Londra

  • Londra perde il suo appeal: 1400 ricchi in fuga nel 2022

    La Gran Bretagna con la sua  capitale Londra non è più al centro dei desideri e degli  interessi di tanti ricchi che preferiscono spostarsi altrove. La  capacità infatti di attrarre nababbi da tutto il mondo pronti a  investire in aziende, immobili di lusso e sfruttare i servizi  bancari della City si è affievolita negli ultimi anni.

    Secondo i dati di Henley & Partners, una società di consulenza sulla cittadinanza, nel 2022 circa 1.400 milionari hanno lasciato il Regno Unito. Prosegue, in base alla ricerca, una fuga iniziata poco dopo il voto nel referendum sulla Brexit nel 2016, che aveva sancito l’addio britannico all’Unione europea. Da allora si stima che circa 12 mila milionari siano partiti dal Regno per andare altrove temendo fra l’altro una perdita di centralità della metropoli a livello globale. Molti banchieri, ad esempio, sono stati di fatto costretti dai datori di lavoro a trasferirsi in un Paese europeo dopo che la loro società aveva spostato la sede in un hub finanziario del continente, come Amsterdam, Parigi o Francoforte.

    Sicuramente oltre alla Brexit ha giocato un ruolo molto importante il clima politico internazionale degli ultimi anni, che ha allontanato gli uomini d’affari dei Paesi emergenti. Fra le ragioni c’è sia la stretta relativa ai regolamenti sulla provenienza dei capitali esteri (incluse le norme antiriciclaggio) sia le sanzioni britanniche nei confronti di Stati entrati in cattivi rapporti con l’Occidente. Cinesi e arabi hanno investito in passato ingenti capitali nel Regno. Mentre Londra è stata a lungo un polo di attrazione per gli oligarchi russi, che insieme ad altri super-ricchi hanno acquistato proprietà di lusso contribuendo a gonfiare la bolla del settore immobiliare, fino a quando i rapporti con Mosca sono entrati in crisi, in particolare dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la raffica di sanzioni contro gli imprenditori di spicco.

    Le presenze di milionari restano comunque ancora alte, se ne contano infatti ben 737 mila nel Regno, ma emergono nuove destinazioni preferite da molti ricchi in Medio Oriente, a partire dagli Emirati Arabi Uniti, e in Asia. Proprio gli Emirati, soprattutto Dubai, hanno attirato il maggior afflusso di milionari l’anno scorso secondo Henley & Partners. Fra i fattori interni che penalizzano la Gran Bretagna c’è l’instabilità politica emersa l’anno scorso con la compagine di governo segnata da ben tre cambi di leadership in pochi mesi e anche un’economia non certo in fase espansiva ma che anzi stenta a riprendersi in diversi settori ed è meno capace di attirare investitori e uomini d’affari.

  • A Milano l’amore e il desiderio dei preraffaelliti

    1848. L’Europa è in fermento, ovunque gruppi di rivoluzionari chiedono cambiamenti politici e uguaglianza sociale. La rivoluzione industriale sta delineando le conseguenze del progresso: centinaia di persone si trasferiscono in città per lavorare nelle fabbriche e le periferie urbane, dove i nuovi arrivati cercano una dimora (o qualcosa che le assomigli), crescono a dismisura. E con esse i problemi igienici e di adattamento. Londra diventa il simbolo di questo cambiamento epocale, giovani, anziani, donne e soprattutto bambini, spesso senza famiglia, sfruttati nelle fabbriche le cui ciminiere che sbuffano fumo prendono il posto delle guglie di Westminster e della cupola di St Paul’s Cathedral. Karl Marx getta le basi del suo pensiero ideologico, Charles Dickens racconta storie di ragazzini orfani (che poi incontrano un benefattore che regala loro una vista nuova e serena) vittime della furbizia di chi cerca di sopravvivere con ogni espediente alle brutture del sottobosco umano creato da questo cambiamento epocale. E la Regina Vittoria, che darà il nome ad un intero periodo storico, è a capo di quello che sarà il più grande impero dell’epoca moderna. In questo contesto così vivo, e a tratti vivido, un gruppo di giovani anti capitalisti, anti rivoluzione economica e politica creano una ‘confraternita’ per produrre una straordinaria rivoluzione artistica: liberare la pittura britannica dalle convenzioni e dalla dipendenza dai vecchi maestri. Nasce il movimento “preraffaellita” in cui questi giovani visionari sperimentano nuove convinzioni, nuovi stili di vita e di relazioni personali, radicali quanto la loro arte. Al loro genio e alla loro creatività Milano dedica la mostra, bellissima, dal 19 giugno al 6 ottobre a Palazzo Reale, “Preraffaelliti. Amore e desiderio”, promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, organizzata in collaborazione con Tate e curata da Carol Jacobi, Curator British Art del museo londinese. Per la prima volta i capolavori dei preraffaelliti saranno a Milano. Ingiustamente sottovalutati, rispetto ad altri movimenti pittorici, i preraffaelliti sono fortemente legati all’Italia, alla sua bellezza paesaggistica e alla sua arte, quella che precede Raffaello, o meglio i suoi epigoni, considerato il gran maestro al quale pittori e storici dell’arte, soprattutto in Gran Bretagna, si sono ispirati per darsi delle regole, a volte fin troppo leziose. Il fondatore del gruppo, Dante Gabriel Rossetti, figlio di un rivoluzionario carbonaro di origine abruzzese rifugiatosi a Londra, pospone, per onorarlo, il suo nome di battesimo a quello del grande Poeta italiano e con i suoi compagni volge lo sguardo proprio a Dante, Petrarca, all’arte di Giotto, alle pale medievali, alla bellezza della poesia e alla natura che sa commuovere l’anima, per ricreare uno stile unico, nuovo e assai moderno per l’epoca (forse, a tratti, addirittura antesignano dell’impressionismo).

    Nella mostra milanese gli spettatori potranno gustare tutti quegli elementi che le 80 opere esposte, tra le quali alcuni dipinti iconici che difficilmente escono dal Regno Unito per essere prestati, come l’Ofelia di John Everett Millais, Amore d’aprile di Arthur Hughes, la Lady of Shalott di John William Waterhouse, sanno raccontare: dall’amore e dal desiderio alla fedeltà alla natura e alla sua fedele riproduzione; e poi le storie medievali, la poesia, il mito, la bellezza in tutte le sue forme.

    Le opere sono presentate per articolate sezioni tematiche, al fine di esplorare gli obiettivi e gli ideali di quel movimento, gli stili dei vari artisti, l’importanza dell’elemento grafico e lo spirito di collaborazione che, nell’ambito delle arti applicate, fu un elemento fondamentale del preraffaellitismo. A testimoniare il tema della poetica degli artisti preraffaelliti, e cioè l’arte e in generale la cultura italiana pre-rinascimentale e quell’idea di “modernità medievale” che tanto caratterizza la loro produzione saranno presenti i dipinti “iconici” su temi che vanno da Dante Alighieri e il suo poema (Paolo e Francesca e Il sogno di Dante al tempo della morte di Beatrice di Dante Gabriel Rossetti) fino al paesaggio italiano tout court (Veduta di Firenze da Bellosguardo di John Brett).

    Una mostra da non perdere perché, come ha sottolineato l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno, “i Preraffaelliti si collocano in quel solco della grande cultura ospitata a Milano”. E di bellezza questa volta ce n’è davvero tanta!

  • L’Ema tarda a trasferirsi ad Amsterdam? La Lega rilancia l’ipotesi sede a Milano

    La Lega ci riprova e lancia, nuovamente, la proposta di assegnare l’EMA, Agenzia europea del farmaco, a Milano. Motivo? A quanto pare le procedure di trasferimento da Londra ad Amsterdam, sede scelta in seguito ad un discutibile sorteggio di gara in cui concorreva anche Milano, sarebbero in alto mare; per non parlare poi della scarsa voglia di funzionari e dipendenti di lasciare la capitale del Regno Unito per la città simbolo d’Olanda. “La scelta di assegnare con il sorteggio l’Agenzia Europea del Farmaco, l’Ema, ad Amsterdam si sta rivelando deleteria per il funzionamento della stessa agenzia, per via di ostacoli logistici, legati alla lentezza dei lavori infrastrutturali per dotare l’Ema di una nuova sede ancora interamente da costruire nella capitale olandese, ma anche per via di problemi burocratici e fiscali”. E’ quanto afferma Paolo Grimoldi, Vice presidente della Commissione Esteri e deputato della Lega. “Il trasloco ad Amsterdam sta comportando un’emorragia di personale, quantificata in circa il 30% di funzionari e addetti che non vogliono trasferirsi in Olanda per ragioni fiscali (perderebbero un quarto dello stipendio e avrebbero un costo della vita più alto rispetto a Londra, a cominciare dalle abitazioni), ed un rallentamento delle attività dell’Ema. E ci sono annessi problemi per il trasferimento delle circa 2500 società satelliti dell’Ema. Per tutte queste ragioni chiediamo al Governo e al ministro degli Esteri, Moavero, di riproporre a livello europeo la questione dell’Ema a Milano, di trasferirla subito, per assicurare la piena funzionalità dell’Agenzia che nel capoluogo lombardo troverebbe una sede già pronta ad accoglierla, quella di Palazzo Pirelli, e una serie di componenti logistiche e amministrative che faciliterebbero il trasferimento del personale e delle società satelliti da Londra”.

  • Jeremy Corbyn non ha cambiato idea su niente

    L’Assemblea ha avuto luogo la settimana scorsa e gli osservatori s’aspettavano che Corbyn si pronunciasse finalmente sulla Brexit: è contro, o condivide l’opinione di una larga parte del suo partito che vi è favorevole e che addirittura propone un secondo referendum prima di decidere definitivamente? La risposta è l’ambiguità. Prima bisogna tenere le elezioni politiche interne, poi si vedrà! La sua leadership, nonostante l’ambiguità, rimane indiscussa. Ne è una conferma l’accoglienza calorosa riservata al suo discorso di chiusura dell’Assemblea, discorso applauditissimo a più riprese che ha concluso i lavori in modo entusiastico. Eppure!!!

    Eppure, afferma Andrew Sullivan sul New York Magazine del 6 agosto scorso, Corbyn non ha cambiato idea su niente, rimane “un eccentrico socialista di 69 anni che in vita sua non ha mai creduto di poter guidare un partito politico, figurarsi essere credibilmente menzionato come possibile futuro primo ministro del Regno Unito. Nato in una famiglia dell’alta borghesia, Corbyn era un classico “pannolino rosso”. I suoi erano socialisti e New Tree Manor, la tenuta di campagna seicentesca dove è cresciuto, era una dimora molto bohémien, piena di saloni ricolmi di libri di sinistra. Corbyn si diplomò con voti così tremendi che l’opzione universitaria fu scartata subito, per cui entrò nell’equivalente britannico dei Corpi di pace e fu stanziato in Giamaica per due anni, poi viaggiò in tutta l’America latina. Disgustato dalle enormi disuguaglianze che vide attorno a sé, si radicalizzò ulteriormente e quando tornò in Inghilterra si trasferì nella multirazziale Londra del Nord, dove abitano molti immigrati (gli inglesi bianchi sono una minoranza). Era una periferia da terzo mondo e Corbyn si sentiva a casa” –  dichiara Sullivan. Ma il suo radicalismo sinistrorso si è manifestato in altri settori. Simpatizzò per l’Esercito repubblicano irlandese (Ira), fu ostile alla monarchia e a favore dei movimenti rivoluzionari terzomondisti e si batteva per il disarmo nucleare unilaterale. Si oppose all’appartenenza britannica alla Nato e alla futura Unione europea. Disprezzava l’alleanza americana e la tendenza capitalistica dell’UE. Era un astemio contrario all’alcol e alle droghe. E’ un vegetariano. Non ha cambiato idea su nulla, anche se i suoi obiettivi sono stati tutti battuti dalla storia. E’ stato singolare il suo rapporto con il partito al quale apparteneva ed appartiene. Nei decenni che ha passato in parlamento, ad esempio, ha votato 428 volte contro le indicazioni del suo partito quando era al governo. Come deputato è sempre rimasto ai margini. E’ un convinto difensore dei palestinesi. Per questo, forse, ancora oggi, è antisemita e un convinto avversario di Israele. Ha invitato alla Camera dei Comuni i suoi “amici” di Hamas e Hezbollah, come alcuni membri dell’Ira, una volta persino due settimane dopo che un gruppo dell’Ira aveva quasi assassinato Margaret Thatcher, facendo scoppiare una bomba nel suo hotel nel 1984. Ha disprezzato la modernizzazione del partito attuata da Tony Blair. I corbynisti sono fermi agli anni settanta. Allora il modello socialdemocratico collassò in una mera difesa del potere dei sindacati contro un governo eletto, provocò la stagflazione e paralizzò i servizi pubblici essenziali con scioperi di massa. Le riserve di energia – continua Sullivan – erano talmente ridotte all’osso che, a un certo punto, il Regno Unito aveva elettricità soltanto per tre giorni lavorativi a settimana. Oggi i corbynisti vedono l’eredità neoliberale della Thatcher in uno stato di disastro e con la richiesta di elezioni sperano di approfittare della situazione per tornare al governo. La Brexit passa in secondo piano nelle loro priorità. Ma davvero il Regno unito è pronto a buttarsi nelle braccia di Corbyn, di questo vecchio arnese del socialismo radicale che negli ultimi cinquant’anni ha perso tutte le scommesse con la storia? Un Regno Unito fuori dall’UE sarebbe ancora più debole per poter resistere a questa prospettiva. Quello dei laburisti alla Corbyn sarebbe un sovranismo imperiale. Ci mancava anche questo, da affiancare ai sovranismi populisti, ahinoi!, senza impero, del Continente.

    Dopo l’assemblea dei Laburisti della settimana scorsa, è iniziata quella del Partito Conservatore, la premier May deve far fronte a due difficoltà: da un lato gli oppositori interni e dall’altro, la necessità di trovare una soluzione per l’accordo sull’uscita dall’UE. Il Consiglio di Salisburgo non gli era stato favorevole e l’UE aveva respinto le proposte inglesi. Si arriverà al fatidico 19 marzo 2019, data prevista per l’uscita dall’UE, senza accordo? Sarebbe un ulteriore indebolimento della May, con Corbyn che richiede le elezioni politiche. Ci sarà un ammorbidimento delle richieste inglesi all’Europa? I nemici della May hanno già cominciato a spararle contro in modo forsennato. Avrà una maggioranza per resistere alle pressioni contrarie?

  • L’allucinante storia di Alfie Evans simile a quella di Charlie Gard

    Il piccolo Alfie Evans, di 22 mesi, sarà fatto morire, il che corrisponde a dire: sarà ammazzato. L’ha deciso una sentenza dell’Alta Corte di Giustizia di Londra il 20 febbraio scorso, che ha decretato la sospensione della ventilazione e della nutrizione assistite per Alfie, colpito da una grave malattia neuro-degenerativa, autorizzando di fatto la morte prematura del piccolo. Già i medici dell’ospedale civile di Liverpool avevano dichiarato che la sua vita era «inutile». Per il suo miglior interesse – questa la loro dichiarazione – il piccolo doveva  essere lasciato morire in modo pacifico e dignitoso. Ad aggravare questa già di per sé tragica vicenda, il giudice Antony Hayden, per giustificare questa inaudita sentenza, si è appellato nientemeno che a Papa Francesco citando il brano di un suo messaggio indirizzato il 7 novembre 2017 al presidente dell’Accademia per la Vita, monsignor Paglia, e strumentalizzando scorrettamente  una sua affermazione relativa all’accanimento terapeutico. La polemica è stata precisata da don Roberto Colombo, docente di biochimica e biochimica clinica, in un intervento pubblicato sul blog del card. Elio Sgreccia, riconosciuto come un’autorità nel campo della bioetica: “Se è vero, come ricorda una parte del messaggio del Papa non citata dal giudice britannico, che dobbiamo sempre prenderci cura del malato, senza accanirci inutilmente contro la sua morte, nello stesso paragrafo il Santo Padre ci ricorda il dovere morale di curarlo senza abbreviare noi stessi la sua vita. Perché imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato, di non scartare alcuna vita umana condannandola a una morte anticipata, perché giudicata non degna di essere vissuta. Chi dà il diritto a una Corte o a un medico, o a un giudice di giudicare una vita indegna di essere vissuta? Proprio oggi è deceduto all’età di 76 anni Stephen Hawking. Ha vissuto una vita inchiodato in una seggiola a rotelle, ma ha scoperto i segreti dell’universo e ha reso popolare l’astrofisica, al punto di diventare una star. Se fosse nato oggi avrebbe trovato medici e giudici disposti a dichiarare che la sua vita sarebbe stata indegna d’essere vissuta a causa della sua inguaribile condizione fisica (una malattia degenerativa dei motoneuroni), e quindi che, per il suo bene, avrebbe dovuto essere soppresso? I medici in effetti chiesero a sua moglie, 33 anni fa, se voleva spegnere le macchine di supporto fisiologico. La risposta fu evidentemente negativa e la richiesta non fu trasmessa al tribunale. Che cosa è successo alla cultura del Regno Unito – diremmo dell’Occidente intero – che permette di interrompere la vita di un bambino incurabile, dicendo che così facendo si fa il suo interesse? Mai, qualche decina d’anni fa si sarebbe pensato che operazioni simili sarebbero state legali, anche contro il parere dei genitori, i quali chiedono soltanto che il loro piccolo possa vivere i giorni che gli restano da vivere. Non è un accanimento terapeutico quello usato per tenere in vita Alfie e Charlie. La ventilazione e l’idratazione praticata per entrambi è semplicemente un supporto fisiologico che consente loro di vivere fintanto che Dio vorrà. Non c’è accanimento perché non c’è terapia, il supporto non è terapeutico perché la malattia è  dichiarata inguaribile. Perché invece questo accanimento per la morte? Che cosa ha culturalmente motivato questo atteggiamento nihilista? La Corte dei diritti è diventata una scelta morale ambigua per nascondere il nulla, la non vita? La non considerazione, l’annullamento della potestas dei genitori è un altro colpo voluto dai cultori della morte contro la famiglia? Praticare l’eutanasia, perché di questo si tratta con Alfie e con Charlie, diventa ora una scelta lecita. E’ incredibile! Se la praticava il nazionalsocialismo hitleriano era un delitto. Se la praticano le democrazie attuali diventa un gesto politicamente corretto. L’Occidente sta perdendo, se non ha ancora perso del tutto, qualcosa. La dignità dell’uomo è stata riconosciuta dal Cristianesimo. Se questo vacilla o si riduce, anche l’immenso valore della dignità umana perderà la sua tutela ed il suo riconoscimento. A vantaggio della cultura della morte che, imperterrita, continuerà a praticare l’eutanasia con i vecchi ammalati e con i bambini affetti da malattie incurabili.

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