Finanza

  • L’indagine Eurobarometro rivela bassi livelli di alfabetizzazione finanziaria in tutta l’UE

    La Commissione europea ha pubblicato i risultati di un’indagine Eurobarometro sull’alfabetizzazione finanziaria nell’UE. L’indagine ha analizzato sia le conoscenze finanziarie che il comportamento finanziario (considerati congiuntamente come alfabetizzazione finanziaria) dei cittadini dell’UE. I risultati mostrano che solo il 18% dei cittadini dell’UE è dotato di un elevato livello di alfabetizzazione finanziaria, il 64% di un livello medio e il restante 18% di un livello basso. Esistono tuttavia notevoli differenze tra gli Stati membri. Sono appena quattro infatti gli Stati membri in cui oltre il 25% delle persone ottiene un punteggio elevato in termini di alfabetizzazione finanziaria: Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Slovenia.

    I risultati evidenziano inoltre la necessità che l’educazione finanziaria sia mirata su gruppi particolari, tra cui le donne, i giovani, le persone con redditi più bassi e le persone con livelli di istruzione inferiori, che tendono a essere mediamente meno alfabetizzate sul piano finanziario rispetto ad altri gruppi.

    Nel suo piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali del settembre 2020, la Commissione ha ribadito che una solida alfabetizzazione finanziaria è al centro del benessere finanziario delle persone. Sulla scorta di tale piano nel gennaio 2022 la Commissione e l’OCSE hanno elaborato congiuntamente un quadro di competenze finanziarie per gli adulti. Inoltre, il 23 maggio la Commissione ha adottato una strategia di investimento al dettaglio. L’obiettivo è quello di consentire agli investitori al dettaglio (ossia gli investitori “consumatori”) di prendere decisioni di investimento in linea con le loro esigenze e preferenze, garantendo che siano trattati in modo equo e debitamente tutelati. Ciò rafforzerà la fiducia degli investitori al dettaglio per investire in sicurezza nel proprio futuro e trarre pieno vantaggio dall’Unione dei mercati dei capitali dell’UE. La strategia imporrà inoltre agli Stati membri di promuovere misure di apprendimento a sostegno dell’educazione finanziaria dei consumatori per quanto concerne gli “investimenti responsabili”.

  • Librorum presenta “La finanza per la società”, il libro dell’On. Vitaliano Gemelli

    Martedì 6 dicembre 2022, dalle 17.00 alle 18.30, l’Ex Parlamentare europeo, On. Vitaliano Gemelli presenterà il suo libro “La finanza per la società. Dal dominio al servizio. Cenni sulla necessità di una trasformazione” nell’Auditorium della Casa della Storia Europea a Bruxelles e trasmesso in diretta streaming sul sito dell’Associazione degli Ex-Deputati del Parlamento europeo (AED).  L’evento sarà aperto e concluso dal Presidente dell’Associazione ed Ex-Presidente del Parlamento europeo, Dr. Klaus Hänsch. La Vice-Presidente dell’Associazione, On. Monica Baldi presenterà l’autore e il libro e successivamente l’On. Paul Rübig, membro del Consiglio dell’AED, coordinerà la sessione di domande e risposte con il pubblico in sala e collegato online.

    L’interpretazione simultanea in inglese, italiano e francese sarà disponibile nell’Auditorium e online.
    Il saggio vuole essere un contributo di idee sulle ipotesi di evoluzione e sviluppo della società contemporanea nella prospettiva dei prossimi cinquant’anni. Presenta una visione politica delle problematiche esistenti, senza presumere di avere competenze sociologiche o economiche, ma solamente in forza di una sensibilità derivante da una esperienza fatta nelle Istituzioni nazionali ed europee.

    Le vicende politiche dei tempi attuali si intersecano con fatti economici rilevanti come la crisi; esse vanno esplorate in tutti gli aspetti inerenti il consorzio umano, senza trascurare le molteplici sensibilità che ogni persona porta come bagaglio positivo di arricchimento della società.

    In definitiva ogni azione posta in essere dalle istituzioni dovrà avere come obiettivo la crescita umana di ogni persona e la valorizzazione delle sue preziose originalità.

    Il saggio si sofferma sul problema mondiale dei debiti sovrani e propone una ipotesi di soluzione con l’obiettivo di sganciare gli stessi dal mercato finanziario, per evitare che gli Stati subiscano gli effetti delle crisi economiche e finanziarie, come è avvenuto recentemente.

    Il libro comprende anche la traduzione del testo in inglese, tedesco, francese e spagnolo.

    Durante l’evento sarà garantita l’interpretazione simultanea in inglese, italiano e francese sia nell’Auditorium che online.
    E’ possibile partecipare all’evento tramite il modulo di online.

  • Gli italiani guardano alla finanza etica ma non ci investono

    Cresce l’interesse degli italiani per gli investimenti sostenibili e anche il livello di conoscenza di questi strumenti finanziari migliora. Ma nei fatti resta ancora molto contenuta la quota di investimenti detenuta nei cosiddetti prodotti Esg, ossia che includono tra i requisiti fattori ambientali e sociali. E’ quanto emerge dall’indagine Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, «Interesse verso gli investimenti sostenibili. Un esercizio di caratterizzazione degli investitori italiani”.

    La quota di investitori che si dichiara disposta a considerare strumenti finanziari con caratteristiche di sostenibilità è passata dal 60% nel 2019 al 74% circa nel 2021. Una maggiore propensione che comunque appare condizionata alle prospettive di redditività che devono risultare “almeno in linea con quella di opzioni di investimento alternative tradizionali (dal 38% al 57%)”. È aumentata anche la quota di intervistati che afferma di avere una conoscenza almeno di base degli investimenti sostenibili, passando dal 27% nel 2019 al 37% nel 2021. Per contro, però, “è rimasto molto contenuto il possesso di investimenti sostenibili, riportato dal 6% circa degli investitori sia nel 2019 sia nel 2021. Il dato è cresciuto lievemente tra gli investitori assistiti (7% nel 2019 e 11% nel 2021) e, soprattutto, tra gli investitori informati (rispettivamente, 13% e 15%).

    Sotto il profilo socio-demografico, incidono in modo significativo l’età, la condizione professionale, il livello di istruzione e la condizione finanziaria. In particolare, l’interesse per i prodotti sostenibili è meno frequente tra gli investitori più anziani (una associazione positiva sebbene debole emerge per la fascia di età compresa tra 25 e 45 anni), tra i pensionati e tra gli investitori che non partecipano al mercato del lavoro, mentre si associa positivamente con l’istruzione e alcune condizioni professionali come, ad esempio, quella dell’impiegato. Nell’ambito del financial control, è diventata meno frequente la propensione a pianificare, peraltro già contenuta: nel 2021, infatti, solo il 9% degli investitori ha dichiarato di avere un piano finanziario (-2 punti percentuali rispetto all’indagine 2019). Si è ridotta lievemente la quota di investitori che riesce a rispettare costantemente il budget familiare (dal 27% al 25%), mentre è aumentata di 5 punti percentuali la quota di individui che hanno dichiarato di essere indebitati nei confronti sia di banche e istituzioni finanziarie (dal 35% nel 2019) sia di amici e parenti (dal 9% nel 2019).

  • I predoni della finanza italiana e l’inflazione

    In un’ottica di un mercato globale ogni scelta del singolo attore comporta degli effetti anche per gli altri soggetti di questo complesso scenario internazionale in continua evoluzione. Partendo da questa considerazione andrebbe finalmente preso in considerazione il nesso tra le strategie finanziarie del mondo degli istituti di credito italiani in accordo con i diversi governi succedutisi alla guida del Paese e la inevitabile ricaduta di tali operazioni nella vita quotidiana per imprese e lavoratori.

    Mentre l’Italia è ancora oggi all’interno di una crisi economica e sociale il mondo degli istituti di credito si dimostra ancora alla spasmodica ricerca di un baricentro finanziario ed operativo: basti ricordare l’esodo incentivato con il Fondo di Solidarietà (finanziato dal sistema degli istituti di credito) che sta raggiungendo le centomila (100.000) unità.

    In più, in seguito ad innumerevoli crisi sistemiche legate anche a crescite drogate dall’utilizzo senza limiti di derivati (in questo spalleggiati da una compagine governativa probabilmente complice) il sistema bancario continua ad aumentare le proprie iniziative per conseguire l’obiettivo principale, cioè la creazione di valore da distribuire agli azionisti.

    L’Amministratore delegato di Unicredit, con l’approvazione del presidente Padoan (ex ministro dell’economia nel governo Renzi), durante le prime trattative per l’acquisizione di MpS ha preteso da parte dello Stato, e quindi dai contribuenti, l’impegno ad assumersi l’onere dei costi sociali degli esuberi, oltre tre (3) miliardi, al fine di rendere sostenibile l’operazione. Questa richiesta da parte dell’Istituto UniCredit di scaricare ancora una volta sullo Stato i costi di un’operazione finanziaria si aggiunge alla strategia dello stesso Padoan quando, in qualità di ministro dell’Economia, decise la ricapitalizzazione con 6,5 miliardi di risorse pubbliche fornendo ancora ossigeno alla moribonda Monte dei Paschi (https://www.ticinolive.ch/2021/09/21/istituti-di-credito-il-sistema-italiano/).

    Adesso, senza nessuna vergogna, il medesimo Padoan, in questo caso in qualità di presidente UniCredit, assieme all’amministratore delegato pretendono una nuova ricapitalizzazione di sette (7) miliardi con il medesimo obiettivo di rendere meno onerosa (per l’acquirente Unicredit) e con un maggiore valore aggiunto per gli azionisti l’intera operazione. In altre parole questi nuovi predoni del sistema finanziario italiano pretendono sostanzialmente la creazione di una new company MpS i cui vantaggi andrebbero interamente all’acquirente privato il quale invece di operare, forte del proprio know how, per un risanamento della banca senese acquisterebbe la new Company priva di debiti e personale in esubero interamente scaricati allo Stato (il venditore).

    La bad company, viceversa, gravata di tutti gli oneri economici e sociali, rimarrebbe in carico allo Stato con un ulteriore costo aggiuntivo che già oggi ammonta a quasi 17 miliardi di sole risorse finanziarie dilapidate (*) alle quali aggiungere il costo in termini economici di una inevitabile ricaduta per contribuenti ed imprese dell’operazione in corso.

    I sette (7) miliardi di risorse pubbliche pretesi dall’acquirente minimizzano così il rischio d’impresa rendendo questa operazione finanziaria profittevole a senso unico, cioè a favore del solo operatore privato UniCredit, in quanto lo Stato invece di liberarsi di una capitolo di spesa, come rappresentava da troppo tempo la banca senese, si accollerà l’intero ammontare dei costi economici e sociali per renderli sostenibili e quindi profittevoli per il mercato quando  invece andrebbero contabilizzati all’acquirente.

    In fondo si applica una “sintesi” tra le privatizzazioni delle concessioni della rete autostradale ed il modello Alitalia ora Ita Airways: debito e costi maggiorati solo per lo Stato, e quindi i contribuenti, e sinergie economiche per gli operatori privati.

    Il tutto avviene all’interno di un momento storico nel quale l’economia reale del nostro Paese riesce a segnare una buona crescita ma incerta per la carenza delle materie prime e segnata dall’esplosione dei loro costi come del costo del petrolio

    Sette (7) miliardi dell’operazione new company MpS rappresentano il 26% delle accise annualmente versate dai contribuenti italiani allo Stato. Ridurre ora le accise sui carburanti disinnescherebbe o quantomeno ridurrebbe il Drive inflattivo determinato dalla crescita del prezzo del petrolio e soprattutto allontanerebbe la pericolosa ombre di una stagflazione.

    Si ricorda, Infatti, come lo 82% delle merci viaggi su gomma e, di conseguenza, ogni aumento dei costi della distribuzione si riverserà inevitabilmente sul prezzo finale al banco.

    Una vera sciagura mentre tutti gli esponenti politici straparlano di transizione energetica, si accetta contemporaneamente di ridurre il potere d’acquisto dei cittadini italiani e la competitività per le imprese italiane non intervenendo per ridurre l’impatto inflattivo.

    La stessa discussione in corso in questi giorni sull’utilizzo dei fondi del PNRR e su una giusta riduzione del cuneo fiscale relega la politica a sostegno della domanda interna ai margini dell’attenzione.

    Poi qualcuno si sorprende se dal 1991 le retribuzioni medie in Italia risultino diminuite del –3,4% mentre in Germania segnano un +33,7% ed in Francia un +29,6% (fonte OCSE), la conferma di come negli ultimi ventinove anni (29) la domanda interna sia stata sacrificata ed ogni possibile sostegno dirottato verso la spesa pubblica vero strumento del potere politico aumentata del 46% solo dal 2000 al 2019.

    Sembra incredibile, poi, come tutto questo avvenga alla luce del sole ed a nessun ministro o Presidente del Consiglio vengano chieste chiarificazioni tantomeno da un parlamento ormai affetto da narcolessia ampiamente retribuita.

    In altre parole con questo tipo di operazioni finanziarie, nelle quali lo Stato si libera di un capitolo di spesa, alla fine si creano “dividendi” con risorse pubbliche solo per gli azionisti del gruppo privato, contemporaneamente per il soggetto pubblico invece i capitoli di spesa crescono. Un classico esempio di finanza “argentina” nata dall’alleanza tra predoni della finanza e “rappresentanti dell’interesse pubblico” in virtù di interessi comuni.

    Quando la spirale inflazionistica lasciata libera dal governo e i prezzi continueranno ad aumentare, e magari la benzina assieme al gasolio avranno raggiunto dei prezzi/costi insostenibili per la filiera distributiva e, di conseguenza, i prezzi dei principali generi di consumo saliranno alle stelle non si dovrà guardare solo alle quotazioni del petrolio. Si renderà necessario, invece, comprendere gli effetti di quelle politiche distrattive di risorse di finanza pubblica a favore di gruppi privati ed espressione della complicità tra soggetti pubblici con i nuovi predoni della finanza.

    (*) A.  6.5 mld la prima ricapitalizzazione voluta da Padoan in qualità di ministro dell’economia

    1. 3 mld di costi aggiuntivi per gli oneri sociali del personale in esubero
    2. 7 mld gli ultimi pretesi per un aumento di capitale
    3. incalcolabile il danno reputazionale per l’intero sistema economico italiano
  • Futures e speculazione incidono sull’aumento del prezzo del gas

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

    In Italia, non solo tra le forze politiche, si discute dell’aumento delle bollette del gas e dell’elettricità, rispettivamente del 31% e del 40%. E’ un trend inflattivo in atto in tutta Europa e nel resto del mondo. Manca, però, la chiarezza sulle cause dell’aumento.

    Non basta riferirsi alla ripresa economica globale e dei consumi dopo i lockdown pandemici, alla domanda di energia pulita e al cambiamento climatico. Tutti aspetti veri, ma il classico rapporto tra domanda e offerta, a nostro avviso, non spiega il fenomeno dei prezzi così “inflazionati”. Però, diventano delle giustificazioni per operazioni di carattere finanziario, come i futures sul gas.

    Com’è noto, il prezzo del gas naturale e quello dei futures sul gas sono definiti nello stato della Lousiana dal cosiddetto Henry Hub. Dall’inizio dell’anno il prezzo dei futures sul gas contrattati negli Usa è cresciuto di oltre 94%. Cinque volte quelli di due anni fa.

    Si aggiunga che sul mercato ci sono anche i cosiddetti CFD (contract for difference), strumenti finanziari derivati il cui utilizzo non comporta lo scambio fisico, in questo caso il gas. Bensì si prevede il pagamento in contanti della variazione di valore della materia prima alla scadenza del contratto.

    I mercati principali dei futures sui prodotti energetici sono il Chicago Mercantile Exchange e il NYMEX di New York. Come per gli altri futures e, in genere, per i derivati finanziari, i trader possono usare il cosiddetto leverage, la leva, per cui un deposito limitato messo in garanzia permette di sottoscrivere contratti per un valore multiplo.

    Pertanto, la sola spiegazione oggettiva dell’aumento del prezzo del gas, causato dalla crescita della domanda e dei consumi, non regge. Lo conferma anche lo studio, “The future of liquified natural gas: Opportunities for growth“, pubblicato nel settembre 2020 da McKinsey & Company, la maggiore società internazionale di consulenza strategica. McKinsey ha una sua credibilità. Per esempio, in passato ha elaborato lo studio più accurato sulle infrastrutture a livello globale.

    McKinsey sosteneva che l’industria del gas naturale liquefatto (GNL) stava praticando prezzi bassi e un’offerta eccessiva e che, per la pandemia, la domanda di gas nel 2020 sarebbe potuta diminuire dal 4 al 7%. Tanto che gli esportatori di GNL avevano cancellato alcune spedizioni di gas (più di 100 cargo statunitensi sono stati cancellati nel mese di giugno e di luglio 2020), poiché il prezzo spot nei mercati asiatici ed europei non copriva più il costo della fornitura.

    In ogni caso, McKinsey spiegava che in futuro lo GNL avrebbe avuto una grande potenzialità in rapporto a cinque aree di intervento: efficienza del capitale, ottimizzazione della catena di approvvigionamento, sviluppo del mercato, de carbonizzazione e digitalizzazione avanzata dei processi. In seguito, McKinsey ha valutato una crescita della domanda globale di gas intorno al 3,4% annuo fino al 2035.

    Perciò, l’aumento della domanda c’è, ma in dimensioni che non giustificano la sproporzionata crescita del prezzo del gas. Invece, l’aumento dei prezzi dei futures può deformare l’andamento del mercato.

    Ovviamente i liberisti facinorosi sostengono che i futures non influenzano l’andamento dei prezzi, poiché si tratta di contratti tra privati, dove se uno perde, l’altro vince. Somma zero.

    In realtà, i futures e in generale le operazioni speculative in derivati, grazie al leverage, raggiungono numeri altissimi e riescono a influenzare i mercati e determinare i prezzi di una materia prima. Si ricordi il balzo del petrolio fino a oltre 150 dollari al barile nel 2008, alla vigilia della Grande Crisi, per poi crollare. Allora si parlò dei famosi “barili di carta”, perché per ogni barile reale di petrolio, almeno cento barili erano trattati con strumenti speculativi.

    Resta ineludibile, quindi, l’approvazione di nuove regole sulle attività finanziarie e speculative. Il G20 non può sottrarsi a questa specifica responsabilità. Se ne faccia carico anche il governo italiano.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Le cinque truffe finanziarie più frequenti

    Sono cinque le più grandi truffe finanziarie che gli esperti finanziari hanno visto finora nel 2021. Come riporta Wall Street Italia del 30 giugno, riprendendo un post apparso su BusinessInsider, le grandi trappole sono:

    Truffa dell’identità sintetica

    Uno dei nuovi tipi di frode emersi quest’anno è simile al furto d’identità, ma l’hacker non arriva a conoscere l’intera identità della persona. Si chiama “frode d’identità sintetica”. “È come la frode del furto d’identità, ma in questo tipo di frode alcune informazioni vengono rubate da un individuo e alcune informazioni sono fittizie”, dice l’esperto finanziario Nabity. “Per esempio, il nome può essere fittizio ma l’indirizzo viene rubato per ottenere l’autorizzazione da un’organizzazione. Queste informazioni vengono poi utilizzate per aprire conti falsi e fare transazioni. In questo caso, l’uso di un indirizzo può danneggiarti”. Quindi, come si può evitare tutto questo? Nabity consiglia di creare una password unica e indecifrabile per ogni nostro account online.

    Criptovalute senza valore

    Il 2021 è stato finora un anno in cui sempre più persone hanno iniziato a parlarne e a mostrare interesse nell’investire nel settore cripto. Secondo il consulente finanziario RJ Weiss, una delle più grandi truffe di denaro finora nel 2021 è stata quella degli influencer che spingono i loro follower a investire in criptovalute senza valore e senza rivelare che sono pagati per farlo.

    Teorie di short-squeeze

    Chi non ricorda il caso GameStop? Da lì, è stato un susseguirsi di post riguardanti teorie di short-squeeze. “Questi post sono pieni di disinformazione, propaganda e sciocchezze. Molti post dicono esplicitamente di ignorare i dati di mercato contrari alla loro tesi”, dice un altro esperto. “La verità è che i veri short squeeze sono rari e sono spesso confusi con le normali bolle speculative.

    Truffe con i soldi dei sosia delle celebrità

    Le persone sono sempre alla ricerca della prossima cosa migliore in cui investire o fare soldi, e spesso, quando sentono il nome di una celebrità, pensano automaticamente che l’opportunità sia credibile. Tendenza 2021 nel mondo delle truffe finanziarie è quella che coinvolge sosia di persone famose come il CEO di Tesla Elon Musk. “In una truffa, i fantomatici portavoce di Musk affermavano che stavano tenendo un ‘evento speciale’ e pubblicavano un link correlato chiedendo l’invio di una certa quantità di criptovaluta entro un periodo di tempo molto breve, promettendo un ritorno a volte doppio”.

    Misure di stimolo e truffe COVID-19

    Con i ristori e le misure di stimolo che arrivano nei conti delle persone in momenti diversi in considerazione della crisi COVID-19, i truffatori hanno trovato un’opportunità per prendere soldi in molti modi diversi. Una delle truffe più comuni del 2021 finora hanno coinvolto proprio ristori e assegni elargiti per il covid. “Che sia via testo, e-mail o telefonata, questi truffatori hanno detto tutti la stessa bugia, che è necessario ‘confermare’ le proprie informazioni personali prima di poter ricevere l’assegno. Una volta consegnato il tuo numero di previdenza sociale e altri dati, sei fritto”, dice l’analista Dvorkin.

  • Sistema finanziario vulnerabile

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su ItaliaOggi il 4 giugno 2021

    Dopo aver cercato, come sempre, di rassicurare gli animi, l’ultimo Financial Stability Report (FSR) della Federal Reserve presenta una lista impressionante di rischi per la stabilità finanziaria negli Usa e a livello mondiale. Nelle orecchie dei governatori della Fed fischia ancora quanto è successo a marzo con il collasso del fondo hedge Archegos Capital Management, che ha lasciato un buco di oltre 10 miliardi di dollari in alcune della maggiori banche internazionali. In verità, c’è che dice che il problema potrebbe essere cinque volte più grande.

    Il FSR è pubblicato due volte l’anno con l’intento di prevenire il ripetersi della Grande Crisi del 2008. La presentazione del rapporto è stata centrata sul significato e sugli strascichi proprio di Archegos, evidenziando che le difficoltà di istituti finanziari non bancari (il famoso shadow banking) influiscono sull’intero sistema finanziario. «Stanno aumentando le vulnerabilità associate all’elevato appetito al rischio», si afferma. Il che evidenzia «la limitata visibilità delle esposizioni dei fondi hedge e che le loro disponibilità, create con la leva finanziaria, potrebbero non essere sufficienti per far fronte a rischi importanti».

    I valori di molti asset sono cresciuti enormemente, superando i record dell’anno scorso. Gli indici azionari e i prezzi delle azioni sono ai lori massimi storici. Per esempio, dall’inizio del 2021 l’indice azionario Standard & Poor’s 500 è cresciuto del 12%. Inoltre, il Bloomberg Commodity Index, che traccia tutte le materie prime e i beni alimentari, è cresciuto del 19% in un anno. Nello stesso periodo, il prezzo delle case negli Usa è aumentato del 12%. Sono tutti effetti dell’insaziabile «appetito» di profitti più alti.

    Del resto l’eccessiva liquidità, gli interessi quasi negativi e i bassi rendimenti offerti dai tradizionali titoli, come le obbligazioni del Tesoro americano, spingono verso investimenti speculativi, tanto che invece di comprare bond pubblici, i grandi della finanza preferiscono acquistare le obbligazioni corporate o quelle già ritenute come speculative.

    Il pericolo vero sta in un possibile repentino cambiamento di valutazioni. La Fed, infatti, teme che qualche evento possa ridefinire i prezzi degli asset, delle azioni, obbligazioni o altri titoli. Proprio com’è avvenuto nel caso Archegos, quando determinate azioni vennero vendute per poter coprire le perdite di gestione, determinando un improvviso e forte calo del loro valore.

    In altre parole, si teme che gli speculatori possano mitigare il loro «appetito al rischio» e ridurre la frenesia proprio verso i titoli e le operazioni più rischiose. Il sistema è drogato e ha bisogno di dosi sempre più forti, il che rischia di crollare in un momento di astinenza. Come il drogato ha bisogno di un autorevole aiuto, così la finanza speculativa ha bisogno dell’intervento correttivo dei governi e degli Stati, quando occorre.

    Il Rapporto elenca altri rischi di vulnerabilità del sistema, il peggioramento della pandemia e l’aumento dei tassi d’interesse per fronteggiare a un’impennata dell’inflazione. Anche il governatore del Fed, Jerome Powell, esprime una certa preoccupazione per l’aumento dei prezzi in alcuni settori, come quello immobiliare e ha ammesso che «non è proprio un bene che negli Usa i prezzi aumentino così tanto».

    Non sorprende, quindi, che la Fed cerchi di scaricare su altri le cause dei rischi della sua vulnerabilità finanziaria. Prima di tutto sull’Europa e sui paesi emergenti. «Sviluppi negativi nelle economie dei mercati emergenti, stimolati in parte da un aumento dei tassi d’interesse a lungo termine, potrebbero avere delle ripercussioni negli Stati Uniti».

    Si dimentica, però, di riconoscere le proprie responsabilità. Infatti, gli andamenti economici di questi paesi sono di solito determinati dalle politiche monetarie e finanziarie degli Usa.

    Anche le misure adottate dalla Cina per contenere la speculazione sui mercati immobiliari, si dice, potrebbero creare situazioni di stress finanziario interno con ripercussioni globali, anche negli Stati Uniti.

    Il Rapporto, in definitiva, presenta una serie di analisi e di preoccupazioni, in parte anche condivisibili. Però sono enunciazioni scritte che possono al più suscitare discussioni mediatiche e accademiche ma non far adottare azioni efficaci da parte delle istituzioni preposte, come sarebbe necessario.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • L’appello di Papa Francesco per regolamentare la finanza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

    Che di fronte al dilagare incontrollato della finanza speculativa sia necessario “rivolgersi alla preghiera”, è uno schiaffo morale ai governi e alle istituzioni economiche internazionali preposte al controllo e alla regolamentazione dell’economia, della moneta e dei settori finanziari. E’, però, l’ammissione della loro incapacità d’intervento e della sottomissione al “mercato senza leggi” e al laissez faire più spregiudicato.

    Dinanzi all’intollerabilità della situazione, papa Francesco si è sentito in dovere di richiamare i credenti e i laici con un video dedicato alla preghiera per una “finanza giusta, inclusiva e sostenibile”.

    Egli afferma che “mentre l’economia reale, quella che crea lavoro, è in crisi – quanta gente è senza lavoro! – i mercati finanziari non sono mai stati così ipertrofici come sono ora. Quanto è lontano il mondo della grande finanza dalla vita della maggior parte delle persone! La finanza, se non viene regolamentata, diventa pura speculazione animata da politiche monetarie. Questa situazione è insostenibile. È pericolosa. Per evitare che i poveri tornino a pagarne le conseguenze, bisogna regolamentare in modo rigido la speculazione finanziaria.”.

    Ricorda che la finanza deve essere uno strumento per servire le persone e per prendersi cura della casa comune e fa un appello “perché i responsabili della finanza collaborino con i governi, per regolamentare i mercati finanziari e proteggere i cittadini in pericolo.”

    In pratica riprende il discorso avviato nel 2015 con l’enciclica Laudato sì” in cui si afferma che “la finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale”. Secondo Francesco non è una questione di teorie economiche ma della loro applicazione fattuale nell’economia. Il mercato da solo non può garantire lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale, né la protezione dell’ambiente e dei diritti delle generazioni future.

    Nell’enciclica citata si sostiene: “La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia… Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”.

    Secondo noi la crisi finanziaria del 2007-2008 ne è la prova: sarebbe stata l’occasione per sviluppare una nuova economia, non solo più attenta ai principi etici, ma, soprattutto, per regolamentare l’attività finanziaria speculativa e la ricchezza virtuale. Purtroppo non è stato così.

    Certo, sono concetti che papa Francesco ripete ormai costantemente. Lo ha fatto anche recentemente nell’enciclica “Fratelli tutti” e con molto coraggio anche nella lettera inviata al meeting della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, svoltosi lo scorso aprile. Egli afferma che “è ora di riconoscere che i mercati — specialmente quelli finanziari — non si governano da soli. I mercati devono essere sorretti da leggi e regolamentazioni che assicurino che operano per il bene comune, garantendo che la finanza – invece di essere meramente speculativa o finanziare solo sé stessa – operi per gli obiettivi sociali tanto necessari nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria globale”.

    Ci preme sottolineare che la preghiera del papa ha avuto anche qualche orecchio attento. La Federcasse, la Federazione italiana delle Banche di Credito Cooperativo, una rete di 250 banche cooperative di comunità con un milione e 350 mila soci, l’ha fatta sua. Del resto essa fa della vicinanza al territorio, alle famiglie e ai piccoli imprenditori e artigiani la sua mission. In merito, il direttore generale Sergio Galli ha ribadito che “occorre elaborare nuove forme di economia e finanza realmente orientate al bene comune e rispettose della dignità umana”.

    Naturalmente le tematiche affrontate da papa Francesco sono tali che oggettivamente impongono ai governi decisioni rapide e stringenti. In questi giorni da più parti si sollecita il superamento dei brevetti sui vaccini. Tema che va affrontato. Si consideri che, mentre nei paesi industrializzati una persona su 4 ha già ricevuto almeno una dose di vaccino, nei paesi poveri, invece, l’ha avuta una su 500. Il caso più odioso è sicuramente quello dell’India, dove si produce il 70% dei vaccini mondiali, ma non per i propri cittadini, bensì per l’export.

    *già sottosegretario all’Economia  **economista

  • Iniziativa di Banca Intesa con Lego per educare i bambini alla finanza

    Astronavi, castelli, palazzi e camioncini, tutti noi abbiamo usato i mattoncini per costruire qualcosa e dare libero sfogo alla nostra fantasia creativa, ma utilizzarli per spiegare l’inflazione, il PIL e i costi del cambiamento climatico rappresenta una vera novità. Nasce così il progetto Legonomia, promosso dalla Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio, che utilizza i mattoncini come strumento educativo per far avvicinare le famiglie ad alcuni contenuti economici e finanziari, in modo semplice e divertente. Il progetto si rivolge ai bambini fino ai 12 anni che potranno partecipare alle attività insieme ai loro genitori, trasformando così questo momento in un’occasione di apprendimento reciproco replicabile anche a casa. Insieme a Luciano Canova, autore, docente accademico e formatore accreditato LEGO®SERIOUS PLAY® e grazie alla collaborazione con il Museo del Risparmio di Intesa Sanpaolo è stato possibile realizzare il primo laboratorio su prezzi e inflazione. I successivi laboratori in presenza, Covid-19 permettendo, spazieranno dall’uso responsabile del denaro, all’economia comportamentale fino allo sviluppo sostenibile e saranno condotti il prossimo autunno a Torino presso il Museo del Risparmio, applicando tecniche di didattica ludica e di divulgazione scientifica.

  • Ue, così non si va certo avanti

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su Italia Oggi il 9 maggio 2020.

    Non è la prima volta nella storia della Germania che i più alti giudici tedeschi si trovano a dover prendere delle decisioni i cui effetti vanno ben oltre la mera valutazione giuridica. Negli anni Trenta, Carl Schmitt, l’allora giurista capo della Germania, purtroppo, scelleratamente giustificò l’adozione delle Notverordnungen, “le leggi di emergenza” che furono poi utilizzate per imporre la dittatura nazista.

    Sia chiaro non c’è la benché minima intenzione di paragonare la Germania di oggi con quella del passato. Vogliamo semplicemente evidenziare che le più importanti decisioni economiche e politiche in tutte le parti del mondo sono di assoluta prerogativa dei governi. Per le quali devono assumersi la totale responsabilità, senza delegarla ad altre istituzioni.

    Non per sua iniziativa, la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe è stata chiamata a pronunciarsi sulla piena legittimità delle misure monetarie non convenzionali di allentamento quantitativo, attuate negli anni passati dalla Banca centrale europea.

    Nella sentenza di questi giorni, Karlsruhe non ha espresso criticità sul quantitative easing, ma ha chiesto al Governo tedesco di fornire, entro tre mesi, gli elementi che possano dimostrare che gli obiettivi di politica monetaria relativa all’acquisto di titoli pubblici dei paesi membri della Bce siano proporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale del programma in questione.

    Le parole usate sono molto forti. Si afferma che le misure prese da un organo europeo “non sono coperte dalle competenze europee” e per questo “non potrebbero avere validità in Germania”.

    Dalla risposta del governo tedesco dipenderà anche l’eventuale partecipazione futura della Bundesbank al programma di acquisti della Bce. Quest’ultima, in verità, non dovrebbe avere molte difficoltà nel dimostrare la proporzionalità finora attuata con il programma PSPP (Publich Sector Purchase Program). Si ricordi che tra marzo 2015 e la fine del 2018, la Banca centrale europea ha investito circa 2.600 miliardi di euro in titoli di stato e in altri titoli.

    In merito, la Banca d’Italia afferma di acquistare sul mercato secondario titoli pubblici italiani, con rischio interamente a carico del bilancio dell’Istituto. Per gli acquisti effettuati dalla Bce in titoli di Stato, sia italiani sia di altri paesi dell’area euro, e per gli acquisti di titoli emessi da entità europee sovranazionali, che complessivamente rappresentano il 20 per cento del totale del programma PSPP, vige il principio della condivisione dei rischi tra le banche centrali nazionali dell’euro-sistema in base alla propria quota capitale.

    La sentenza risponde a un ricorso del 2015, firmato da alcuni politici apertamente critici dell’Unione europea, tra cui anche il fondatore del partito di estrema destra AfD, che sollevava la questione dell’incostituzionalità delle politiche di acquisto di titoli pubblici iniziata da Mario Draghi. Secondo costoro, Francoforte avrebbe violato i vincoli dei Trattati europei contravvenendo al divieto di finanziamento del debito dei paesi membri.

    La Corte, a nostro avviso, ha preso l’unica decisione possibile: chiamare in causa direttamente Berlino affinché esprima, con piena responsabilità politica, le sue intenzioni passate e future rispetto alla politica economica dell’Unione europea e al ruolo sovrano della Bce nella definizione della politica monetaria unitaria europea.

    Adesso il governo tedesco, ma, di fatto, anche tutti gli altri paesi europei, sono obbligati a pronunciarsi in modo concreto sul futuro dell’Ue. In primo luogo non si può continuare con una politica monetaria congiunta e con una moneta unica mantenendo una politica fiscale completamente nazionale.

    La sentenza di Karlsruhe, per tanto, non è entrata nel merito del nuovo programma, a carattere temporaneo, denominato Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) che ha l’obiettivo di contrastare i rischi per la politica monetaria e per le prospettive di crescita derivanti dalla diffusione del coronavirus. Il Pepp prevede acquisti aggiuntivi di titoli pubblici e privati per complessivi 750 miliardi per tutto il 2020.

    In ogni caso, poiché l’acquisto futuro di titoli sovrani nazionali di qualsiasi paese dell’Unione potrebbe essere sempre visto come una violazione dei Trattati, la risposta, secondo noi, starebbe proprio nella realizzazione del cosiddetto Recovery Fund, con il potere di emettere bond. Non più, quindi, titoli di singoli Stati ma titoli comuni, europei a tutti gli effetti. Essi sarebbero strumenti di debito adeguati che la Bce potrebbe acquistare senza problemi e senza rischi d’incostituzionalità.

    Un secondo aspetto rilevante riguarda la prevalenza o meno della giurisdizione europea rispetto a quelle nazionali. Infatti, se il diritto nazionale fosse ritenuto superiore a quello europeo, vi sarebbe il rischio di un conflitto continuo relativo ai poteri decisionali a livello europeo.

    Allora l’Ue sarebbe continuamente a rischio di sopravvivenza. In questo caso è stato proprio così. La Corte di Karlsruhe non ha riconosciuto, poiché «assolutamente non comprensibile», una sentenza preliminare della Corte di giustizia europea (Cgue), che nel dicembre 2018 aveva, invece, approvato il programma di acquisto di obbligazioni.

    Se dovesse malauguratamente affermarsi il primato delle costituzioni nazionali, si affermerebbe che i singoli Stati membri dell’Ue resterebbero, di fatto, i «padroni» dei Trattati europei. Di conseguenza l’Unione europea rimarrebbe un’entità confederale, non federale. Sarebbe fondata sul principio della concorrenza e non più della solidarietà.

    È esattamente il contrario di quanto sarebbe necessario per affrontare anche l’attuale emergenza della pandemia. Sarebbe il fallimento dell’idea stessa di Europa unita che in poco tempo finirebbe inevitabilmente per implodere. Sarebbe una iattura, anche per la Germania.

     *già sottosegretario all’Economia **economista

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