno uso ed abuso. Lo testimoniano fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo in diversi Paesi del mondo, alcuni dei quali anche in Europa. Così come lo testimoniano inconfutabilmente, tra l’altro, anche gli studi e i rapporti ufficiali pubblicati da diverse istituzioni internazionali specializzate; compresa l‘Economist Intelligence Unit.

    Chi scrive queste righe ha valutato di fare e di condividere con il nostro lettore alcune doverose riflessioni in questo inizio anno. Egli, nel suo piccolo, continuerà a trattare questi argomenti anche in futuro. Chi scrive queste righe è convinto che ciascuno deve fare di tutto per sostenere i processi democratici. Ma, allo stesso tempo, deve contrastare qualsiasi tendenza che porta ad un regime autocratico. Perché verrà un giorno in cui ognuno deve rendere conto alla propria coscienza.

  • Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale

    Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro.

    Henry de Montherlant

    In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una totale, allarmante e pericolosa ubbidienza delle istituzioni statali e governative agli ordini che arrivano dal primo ministro e/o da chi per lui. In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una preoccupante, consapevole e palese violazione della Costituzione della Repubblica d’Albania e delle leggi in vigore. In queste ultime settimane in Albania si stanno prendendo delle illecite decisioni, testimoniando una vile e spregevole ubbidienza a colui che comanda tutto e tutti, delle decisioni deliberate proprio dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizi, dal parlamento ed altre. Decisioni che confermano il preoccupante e continuo consolidamento del regime dittatoriale in Albania. Il nostro lettore ormai da anni è stato informato con la dovuta e richiesta oggettività e sempre fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, di quello che sta accadendo in Albania e che riguarda la restaurazione ed il consolidamento della nuova dittatura sui generis. Una dittatura che sempre, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta essere l’espressione diretta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato direttamente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    L’autore di queste righe da anni ormai ripete continuamente, riferendosi alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, che si tratta di una dittatura camuffata dietro una parvenza di pseudo democrazia e di pluripartitismo. Si tratta di una dittatura che, in realtà, ha come obiettivo strategico il controllo diretto, da parte di una sola persona o di un gruppo ristretto di persone legate da interessi comuni tra di loro, dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico. E cioè del potere legislativo, del potere esecutivo e quello giudiziario. Ma siccome in uno Stato democratico l’opposizione politica rappresenta un’altra istituzione molto importante, prevista, sancita e tutelata dalla Costituzione, allora il regime dittatoriale fa di tutto per controllare anche l’opposizione. O, almeno, una parte dell’opposizione, in modo da avere sempre i numeri necessari in parlamento per approvare tutto quello che è la “volontà” di colui che gestisce il sistema dittatoriale. Soprattutto quando si tratta di far approvare delle leggi clientelistiche, leggi ad personam, imposte anche dagli interessi degli “alleati” del primo ministro albanese, oligarchi e/o criminalità organizzata locale ed internazionale compresa. Anzi, soprattutto leggi imposte da loro e per loro. Ovviamente cercando di imbrogliare con delle parvenze fasulle. E se non ci riescono, allora si decide l’annientamento dell’opposizione politica. Proprio come stanno cercando di fare, soprattutto durante queste ultime settimane. Perché adesso il primo ministro non usufruisce più dei servizi di un’opposizione da lui controllata. Si perché negli anni passati il primo ministro aveva trovato nella persona che aveva usurpato la dirigenza del partito democratico, il maggior partito dell’opposizione, proprio colui che era diventato, nolens volens, una “ubbidiente stampella” ad essere usato quando era necessario. Il nostro lettore è stato informato di quel diretto e dannoso rapporto tra i due, partendo dal 2017 ed in seguito (Habemus pactio, 22 maggio 2017; Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette, 29 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Vergognosa, arrogante e sprezzante ipocrisia dittatoriale in azione, 6 giugno 2022; La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere, 12 luglio 2022 ecc…). Ma siccome da più di due anni ormai la “ubbidiente stampella” del primo ministro albanese non riesce più a garantire per lui i necessari voti al parlamento, quest’ultimo sta usando altri “metodi” per annientare, o per lo meno dividere l’opposizione. Metodi che si basano su minacciosi ricatti, fatti a quei deputati dell’opposizione che hanno degli “scheletri nell’armadio”. Oppure metodi che si basano su dei benefici di vario tipo, per quei deputati e/o dirigenti dell’opposizione che si rendono utili per la realizzazione di quello che serve al primo ministro. E se tutto ciò non basta, allora si usano dei “metodi duri”. Metodi in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore in Albania. E poco importa per il primo ministro che sia così. Basta che riesca ad avere quello che a lui serve. Ma anche a tutti coloro che lui rappresenta, criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti compresi. Anzi, loro per primi. Perciò proprio adesso sono stati scelti i “metodi duri”. E soprattutto adesso, quando il primo ministro ha molti, moltissimi grattacapi che lo tormentano continuamente. Proprio adesso, quando lui si trova impantanato in una melma che lo inghiottisce in una sempre più grave situazione generata da innumerevoli scandali milionari.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato di ulteriori testimonianze che confermano il diretto controllo, da parte del primo ministro, anche del potere giudiziario, oltre che al potere esecutivo e legislativo. In più il nostro lettore è stato informato anche del rapporto ufficiale per il 2023 che riguarda il sistema della giustizia in Albania. Un rapporto presentato dall’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.), che è stata fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. Ebbene, secondo quel rapporto, che analizza i sistemi di giustizia in ben 142 Paesi diversi, l’Albania si trova alla 91a posizione, regredendo di quattro posizioni rispetto al 2022. Mentre, riferendosi al 2017, l’Albania era regredita di ben 23 posti! Non solo, ma nel rapporto si presentano molti dati, che riguardano otto diversi aspetti dello studio, messo in atto da un apposito strumento dell’organizzazione, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Secondo quei dati, il sistema “riformato” della giustizia in Albania era vistosamente regredito in confronto ad un anno fa. E tenendo presente gli otto diversi aspetti dello studio, i risultati della parte afferente l’Albania dimostrano inconfutabilmente ed in modo convincente che il sistema “riformato” della giustizia, rappresentando uno dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico, è tutt’altro che indipendente! La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato non solo di questo, ma anche della preoccupante realtà nel Paese. L’autore di queste righe sottolineava che “la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione” (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 31 ottobre 2023).

    Il regime dittatoriale che si sta consolidando in Albania, sta usando ormai il sistema “riformato” della giustizia per colpire direttamente i suoi avversari politici. Ed in particolare l’attuale dirigente del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E se non ci si riesce, allora anche con dei “metodi duri”. Ed è proprio quello che il regime sta facendo in queste due ultime settimane, non importa se quanto stanno facendo è in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore. Due settimane fa il nostro lettore è stato informato di una decisione, del tutto anticostituzionale, che si riferiva proprio al dirigente dell’opposizione. Una decisione resa nota il 21 ottobre scorso. Era un sabato sera. L’autore di queste righe scriveva, tra l’altro: “Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto”. Aggiungendo anche che era “Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione è anche un deputato” (Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione; 23 ottobre 2023). Si,perché l’articolo 73, comma 2 della Costituzione sancisce che “Il deputato non può essere arrestato, oppure a lui non si può togliere la libertà in qualsiasi forma e nemmeno si può fare, nei suoi confronti, un controllo personale o della sua abitazione, senza [una preventiva] autorizzazione del Parlamento”.

    Ebbene sia “l’ordine d’apparizione” che “il ritiro del passaporto” rappresentano due forme diverse della negazione della libertà per un cittadino, compreso un deputato. Ma lo scandalo, causato dall’uso dei “metodi duri”, non è finito solo con quella decisione anticostituzionale. Denunciando la decisione, sia il diretto interessato che i suoi avvocati, hanno chiesto di rispettare la Costituzione. In più hanno chiesto un processo giudiziario secondo quanto prevedono le leggi in vigore. Lo scandalo continua durante una nuova udienza, nella quale è stato “scelto” dal tribunale un avvocato d’ufficio, visto che gli avvocati del deputato sono stati costretti ad uscire dall’aula. E, guarda caso, quello scelto era pubblicamente un noto sostenitore del primo ministro ed un “avversario” del dirigente dell’opposizione (Sic!). Contestato il fatto, il tribunale ha scelto due altri avvocati d’ufficio che poi non si sono presentati. Finalmente è stata scelta un’ultima avvocato, nostalgica del regime comunista e sostenitrice dell’attuale governo. Il caso prosegue, sempre in piena violazione della Costituzione e del Regolamento del Parlamento. Ma anche in piena e palese contraddizione con altri casi che riguardavano altri deputati del Parlamento. Anche recentemente. Chissà perché?! Si sa però che tutto si sta facendo perché così vuole il primo ministro. E le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia non hanno nessuna altra scelta. Devono soltanto ubbidire.

    Come sta ubbidendo anche la presidente dello stesso parlamento. Lei, in seguito all’ordine arrivato “dall’alto”, durante queste due ultime settimane ha negato ai deputati dell’opposizione i loro diritti previsti sia dalla Costituzione che dal Regolamento del Parlamento stesso. Dalla scorsa settimana i deputati dell’opposizione si stanno affrontando, sia in aula che in altri ambienti del parlamento, con una massiccia presenza della Guardia della Repubblica. Mentre ieri, lunedì 6 novembre, l’edificio dove si trovano gli uffici dei gruppi parlamentari e quelli delle commissioni parlamentari era chiuso e circondato da molti membri della Guardia della Repubblica. Perciò nessun deputato poteva entrare e svolgere la propria normale attività. Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Parlamento rappresenta un altro scandalo anticostituzionale che coinvolge direttamente la presidente ed altri funzionari del parlamento. Ma anche chi ordina loro!

    Chi scrive queste righe considera quanto sta accadendo in Albania in queste ultime settimane una preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale. Egli continuerà a seguire tutti gli sviluppi ed informerà il nostro lettore, sempre con la dovuta oggettività. Intanto lo scrittore francese Henry de Montherlant era convinto che “Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro”. Una convinzione quella che viene confermata anche da quanto sta accadendo in Albania durante questi ultimi anni. E si sa, le dittature abusano sempre del potere usurpato.

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