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  • Chinese hackers used Facebook to target Uighurs abroad, company says

    (Reuters) – Facebook Inc said on Wednesday it had blocked a group of hackers in China who used the platform to target Uighurs living abroad with links to malware that would infect their devices and enable surveillance.

    The social media company said the hackers, known as Earth Empusa or Evil Eye in the security industry, targeted activists, journalists and dissidents who were predominantly Uighurs, a largely Muslim ethnic group facing persecution in China.

    Facebook said there were less than 500 targets, who were largely from the Xinjiang region but were primarily living abroad in countries including Turkey, Kazakhstan, the United States, Syria, Australia and Canada.

    It said the majority of the hackers’ activity occurred away from Facebook and that they used the site to share links to malicious websites rather than directly sharing the malware on the platform.

    “This activity had the hallmarks of a well-resourced and persistent operation, while obfuscating who’s behind it,” Facebook cybersecurity investigators said in a blog post. (bit.ly/3lLi8wY)

    Facebook said the hacking group used fake Facebook accounts to pose as fictitious journalists, students, human rights advocates or members of the Uighur community to build trust with their targets and trick them into clicking malicious links.

    It said hackers both set up malicious websites using look-alike domains for popular Uighur and Turkish news sites and compromised legitimate websites visited by the targets. Facebook also found websites created by the group to mimic third-party Android app stores with Uighur-themed apps, like a prayer app and dictionary app, containing malware.

    Facebook said its investigation found two Chinese companies, Beijing Best United Technology Co Ltd (Best Lh) and Dalian 9Rush Technology Co Ltd (9Rush) had developed the Android tooling deployed by the group.

    The Chinese Embassy in Washington did not immediately return a message seeking comment on Facebook’s report. Beijing routinely denies allegations of cyber espionage.

    Reuters was not immediately able to locate contact information for Dalian 9Rush Technology Co Ltd. A man who answered the number listed for Beijing Best United Technology Co Ltd hung up.

    Facebook said it had removed the group’s accounts, which numbered less than 100, and had blocked the sharing of the malicious domains and was notifying people it believed were targets.

    Reporting by Elizabeth Culliford in New York and Raphael Satter in Washington; Editing by Lisa Shumaker

    Our Standards: The Thomson Reuters Trust Principles.

  • Il potere dei social media

    Cosa pensereste se, entrando in un negozio ove eravate abituati a fare acquisti il proprietario ve lo impedisse e vi cacciasse fuori dicendo che gli siete antipatico perché vi vestite non secondo il suo gusto? E cosa pensereste se nel democratico Paese di cui siete cittadino qualcuno vi dicesse che tutti avranno libertà di parola ma non voi e chi la pensasse come voi?

    È ovvio che reagireste indignati gridando alla dittatura e alla violazione dei più elementari diritti di libertà che credevate garantiti dalle leggi che i vostri rappresentanti avevano votato.

    Ebbene, negli Stati Uniti di oggi accade di peggio.

    Un gruppo di società private si è arrogato il diritto di decidere chi può proporre agli altri le proprie idee e chi ne verrà impedito.  Twitter, Instagram, Facebook, YouTube, Snapchat e altri “social” più o meno connessi hanno deciso che il signor Donald Trump e tutti i suoi simpatizzanti non potranno più avere accesso ai loro servigi. In altre parole non sarà loro concesso di usare questi strumenti per comunicare tra loro o con terze persone.

    Occorre notare che non abbiamo a che fare con un tipo qualunque di società, bensì di strumenti di comunicazione talmente diffusi in tutti gli strati della popolazione da poter essere oramai considerati un vero e proprio sevizio pubblico. Un po’ come il servizio postale. Vi immaginate se qualcuno decidesse che voi non potrete più ricevere o spedire alcuna forma di corrispondenza?

    Il fatto diventa di una enorme gravità quando si considerano tutti i fattori coinvolti:

    1. Il mercato dei social è praticamente oggetto di un oligopolio che può mettere fuori gioco (e lo sta facendo tramite boicottaggi o acquisizioni) ogni tentativo di creare lo spazio per un’alternativa. Per definizione, non possono esserci molti social network poiché il loro scopo è di connettere molti utenti, ognuno dei quali può “consumare” solo un numero limitato di servizi internet di questo tipo.
    2. Donald Trump fino al 20 di Gennaio è ancora il Presidente in carica degli Stati Uniti
    3. Limitandoci solamente a Twitter, i “lanci” di Donald Trump erano seguiti da 80 milioni di persone che, da pochi giorni orsono, non potranno più farlo.
    4. Donald Trump, Presidente o non Presidente, è un uomo politico che aveva deciso (affar suo!) di comunicare con i suoi elettori o simpatizzanti soprattutto attraverso quei servizi di comunicazione.

    Di fatto, dei privati cittadini hanno autonomamente deciso che Donald Trump non ha, e non avrà più, gli stessi diritti di espressione e di libertà di parola di tutti gli altri.

    Rientra tutto questo nell’idea che ci eravamo fatto della democrazia e dello Stato di diritto?

    Le risposte avanzate dai sostenitori di quello che a me sembra un misfatto sono di due tipi:

    1. le parole di Trump sono un invito alla violenza e quindi vanno zittite preventivamente in nome della pace sociale.
    2. anche Twitter e tutti gli altri, così come qualunque testata giornalistica, hanno il diritto di pubblicare o meno interviste, dichiarazioni o commenti che, per qualunque loro insindacabile motivo, giudichino non opportuni.

    Per quanto riguarda il punto b), la differenza per nulla insignificante è che, almeno fino ad ora, anche negli Stati Uniti le testate giornalistiche sono numerose e il loro pubblico conosce sin dall’inizio quale preferire in base alla loro più o meno marcata tendenza politica. Il caso di Twitter e i social network che si presentano come indipendenti e senza vocazione politica è ben diverso poiché, lo si voglia o non lo si voglia, tutti insieme coprono pressoché la totalità del mercato della comunicazione “social”.

    Il punto a) è ancora più delicato. In uno Stato di diritto esiste una magistratura che si presume indipendente e che è titolata, come unica fonte giuridica, a censurare dopo adeguata istruttoria atti compiuti o dichiarazioni rilasciate da un qualunque cittadino. La stessa magistratura è l’unica che, eccezionalmente, può intervenire in modo preventivo al fine di evitare reati. Nessuna legge democratica prevede la concessione di tale diritto a chi non è legalmente autorizzato.

    La magistratura americana a questo proposito è sempre stata molto precisa: la censura è una restrizione alla libertà di parola ed il primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, adottato nel 1791, la garantisce. Perfino il Governo Federale e i Governi dei vari Stati non hanno il diritto di censurare l’espressione dei singoli cittadini. Quando, nel 2019, Trump chiese di bloccare l’accesso ai commenti sul suo account Twitter, una Corte d’Appello Federale gli negò il diritto di farlo, proprio invocando la libertà di espressione prevista dal primo emendamento. È pur vero che In un atto del 1996 (Communication Decency Act, paragrafo 230) la legge stabilì che i social network sono autorizzati a limitare l’accesso a contenuti che loro stessi considerano osceni o offensivi ma in un “Counteracting Internet Censorship” del maggio 2020 tale autorizzazione viene limitata a pubblicazioni piratate o se relative ad abusi sessuali sui minori. Inoltre, gli stessi network sono esentati dalla responsabilità civile per i contenuti che gli utenti vi pubblicano limitando proprio a costoro le conseguenze civili e penali dei loro atti.

    La questione riguardante la censura preventiva e la difesa della libertà d’espressione è stata, negli ultimi mesi, oggetto di una diatriba tra Repubblicani ed i Democratici. Questi ultimi, in spregio al loro stesso nome, chiedono di aumentare la responsabilità dei social network verso ciò che pubblicano e quindi di concedere loro un diritto censorio perfino maggiore. Tuttavia, detto ciò, sia i Repubblicani che i Democratici hanno sostenuto al Congresso e al Senato che i più grandi social network sono “oggettivamente” un oligopolio ed è cominciata la discussione sulla possibilità di obbligare le società più grandi a spezzettarsi, così come fu fatto agli inizi del ‘900 nei confronti dei giganti del petrolio. L’accusa bipartisan è di manipolare, con accordi sotterranei, i prezzi della pubblicità, confermando così la mancanza di libera concorrenza in quel tipo di mercato.

    Considerando la loro posizione dominante, se fosse confermato il diritto dei social network a decidere autonomamente cosa sia legittimo e cosa no, chi autorizzare e chi censurare, si realizzerebbe di fatto qualcosa di molto simile a quel controllo totalizzante ipotizzato in modo preveggente da George Orwell nel suo famoso “1984”. La sola differenza, che rende la cosa perfino peggiore, è che in quella anti-utopia chi controllava i cittadini era un Governo. In questo caso il potere apparterrebbe invece e solamente a un piccolo gruppo di arricchiti che potrà così controllare il mondo.

  • Facebook testa in Brasile i pagamenti via Whatsapp

    WhatsApp ha lanciato ufficialmente il suo sistema di pagamenti tramite app. Si comincia dal Brasile ma presto il sistema verrà esteso ad altri Paesi, ha annunciato Mark Zuckerberg. Dal 15 giugno il servizio di messaggistica di proprietà di Facebook mette a disposizione degli utenti brasiliani un servizio di pagamenti e scambio di denaro. Saranno loro quindi i primi tester della nuova tecnologia. “Stiamo rendendo l’invio e la ricezione di denaro facile come la condivisione delle foto”, ha scritto il fondatore di Facebook sul suo profilo ufficiale. “Stiamo anche consentendo alle piccole imprese di effettuare le vendite direttamente all’interno di Whatsapp”, ha aggiunto.

    Lo scambio di denaro su Whatsapp, che attualmente conta circa 2 miliardi di utenti nel mondo, userà la tecnologia già sviluppata da Facebook Pay, in uso dallo scorso novembre in alcuni Paesi tra cui Stati Uniti e Gran Bretagna. “Voglio ringraziare tutti i nostri partner per aver reso possibile tutto questo”, ha aggiunto Zuckerberg. “Stiamo lavorando con le banche locali, tra cui Banco do Brasil, Nubank, Sicredi e Cielo, il principale processore di pagamenti per i commercianti in Brasile. Il Brasile è il primo Paese in cui stiamo estendendo ampiamente i pagamenti in WhatsApp. Ne arriveranno presto altri”, ha annunciato nel post.

    In un blogpost sul proprio sito ufficiale, Whatsapp precisa inoltre che il servizio di pagamento sarà gratuito per i consumatori (non richiederà quindi commissioni), ma le aziende pagheranno una tassa pari al 3,99 percento di ogni pagamento ricevuto. Prima di lanciare ufficialmente in Brasile, Facebook ha provato a testare Whatsapp pay in India, ricevendo però diversi freni dalle autorità locali.

  • L’UE intensifica la lotta alla disinformazione ma per Facebook è un limite alla libertà di espressione

    Facebook mette in guardia utenti e non solo sul rischio di libertà di espressione perché l’Unione Europea sta attuando misure per fermare le campagne di disinformazione sulle piattaforme online.

    Secondo Nick Clegg, vicepresidente per gli Affari generali di Facebook, nel mondo online quello che poteva essere considerato un discorso accettabile si è ristretto negli ultimi anni erodendo la libertà di espressione.

    Facebook, stando sempre alle parole del manager, sta facendo attenzione a non oltrepassare la linea sottile tra il divieto di disinformazione e la soppressione della libertà di espressione.

    Le altre piattaforme social si sono già impegnate a vietare la pubblicità politica, tuttavia, Facebook ha finora resistito.

    Si prevede che l’UE, che ha istituito un gruppo sulla libertà dei media per valutare il problema, delineerà il suo piano d’azione per la democrazia con misure per la lotta alla disinformazione, consentendo nel contempo elezioni libere ed eque.

    All’inizio di questo mese, intanto, Facebook ed eBay si sono impegnate a rimuovere account, pagine e gruppi coinvolti nel commercio di recensioni false.

  • Facebook metterà il suo nome accanto a WhatsApp e Instagram

    Presto i nomi ufficiali di Instagram e Whatsapp, entrambi posseduti da Facebbok, diventeranno Instagram from Facebook e WhatsApp from Facebook, affinché chiunque capisca chi ne è il titolre.

    «Vogliamo essere più chiari per quanto riguarda i prodotti e i servizi che fanno parte di Facebook» ha spiegato l’azienda, ma la scelta di cambiare la denominazione pare aver creato sorpresa e confusione nei dipendenti. Perché infatti cambiare il marchio di un servizio molto noto e popolare, col rischio che cambi anche la percezione degli utenti (magari in peggio)?

    Facebook non gode di ottima fama per quanto riguarda il rispetto della privacy degli utenti e menzionarne il nome rischia di risultare non troppo gradito a quanti finora non sapevano che  Instagram e WhatsApp fanno capo ad esso. Secondo alcuni commentatori, potrebbero essere però proprio motivi legati alla privacy la base per questa mossa: Facebook, in questo modo, starebbe cercando di mostrare alle varie autorità che si occupano di tutelare i dati degli utenti che non ha alcuna intenzione di nascondersi dietro marchi certamente noti ma apparentemente non legati al social network in blu. D’altra parte, è anche possibile che si tratti semplicemente di un’ulteriore parte del piano che porterà gli account Facebook, Instagram e WhatsApp a essere sempre più integrati tra loro, un’operazione sulla quale Facebook non ama sbilanciarsi troppo, almeno pubblicamente.

  • I like via facebook devono rispettare le norme della Ue sulla privacy

    La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha deciso che chi gestisce siti web nei quali si possano utilizzare funzioni tipo il Like di Facebook «può essere congiuntamente responsabile con Facebook della raccolta e della trasmissione dei dati personali dei visitatori del suo sito». Anche se è Facebook a fornire il codice de pulsante ed è ancora Facebook che alla fine gestisce i dati, il gestore del sito che ospita il pulsante viene considerato corresponsabile del trattamento dei dati e della tutela della privacy di chi utilizza quel pulsante.

    La sentenza è giunta in seguito all’azione intrapresa dall’associazione tedesca di consumatori Verbrauchenzentrale NRW nei confronti dell’impresa di abbigliamento Fashion ID. Oggetto del contendere era proprio il pulsante Mi piace presente sul sito di Fashion ID tramite il quale, secondo l’associazione, venivano trasmessi a Facebook i dati personali dei visitatori «da un lato – ha stabilito la Corte – senza il consenso di questi ultimi e, dall’altro, in violazione degli obblighi d’informazione previsti dalle disposizioni relative alla protezione dei dati personali».«Risulta – si legge ancora nella sentenza – che tale trasmissione avviene senza che il visitatore di cui trattasi ne sia consapevole e indipendentemente dal fatto che egli sia iscritto al social network Facebook o che abbia cliccato sul pulsante “Mi piace”».

    Per i proprietari dei siti si prospetta ora un nuovo obbligo, seppure la Corte riconosca che, dopo che i dati sono stati trasmessi a Facebook, il sito di partenza non ha più alcuna responsabilità.

    Commentando la vicenda, Facebook ha fatto sapere che studierà la sentenza e farà in modo che i suoi plugin non ledano i diritti degli utenti, preservando al tempo stesso le funzionalità care ai siti, ossia ottenere visibilità sulla piazza più frequentata del web.

  • Cervello umano e computer potranno interagire

    La telepatia tra uomo e computer potrebbe divenire realtà e il secondo potrebbe scrivere le parole che il primo vuole scrivere senza bisogno di pronunciarle, ma solo pensandole. Facebook e prima ancora Elon Musk si erano prefissi da tempo l’obiettivo di consentire a chi non può più esprimersi attraverso la voce di poter trasformare il proprio pensiero in un testo scritto, ora uno studio dell’Università della California ha dimostrato che progetto è realizzabile.

    Una ricerca condotta con l’aiuto di tre persone affette da epilessia, cui erano già stata impiantati nel cervello alcuni elettrodi per monitorare l’attività cerebrale ha consentito ai ricercatori di visualizzare le parole pensate dai tre soggetti.

    La ricerca si è avvalsa di elettrodi sui tre soggetti e anche il progetto di Elon Musk prevedeva un intervento chirurgico, Facebook punta invece a connettere cervello e computer senza interventi invasivi. Mark Chevillet, dei Facebook Reality Labs, prevede che serviranno almeno altri 10 anni per completare il lavoro: “E’ un programma a lungo termine”.

  • Facebook launches European war room aimed at fighting election interference

    Social media giant Facebook has set up a European headquarters in Dublin to act as a command centre to combat against election-meddling during the 23-26 May EU elections.

    The new war room, which was modelled after its predecessor in the Silicon Valley before the 2018 US midterm elections. will have 40 employees charged with monitoring  Facebook, Instagram, and WhatsApp in the 24 official EU languages.

    Facebook analysts are looking track and stop online disinformation campaigns, identify fake accounts, and monitor any foreign meddling that could sway voters. Citing security concerns, the company has not informed the public exactly what its employers will actually do at the centre, but what is known is that Facebook has also partnered with 21 fact-checking organisations to either remove or flag disinformation, bogus accounts, any posts that support them.

    Facebook platform played a major role in Russia’s successful attempt to meddle in the 2016 US elections. The company has been forced to take a more proactive role to repair some of the damage done to its image and has already banned from its platforms American right-wing conspiracy theorist, and a main proponent of Russian propaganda, Alex Jones, and several other divisive figures.

    The platform has also taken actions to remove over 2.8 billion fake accounts.

  • Milioni di password per Facebook vanno cambiate perché non sono protette

    Secondo quanto segnalato dall’esperto di sicurezza Brian Krebs, Facebook ha archiviato in chiaro alcune centinaia di milioni di password (da 200 a 600) dei propri utenti, in un formato cioè che poteva essere letto senza alcuna fatica da parte di oltre ventimila dipendenti dell’azienda. La causa di questo fenomeno sarebbe da ricercarsi in una serie di applicazioni, scritte dai dipendenti di Facebook, che conservavano le password senza alcuna protezione all’interno dei server aziendali. Queste password venivano poi utilizzate internamente – da circa 2.000 sviluppatori, secondo Krebs – come oggetto di test e ricerche.

    Non appena la notizia s’è diffusa (alcune delle password risalgono al 2012), Facebook ha reagito con un post sul blog ufficiale, nel quale ammette di essere a conoscenza dell’intera vicenda sin da gennaio (ma finora non aveva aperto bocca e questo lascia sospettare che, se Krebs non avesse parlato nessuno ancora ne saprebbe nulla). Il social network sostiene poi che le password non erano «visibili a nessuno al di fuori di Facebook» e che non ci sono prove di un eventuale abuso di esse. 

    Gli utenti interessati dal fenomeno saranno ora avvisati tramite email e invitati a cambiare password. Facebook invierà notifiche a “centinaia di milioni di utenti di Facebook Lite, decine di milioni di altri utenti Facebook e decine di migliaia di utenti Instagram».

    In un momento in cui Facebook si sta offrendo come intermediario per gli acquisti tramite Instagram, peraltro, dimostrare di non essere capace di gestire bene una cosa fondamentale come le password non incoraggia certo ad affidarle transazioni che riguardino carte di credito.

  • Facebook adotta precauzioni per evitare manipolazioni degli elettori in vista delle europee

    Facebook ha annunciato l’adozione da marzo di nuovi strumenti volti a contrastare le interferenze esterne nei processi elettorali nell’Unione europea in vista delle elezioni europee del 26 maggio, per le quali la Commissione europea, alla luce del caso Cambridge Analytica, aveva espresso preoccupazioni. “A fine marzo lanceremo dei nuovi tool per aiutare a evitare l’interferenza esterna nelle prossime elezioni e per rendere più trasparenti le inserzioni politiche su Facebook”, ha scritto in un post la responsabile del gruppo per le elezioni in Europa, Anika Geisel.

    Nel post della Geisel si legge che “per pubblicare annunci politici o relativi a tematiche di rilievo e molto dibattute legate alle elezioni del Parlamento Europeo, gli inserzionisti dovranno confermare la loro identità e includere informazioni aggiuntive su chi sia il responsabile dei loro annunci”. Gli strumenti che verranno lanciati a marzo riguarderanno non solo gli annunci delle campagne politiche, ma anche gli annunci relativi a “temi di interesse pubblico”, ossia “che non menzionano un candidato o un partito, ma che riguardano tematiche molto discusse e di rilievo”. “Continua a migliorare” anche “il nostro lavoro per combattere le notizie false”, scrive la manager, in parallelo al programma di fact checking, che “stiamo continuando ad ampliare” e che attualmente copre contenuti in 16 lingue. “Per coordinare meglio le nostre attività nelle ultime settimane prima” delle elezioni Ue, “basandoci sul lavoro svolto nei mesi scorsi – ha annunciato quindi Geisel – abbiamo in programma l’apertura di nuovi centri operativi specializzati” per “l’integrità delle elezioni”, compreso uno a Dublino.

    A Bruxelles il responsabile per gli affari globali di Facebook, Nick Clegg, che si trova nella capitale belga per un giro d’incontri in Commissione europea, ha reso noto che saranno inoltre rese accessibili molte più informazioni alle persone sulle inserzioni politiche e ha precisato tra l’altro che chi vorrà pubblicare le inserzioni politiche su Facebook dovrà prima essere autorizzato dal gruppo per farlo.

    Intanto il Parlamento Ue ha lanciato un nuovo portale per spiegare come votare in ogni Stato membro o dall’estero, disponibile in ventiquattro lingue (www.elezioni-europee.eu). Il portale, che include anche una sezione che spiega come votare dall’estero, contiene informazioni sull’Eurocamera e sui candidati per le europee, ed illustra le regole di voto nazionali per ciascun Paese, incluse le informazioni sulla data delle elezioni, i requisiti di età richiesti per votare, i termini di registrazione, i documenti necessari per iscriversi al voto, le soglie di sbarramento per i partiti politici e il numero totale di deputati da eleggere per Paese.

    La Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo, in una risoluzione adottata con 49 voti a favore, 7 contrari e 2 astensioni, ha invece chiesto una risposta forte” alla propaganda ostile contro l’Ue, sanzioni contro i responsabili delle campagne di disinformazione e un maggiore coinvolgimento dei colossi hi-tech nella lotta alle fake news e ha condannato le azioni di Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, che puntano a minare “i principi fondanti della delle democrazie europee”, oltre che a influenzare le elezioni politiche.

    Gli eurodeputati chiedono che l’Ue e gli Stati membri adottino una “risposta ferma” per far fronte ai mezzi sempre più sofisticati utilizzati dagli opinion leader e dalle istituzioni controllate da Paesi terzi per diffondere la disinformazione, ad esempio verso app di messaggistica privata, l’ottimizzazione dei motori di ricerca, l’intelligenza artificiale, i portali online e le stazioni Tv. La risoluzione invita inoltre gli Stati membri che continuano a negare l’esistenza della disinformazione e della propaganda ostile, a riconoscerla e a mettere in atto misure per contrastarla. Tra le proposte contenute nella risoluzione, che sarà votata nella plenaria di febbraio, anche quella di introdurre sanzioni mirate contro quanti orchestrano o mettono in atto le campagne di disinformazione, oltre che la messa a punto di regole per la trasparenza online, inclusi i social media.

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