Illegalità

  • Un mercato illegale che coinvolge 8 milioni di cuccioli

    La Commissione europea, assunti anche i dati forniti per il 2020 dall’eurogruppo per la difesa degli animali, ha avviato piani di controllo coordinati con il settore legato al controllo del traffico illegale di cani e gatti.

    Come abbiamo più volte denunciato, dalle pagine del Patto Sociale, il traffico illegale è una importante fonte di guadagno per le associazioni criminali.

    I dati europei evidenziano come, secondo le segnalazioni inviate al network antifrode, un terzo dei dati riguarda le movimentazioni illegali di animali domestici.

    Le stime ufficiali della Commissione europea parlano di un mercato illegale che coinvolge 8 milioni di cuccioli per un valore di un miliardo di euro. A questi dati, che si riferiscono al traffico illegale di animali da compagnia, va aggiunto l’immenso guadagno delle organizzazioni criminali che si occupano di combattimenti e competizioni tra animali con le correlate scommesse clandestine.

    Da non trascurare anche il business illegale legato al traffico di animali esotici.

    L’unità Eu Agri-Food Fraud Network (FFN) della Commissione europea ha recentemente incluso tra le sue competenze il benessere degli animali.

    Le violazioni riscontrate non solo procurano un danno alla salute, in molti casi la stessa morte degli animali, ma procurano anche un notevole danno economico dal punto di vista commerciale e fiscale ed un altrettanto danno dal punto di vista sanitario, sia per gli animali che per le persone.

    Per dare tutti un contributo alla lotta contro questi traffici non comperiamo animali sulla rete e denunciamo qualunque situazione che appaia poco chiara. Ogni animale messo in vendita deve avere un regolare libretto sanitario con le vaccinazioni effettuate e si devono poter conoscere i genitori.

  • Il contrasto europeo al crimine organizzato raccontato nel nuovo episodio di UÈ! che Podcast

    UÈ! che Podcast torna come ogni settimana con un nuovo episodio sul lavoro della Commissione europea, illustrando questa volta le azioni europee di contrasto al crimine organizzato in compagnia di Floriana Sipala, capo dell’unità crimine organizzato e politiche antidroga della Direzione generale migrazione e affari interni.

    L’Unione europea è in prima linea nella lotta ai fenomeni illegali che più attanagliano la società e l’economia dei paesi membri: tratta di esseri umani, reati legati all’immigrazione, traffico di droga e il traffico di medicinali contraffatti sono solo alcuni dei crimini contro cui la Commissione mette in atto strategie comuni in termini di cooperazione politica, giudiziaria e di polizia.

    Solo nel 2019, i proventi illeciti dei mercati criminali sono ammontati a circa 140 miliardi di euro, vale a dire l’1% del PIL europeo. Non solo, nel contesto della pandemia Covid-19, il crimine organizzato ha trovato un terreno fertile per intensificare le proprie attività illegali, approfittando delle difficoltà provocate dall’emergenza sanitaria.

    Muoversi con una sola voce, quella europea, è la risposta più efficace alle minacce criminali transnazionali rappresentate, tra gli altri, dalla presenza delle mafie sul territorio europeo e dalla loro infiltrazione nelle economie legali.

    In questo episodio, Sipala spiega come lavora la Direzione generale migrazione e affari interni in questi settori e racconta gli importanti risultati raggiunti dalla Commissione: dal dialogo con gli stati terzi agli accordi internazionali, dalla cooperazione tra le forze di polizia e autorità giudiziarie al contrasto alla corruzione. Tra le recenti azioni della Commissione si trova inoltre la nuova strategia contro la tratta degli esseri umani, che conta un numero preoccupante di vittime identificate, spesso legate allo sfruttamento sessuale.

    Nel contrasto di sistemi illegali così diffusi e ramificati, le singole soluzioni nazionali non sembrano essere sufficienti.

    Fonte: Commissione europea

  • In attesa di Giustizia: cultura dell’illegalità

    Il manettaro perde le catene ma non il vizio: da quando Piercamillo Davigo è passato dalla Procura della Repubblica alle funzioni giudicanti – e da qualche anno alle più alte, come giudice della Suprema Corte di Cassazione – non ha perso occasione per riproporre le proprie opinioni personali nei confronti del processo penale che altro non dovrebbe essere che un patibolo predestinato per gli indagati.

    Da ultimo, inarrestabile anche dalla neve, ha partecipato ad un seminario sulla corruzione tenutosi a Potenza  riproponendo l’abusato refrain che gli è caro: “non ci sono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca”.

    L’argomento che ha scatenato la furia inquisitoria di Davigo è il presidio normativo posto alla utilizzabilità delle intercettazioni: senza scendere in questa sede in dettagli da addetti ai lavori, al lettore basti sapere che il nostro codice prevede l’osservanza di una serie di regole affinché la captazione di conversazioni sia legittima; il che non deve sorprendere perché la tutela della segretezza delle comunicazioni è garantita dalla Costituzione e – dunque – se è vero che vi si può derogare ciò è possibile solo in forza di un giustificato provvedimento della Autorità Giudiziaria e nel rispetto dei canoni normativi. Qualora ciò non avvenga, le conversazioni intercettate è come se non esistessero ed al giudicante è precluso farne uso.

    Epigono maldestro di Niccolò Machiavelli, Davigo ha sostenuto che vale tutto per contrastare il male endemico che nel nostro Paese è costituito dalla corruzione, lamentando che – per converso – vi sarebbero migliaia di criminali assolti ingiustamente perché le prove raccolte a loro carico mediante intercettazioni sono state dichiarate inutilizzabili.

    Falso e inaccettabile. Falso perché ogni giorno in Italia sono in media arrestate  tre persone che in seguito verranno ritenute innocenti. Tenendo conto del fatto che non certo in tutti procedimenti in cui vi sia la limitazione della libertà di qualcuno le indagini si fondano su intercettazioni (più o meno correttamente eseguite) ci si rende conto che Davigo ha veramente dato i numeri, sfoggiando una particolare forma di subcultura della legalità.

    Inaccettabile poiché in tal modo si è sostenuta implicitamente la necessità di una giustizia senza regole o nella amministrazione della quale le regole – e la stessa Costituzione – possano essere disapplicate, ignorate, violate senza conseguenze per arrivare ad una condanna purchessia: un invito eversivo al disprezzo delle garanzie fondamentali che è inaccettabile provenga da chi la Costituzione ha giurato di difendere e rispettare.

    Mentre i miei cinque lettori staranno concludendo queste righe, io sarò in procinto di discutere in Cassazione alla Quinta Sezione, che è di fianco alla Seconda il cui Presidente è proprio Davigo: il mio ricorso ha una sua dignità ma non posso essere certo del risultato. Sicuramente la notte prima dormirò più sereno sapendo che non sarà lui a presiedere.

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