Made in Italy

  • The Real Public Enemies

    Nella più totale assenza di un Ministero del Made in Italy, Stellantis, in una lettera inviata ai propri imprenditori associati alla filiera dell’automotive, invita gli stessi ad investire nei paesi a basso costo di manodopera, con l’obiettivo di mantenere il proprio ruolo all’interno della filiera produttiva della casa automobilistica francese (*).

    In altre parole, quella che una volta era stata l’italiana Fiat, con queste missive, intende orientare tutte le Pmi interessate al mantenimento del proprio ruolo nella filiera produttiva verso una veloce e repentina delocalizzazione produttiva la quale, ancora una volta, esprime una volontà di deindustrializzazione del nostro Paese. Per colpa di simili strategie “industriali “, il costo sociale ed economico, ancora una volta, ricadrà interamente sulle spalle del tessuto industriale ed economico italiano e sulle innumerevoli professionalità impiegate.

    Contemporaneamente, la Electrolux di Pordenone ha dichiarato perdite nell’ultimo trimestre per oltre 238 milioni e, di conseguenza, ha annunciando da subito 373 esuberi mettendo però in forse addirittura il mantenimento operativo dello stesso stabilimento in Italia.

    Le dinamiche nella recessione economica europea risultano ogni giorno sempre più complesse e articolate.

    Tuttavia le disastrose conseguenze, queste sicuramente più semplici da prevedere, vengono favorite dalla inconsistenza e trasparenza professionale della compagine governativa, la quale si dimostra più interessata ad un poco utile liceo del made in Italy (flop del ministro Urso). In questo sostenuta da una opposizione più interessata ai pericoli “fascisti” legati ad un saluto romano ma inconsapevole per la medesima inconsistenza professionale delle dinamiche economiche che interessano il nostro Paese, soprattutto in un’ottica di medio e lungo termine.

    Questo comportamento delle due sponde parlamentari politiche e governative rappresenta l’ennesima dimostrazione di come entrambe risultino assolutamente al di sotto della soglia minima di senso delle istituzioni e competenza, quindi assolutamente impreparate nella elaborazione di una strategia economica che ponga il futuro ed il benessere dei propri cittadini come obbiettivo strategico.

    La sintesi di questi fattori negativi, rappresentati da una imprenditoria e dal mondo delle multinazionali prive di ogni legame con il territorio e da un governo ed una opposizione incapaci culturalmente anche solo di ipotizzare un orizzonte che vada oltre i prossimi sei mesi (il classico appuntamento elettorale), condannano il nostro Paese ad un già conclamato declino economico, sociale ed istituzionale.

    Questo micidiale insieme di fattori rappresenta per il nostro paese The Real Public Enemies.

  • Emilia Romagna: attacco al Made in Italy

    Il principale valore riconosciuto al Made in Italy è quello di rappresentare la perfetta sintesi tra stile, know how professionale ed industriale, sublimato e valorizzato dall’utilizzo di materie prime di grandissimo valore, in particolar modo nel settore agroalimentare e vitivinicolo.

    Proprio nel settore primario la certificazione della filiera agroalimentare rappresenta il principale valore espresso dalle eccellenze italiane e riconosciuto in ogni parte del mondo e da ogni mercato e consumatore.

    Nello specifico, l’Italia rappresenta il primo produttore al mondo di pasta con 3,6 milioni di tonnellate ed utilizza al massimo le potenzialità produttive del settore agricolo italiano.

    Nonostante questa eccellenza mondiale ed all’interno del cuore e del polmone verde in Italia, la Regione Emilia Romagna ha stabilito con la Delibera 2133 del 4 dicembre 2023 di offrire dai 500 ai 1500 euro all’anno, per i prossimi vent’anni, per ogni ettaro “non coltivato”, cioè sottratto alla filiera agroalimentare.
    L’obiettivo è di carattere ambientale:
    “contribuire alla mitigazione dei cambiamenti
    climatici e all’adattamento a essi, anche
    riducendo le emissioni di gas a effetto serra …. favorire lo sviluppo sostenibile”.

    Il Premio Nobel per l’Economia Milton Friedman diceva “se tu paghi la gente quando non lavora e la tassi quando lavora non essere sorpreso se produci disoccupazione”.

    In questo modo si pongono le basi per la distruzione del valore complessivo della filiera agroalimentare in quanto si adotta il principio del “reddito di incoltivazione” pagando per non coltivare. Magari potrà, successivamente, sulla base del solo delirio ambientalista, essere adottato per altri settori, anche se eccellenze del Made in Italy, aprendo le porte ad una ulteriore disoccupazione e dipendenza dalle import di ogni genere.

    Dimenticando, poi, come la semplice importazione delle materie prime dall’estremo Oriente e dal Canada, ma anche dalla Russia, determinino un impatto ambientale molto più importante di quanto la stessa coltivazione produca.

    In altre parole, il delirio ambientalista si sta definendo come il peggior nemico delle eccellenze italiane che producono reddito e valore aggiunto ed assicurano un futuro alle famiglie.

    Mai come ora la Regione Emilia Romagna opera contro il settore primario e tende a distruggere ogni valore economico espresso negli ultimi cinquant’anni dalle eccellenze italiane in nome di un delirio ambientalista e politico.

  • Farinetti chiude il parco contadino di Bologna ma rilancia con Grand Tour Italia

    Realizzato tra il 2012 e il 2017 su una superficie di 10 ettari all’interno degli ex spazi del Caab – Centro agroalimentare di Bologna – il parco Fico, acronimo di Fabbrica Italiana Contadina verrà chiuso, perché da quando è aperto ha avuto sempre i conti in rosso (con una sola eccezione). Ma Oscar Farinetti, nel dare l’annuncio della chiusura (18 milioni di euro i debiti e 6,5 milioni le perdite che emergono nell’ultimo bilancio, di agosto) ha anche anticipato che il parco riaprirà ad aprile sotto un altro nome: Grand Tour Italia.

    Otto ettari dedicati a negozi e ristoranti e due all’agricoltura e all’allevamento di animali, Fico ha comportato un investimento per la costruzione di circa 140 milioni di euro, cui si sono aggiunti 23 milioni per realizzare un albergo con 200 camere mai costruito. Sotto la gestione di Eatalyworld srl, una società partecipata da Eataly e da Fico.Op Srl, controllata da Coop Alleanza 3.0, il parco non ha mai conseguito quei 6 milioni di visitatori che Farinetti aveva preventivato come soglia minima per il primo anno di attività. Nell’anno successivo all’inaugurazione ufficiale del 15 novembre 2017, i visitatori furono solo 2,8 milioni (per il 70% provenienti da fuori Bologna) e l’utile generato si fermò a soli 19mila euro. Prima che il parco dovesse sospendere le attività, fino a giugno 2021, causa Covid19, la situazione era peggiorata ulteriormente; nel 2019 i visitatori erano calati a 1,6 milioni e si erano avute perdite nette pari a 3,14 milioni di euro.

    Il Grand Tour Italia nel quale il parco si rinnoverà dalla prossima primavera secondo Farinetti (che nel frattempo ha assunto la gestione dell’area), rappresenterà il viaggio nell’Italia e nelle regioni: si entrerà in Val d’Aosta, si uscirà dalla Sicilia e dalla Sardegna passando in mezzo a tutte le regioni italiane. «Racconteremo la biodiversità delle regioni con le osterie che cambieranno tutti i mesi nel mondo Slow Food e verranno tutti i mesi a portare nuove cose da mangiare. Ci saranno grandi aree didattiche. Le regioni porteranno il loro folk, ovvero le loro manifestazioni locali. Sarà una cosa bellissima e strepitosa» ha detto Farinetti a Radio24.

  • Superata la Germania, l’Italia terza nell’arredo

    Rallenta ma non si ferma la crescita del settore dell’arredo a livello globale, nel cui firmamento brilla la stella del Made in Italy, con il nostro Paese che scavalca la Germania e conquista il terzo posto dietro ai colossi Cina e Stati Uniti.

    L’incertezza economica, rileva l’Area Studi Mediobanca, dovrebbe contenere lo slancio del comparto al 5% nel 2023, dopo un 2022 e un 2021 cresciuti a doppia cifra, rispettivamente del 12% e del 14%. Le previsioni di lungo periodo sono comunque positive e stimano un incremento del giro d’affari globale dai 530 miliardi del 2022 a 690 miliardi nel 2027. La Cina, seppure in frenata, mantiene una leadership indiscussa, con il 37,1% della produzione mondiale e il 34,1% delle esportazioni. Seguono, a grande distanza, gli Stati Uniti (13,6%) e l’Italia che, grazie a una market share del 4,5%, scavalca la Germania (4,3%) al terzo posto. Dopo la Polonia il nostro Paese è il secondo esportatore dell’Ue a 27, a cui destina il 45,9% del suo export, e il quarto al mondo, alle spalle di Polonia, Vietnam e della solita Cina.

    Lo studio analizza anche i bilanci di 286 aziende italiane con un fatturato superiore ai 10 milioni. Nel 2021 l’aggregato ha realizzato ricavi per 14 miliardi (+23,8%) riprendendosi dal calo del 5% subito nel 2020 a causa della pandemia. Trend che dovrebbe essere continuato nel 2022, con un aumento del fatturato del 18%, più sul mercato estero (+20%) che su quello interno (+16%), mentre per quest’anno il 57% delle aziende prevede un incremento, seppur più contenuto, di fatturato ed export, il 32% un calo e l’11% uno stallo.

    “Qualità dell’offerta settoriale” e «specializzazione nell’alto di gamma” sono, a detta di Mediobanca, gli ingredienti del nostro “successo” all’estero, mercato da cui nel 2021 è arrivato il 55,2% dei ricavi, con l’Italia “punta di diamante” nel segmento da oltre 50 miliardi dell’arredo di lusso. Svecchiamento e carenza di forza lavoro qualificata, riorganizzazione della supply chain per ridurre la dipendenza dall’estero, specialmente di legno, e spinta sulla digitalizzazione per aumentare le vendite online sono invece le sfide che attendono il settore.

  • La Commissione approva una nuova indicazione geografica

    La Commissione ha approvato l’aggiunta del nome “Sebadas/Seadas/Sabadas/Seattas/Savadas/Sevadas di Sardegna” nel registro delle indicazioni geografiche protette (IGP).

    Le “Sebadas/Seadas/Sabadas/Seattas/Savadas/Sevadas di Sardegna” sono un dolce tipico sardo, secondo la tradizione culinaria dell’isola, il dolce deve essere fritto, cosparso di miele o zucchero e servito caldo. Il prodotto può recare uno o più nomi compresi nella denominazione protetta.

    La nuova denominazione sarà aggiunta all’elenco dei 1.639 prodotti agricoli già protetti.

  • La filiera del food italiano vale il 31,8% del Pil

    L’alimentare in Italia è non soltanto un campione dell’export, ma è anche un colosso industriale che contribuisce alla qualità della vita degli Italiani e arriva ad esprimere il 31,8% del Pil. Un colosso industriale, dunque, che, secondo il rapporto Federalimentare-Censis, da solo conta 179 miliardi di euro di fatturato annuo, 60mila imprese, 464mila addetti, oltre 50 miliardi di euro di export, costituendo così un patrimonio di interesse nazionale. Del resto, ricordano Federalimentare-Censis, nelle graduatorie dei settori manifatturieri italiani, l’industria alimentare è al primo posto per fatturato, al secondo posto per numero di imprese, per addetti e per l’export in valore. E protagonista di rilievo all’interno dell’intera filiera del food italiano che conta in totale un fatturato totale di 607 miliardi di euro con 1,3 milioni di imprese e 3,6 milioni di addetti.

    “Siamo una grande forza al servizio del Paese – ha detto il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino – e la fiducia espressa dall’86,4% degli italiani verso l’industria alimentare evidenzia un solido rapporto in una realtà estremamente competitiva perché siamo chiamati a soddisfare i consumatori più esigenti al mondo”. A giudizio di Mascarino “il saper fare dei nostri imprenditori, con numerose aziende storiche e ai vertici della migliore reputazione al mondo, è un vantaggio competitivo da tutelare. E da coltivare nelle scuole per promuovere la formazione di nuovi imprenditori del comparto. Nel frattempo il nostro cibo rimane un valido alfiere del made in Italy nel mondo, ma per superare le diverse minacce che spaziano dall’Italian sounding alle etichette al semaforo, dalle diete universali e omologanti alle politiche degli imballaggi, l’Italia ha bisogno di una grande alleanza per la crescita. Noi dell’industria alimentare ci siamo, pronti a fare la nostra parte per la competitività”. Un invito alla collaborazione raccolto dal sottosegretario agli Affari Esteri Maria Tripodi che ha ricordato la “Diplomazia della crescita” in corso alla Farnesina che da tempo peraltro promuove, grazie alla rete estera, la Settimana della cucina italiana nel mondo e della Dieta Mediterranea. “L’industria alimentare ha un valore strategico – conclude il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida – e il governo continua ad investire sulla crescita del settore attenzionando la qualità, ma anche incentivando l’esportazione e promuovendo le aziende all’estero”.

  • La Commissione approva l’“Olio Campania” come nuova indicazione geografica protetta

    La Commissione ha approvato l’“Olio Campania” come indicazione geografica protetta (IGP).

    La denominazione “Olio Campania” è riservata all’olio extravergine di oliva ottenuto da olive prodotte esclusivamente in Campania. Il clima della regione, caratterizzato da estati secche e calde, è fortemente vocato all’olivicoltura. Accanto ai fattori ambientali, anche quelli più direttamente legati all’azione dell’uomo, come le tecniche agronomiche e le tecniche estrattive, hanno contribuito alla qualità dell’olio della Campania. La reputazione della denominazione “Olio Campania” poggia sullo stretto e antico legame fra territorio, ulivo, olio e olivicoltura, tuttora emblematico della regione Campania.

    La nuova denominazione sarà aggiunta all’elenco dei 1 617 prodotti agricoli già protetti.

  • La salvaguardia della cultura nazionale

    Negli ultimi trent’anni il ceto accademico ha promozionato, e quasi imposto, alla classe politica governativa Italiana il postulato economico relativo alla inevitabilità delle delocalizzazioni produttive verso paesi a basso costo di manodopera, favorendo l’infantile visione di economie occidentali basate unicamente sul turismo ed i servizi. Di fronte ad una devastante deindustrializzazione del nostro Paese, la classe politica ha risposto con imbarazzanti silenzi o peggio con una sostanziale accondiscendenza da considerarsi come un’espressione cristallina di un vuoto strategico ed economico.

    La nostra supremazia economica e culturale, come espressione di una filiera industriale, è stata azzerata esattamente come ora l’Unione Europea intende realizzare con l’obbligatorietà dell’auto elettrica dal 2035.

    A poche decine di minuti da Milano, la Svizzera rappresenta, ancora una volta, un modello democratico (diretto) ed economico ancora oggi non compreso dalle italiche eccellenze intellettuali accademiche e politiche.

    La decisione della statunitense Mondelez di spostare la produzione del celebre Toblerone in Slovacchia, classica delocalizzazione verso costi minori di manodopera, ha avuto delle conseguenze immediate. Lo Stato Svizzero, in applicazione della legge del 1 gennaio 2017, Swissness Act, ha imposto alla società americana di togliere dalla confezione della celebre barretta di cioccolato l’immagine del Cervino e lo stessa definizione Swiss Made.

    In altre parole, il legislatore elvetico di fronte ad una legittima scelta strategica di una società di delocalizzare la propria produzione, ha definito un quadro normativo finalizzato a tutelare il valore stesso della produzione industriale elvetica. Il principio economico e culturale di cui questa legge ne esprime il principio ispiratore definisce una filiera industriale come espressione del know how professionale ed industriale, una ricchezza nazionale da tutelare proprio con un intervento normativo specifico.

    Il governo svizzero ha quindi imposto delle conseguenze immediate ai produttori del Toblerone e cosi azzerato ogni plus derivante dalla localizzazione elvetica del prodotto.

    Nel nostro Paese, invece, si continua a parlare di finanziamenti anche europei, ma sempre lontani dal mondo industriale e soprattutto nella totale assenza di una rinnovata attenzione alla filiera complessiva del Made in Italy la quale richiederebbe una normativa molto più decisa e chiara da applicare.

    Gli effetti devastanti di un’ideologia che ha dominato la scena politica italiana, imperniata sulla considerazione di un mondo industriale come espressione di una Old Economy,rappresentano il fallimento clamoroso culturale, economico ed umano di una classe politica ed accademica che non si è mai posta e tanto meno ha  ricercato una strategia economica che limitasse quantomeno le delocalizzazioni produttive. Viceversa, le ha semplicemente accettate, sostenute e considerate inevitabili.

    La scelta del governo svizzero, invece, rappresenta la massima espressione di un’economia complessa ma pur sempre liberale, all’interno della quale non si impone nessun divieto alle legittime scelte di una società operante all’interno del territorio elvetico.

    Tuttavia, e questa rappresenta la massima espressione di un pensiero innovativo, vengono definite attraverso un preciso quadro normativo (Swissness Act appunto) le inevitabili conseguenze, imponendo, come nel caso specifico, alla stessa proprietà di eliminare tutti i plus espressione dello Swiss made.

    Questa strategia politica ed economica adottata in Svizzera rappresenta l’unica forma di tutela anche culturale per un sistema economico e per le umane professionalità che concorrono al suo continuo progresso.

  • Il calzaturiero aumenta i ricavi del 13,9% nei primi nove mesi del 2022

    Il comparto calzaturiero italiano continua il percorso di recupero post-pandemia registrando nei primi nove mesi del 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, un incremento a doppia cifra del fatturato (+13,9%). E’ la fotografia scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici che evidenzia anche un aumento dell’export (+23,7% in valore e +11,7% in volume, trainato dalle griffe del lusso), che ha già superato i livelli pre-Covid (con l’eccezione, però, delle scarpe con tomaio in pelle, che presentano un gap del -11% in quantità sul 2019). Risultati positivi nei mercati comunitari (con aumenti nell’ordine del +25% in valore in Francia e Germania), in Nord America (+62%) e in Medio Oriente (+58,5%). Bene anche la Cina, ma soprattutto per l’alto di gamma (+43% in valore, con un +34% nel prezzo medio). Pesanti, invece, le conseguenze della guerra in Russia e Ucraina (-32% nei primi 9 mesi nell’insieme, con un -40% dall’inizio del conflitto); tra gli stati dell’ex blocco sovietico cresce il Kazakistan (+33,4%).

    Nel report emerge anche la risalita nei consumi interni: +13,3% in spesa gli acquisti delle famiglie, ma ancora -3,5% sulla situazione già largamente insoddisfacente di tre anni addietro. Il contestuale balzo dell’import (+30% quantità) e la propensione al risparmio indotta dal carovita rendono sempre più serrata la competizione sul mercato nazionale, sfavorito anche da una stagione autunnale partita molto in ritardo. Cresce, inoltre, la quota di vendite off-price, mentre in estate appare sostenuto il ritmo dei flussi turistici, anche se il recupero nello shopping straniero è ancora parziale.

    Analizzando nel dettaglio le esportazioni, le vendite estere di calzature hanno raggiunto l’ennesimo primato in valore, toccando i 9,35 miliardi di euro (+23,7% su gennaio-settembre 2021), per un totale di 165,2 milioni di paia (+11,7%): non un record quello delle quantità, ma comunque il miglior risultato dal 2017 ad oggi. Il prezzo medio al paio è salito a 56,60 euro (+10,7%). Sia in valore che in volume sono state superate le cifre dei primi 9 mesi 2019 pre-Covid (rispettivamente del +20,4% e di un più modesto +3,9%). Decisamente positivo l’export verso gli Usa che – dopo la fine della “guerra dei dazi” con la Ue nell’autunno 2021 nell’ambito delle dispute sulla digital tax e lo scampato pericolo di imposte aggiuntive sui prodotti del fashion – nel 2022, grazie al cambio favorevole, hanno registrato nei primi nove mesi un sensibile incremento (+61% in valore e +28% in volume). Crescita altrettanto vigorosa si evidenzia per il Canada. La Cina, dopo la frenata nel bimestre aprile-maggio (-25% nelle quantità e -13% in valore) legata alle restrizioni adottate in diverse città per fronteggiare i nuovi focolai Covid, da giugno è ripartita con vigore. Il terzo trimestre ha registrato un aumento del +86% in valore (con un +17,4% in volume), grazie ai risultati conseguiti dalle griffe del lusso. Il cumulato dei primi nove mesi segna così un +43% in valore, con un molto più ridotto +7% nelle paia. All’interno della top 20 delle destinazioni è il mercato che presenta il prezzo medio più alto: 213,39 euro/paio, +33,6% su un anno addietro. Forte preoccupazione destano ovviamente le notizie sulla recrudescenza del virus. Restando nel Far East (+27,4% in valore globalmente) torna a crescere la Corea del Sud (+22,5%); bene il Giappone (+25,5% in valore), che presenta però, così come Hong Kong, un gap considerevole col pre-pandemia. Confortanti anche i dati sul Medio Oriente, dove svettano gli Emirati Arabi (15 mercato, in aumento del +68% in valore e del +49% in quantità su gennaio-settembre 2021). Tornando nel Vecchio Continente, tra i membri della Ue27 cresce del 26% la Germania (+18% in paia), da sempre uno dei principali clienti delle calzature Made in Italy (è il secondo in termini di volume); positivi anche altri importanti sbocchi comunitari, quali Spagna (+23% circa in valore), Paesi Bassi (+36%), Polonia (+16%) e Belgio (+19%), tutti già abbondantemente oltre i numeri pre-Covid. Riparte l’export verso il Regno Unito (+23% in valore e +1,6% in quantità) dopo il crollo dell’ultimo biennio, successivo all’uscita dall’Unione. Le cifre attuali restano comunque marcatamente inferiori a quelle 2019: -29% in valore e -39% in volume.

    Secondo Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici, «nonostante l’incremento a doppia cifra del fatturato settoriale 2022, con previsione di ritorno a consuntivo sui livelli pre-pandemia, e i segni positivi in gran parte delle variabili, il forte aumento dei costi erode i margini delle imprese, costrette ad affrontare, oltre ai rincari delle materie prime, la fiammata senza precedenti degli energetici. Permane inoltre una rilevante disomogeneità tra le aziende, con due su cinque tuttora con fatturato sotto i valori pre-emergenziali. Gli effetti della crisi – prosegue Ceolini – appaiono evidenti nei dati relativi alla demografia delle imprese (con 180 chiusure tra i produttori di calzature da inizio anno, tra industria e artigianato, -4,5%), mentre nei livelli occupazionali trovano conferma il rimbalzo già registrato nei primi 2 trimestri (+2,3%, insufficiente, comunque, a ripianare le perdite subite nel biennio precedente) e la marcata riduzione, rispetto al 2021, delle ore di cassa integrazione guadagni autorizzate nell’area pelle (-81,6%, con ancora però un +80% sul 2019). Nelle aspettative a breve domina – conclude – l’incertezza, in un panorama mondiale in cui – dopo il lungo periodo flagellato dalla pandemia – inflazione, caro bolletta e turbolenze geopolitiche minano il clima di fiducia, frenando la domanda di beni».

  • Made in Italy da record: la Dop economy vale 19 miliardi

    Record per la Dop economy italiana che chiude il 2021 con un valore alla produzione di 19,1 miliardi in crescita del 16,1% su base annua e un export da 10,7 miliardi con +12,8%. Un sistema di eccellenze composto da 845 prodotti, di cui 319 Dop/Igp/Stg nel settore cibo, e 526 Dop/Igp nel settore vino, da difendere e valorizzare. Tanto che c’è l’impegno del ministro Francesco Lollobrigida a tradurre in fatti concreti la sovranità alimentare con un fondo specifico per rendere più indipendente questa nazione. È il risultato della giornata di presentazione della XX edizione del Rapporto Ismea-Qualivita, che porta a quota 21% il contributo del comparto Dop Igp al fatturato complessivo del settore agroalimentare.

    Si tratta di espressione di un patrimonio economico non delocalizzabile, frutto del lavoro coeso di un sistema complesso e organizzato che in tutto il territorio coinvolge 198.842 operatori e 291 Consorzi di tutela autorizzati dal ministero. Quattro le new entry 2022: Vincisgrassi alla Maceratese (Igp); Lenticchia di Onano (Igp), Finocchio di Isola Capo Rizzuto (Igp) e Castagna di Roccamonfina (Igp).

    “L’Italia non può competere sulla quantità ma saper investire sulla qualità”, ha detto il ministro Lollobrigida intervenuto alla presentazione del Rapporto, precisando che “in Ue rispetto alla Francia non abbiamo nulla da invidiare ma sicuramente la loro capacità di difendere i loro prodotti”. E propone di creare un doppio binario di promozione, i prodotti nei musei e i musei rilanciati attraverso i prodotti. “Ne parlerò con il ministro della Cultura, Sangiuliano”, ha detto Lollobrigida.

    Tanti i numeri che tratteggiano questo tesoro fatto di qualità diffusa su tutto il territorio, dalle Regioni alle province. In particolare il comparto cibo Dop Igp sfiora gli 8 miliardi di euro (+9,7%), mentre il settore vitivinicolo supera gli 11 miliardi di euro (+21,2%): più di 1 euro su 5 di cibo e di vino è generato da prodotti a denominazione.

    Sul fronte delle esportazioni, i prodotti certificati pesano per il 21% sulle vendite totali dell’ agroalimentare, un risultato che somma il cibo con 4,41 miliardi (+12,5% su base annua) e il vino con 6,29 miliardi (+13%). In particolare si registrano crescite a 2 cifre per le principali categorie, dai formaggi (+15%) agli aceti balsamici (+11%) ai prodotti a base di carne (+13%). A  trainare il vitivinicolo sono i vini Dop (+16%), con in testa gli spumanti (+25%). Relativamente agli impatti economici delle filiere, crescono in 18 regioni su 20. Le quattro del Nord-Est rafforzano il ruolo di traino, superando per la prima volta i 10 miliardi di euro; salgono anche Nord-Ovest (+10,8%) e Centro (+15,5%). Particolarmente significativo il dato per Sud e Isole, unica area che segna +13,2% dopo +7,5% del 2020.

    Ottimi risultati economici che si riflettono sui territori. Veneto e Emilia-Romagna sono le prime regioni in assoluto per valore, con +28% e +11% sul 2020. Le regioni del Nord-Ovest registrano 3,8 miliardi di euro, grazie a Lombardia (+7,2%) e Piemonte (+15,4%), mentre quelle del Centro raggiungono 1,7 miliardi di euro, guidate dalla Toscana (+18,6%). L’area Sud e Isole totalizza 3 miliardi, in ascesa per Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna. Tra le prime 20 province per valore, di cui ben 12 nel del Nord-Est, si parte da Treviso, Verona e Parma.

    Ed è lotta al cibo sintetico. Bene, ha detto il ministro, la Campania con l’ok alla delibera contro la carne sintetica. Altre Regioni, come Abruzzo e Marche, e decine di comuni sono sulla stessa linea. “Chi vuole mangiare la bistecca prodotta da bioreattori vada in Usa”, ha rincarato Lollobrigida intervistato da Milena Gabanelli a DataRoom sul CorriereTv. “La prima opposizione che faremo sarà in contesto Ue” per scongiurare ogni approvazione di commercializzazione. Nessun arretramento neanche sul fronte Nutriscore. L’etichetta nutrizionale a semaforo, calcola la Coldiretti, “colpisce ingiustamente quasi l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop/Igp) che la stessa Ue dovrebbe invece tutelare e valorizzare”.

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