malattia

  • Allarme peste suina a Piacenza e Parma

    La peste suina si sta estendendo nelle zone di Parma e Piacenza e la Regione Emilia Romagna, mentre tramite l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi sollecita, già da tempo, una strategia nazionale, è corsa ai ripari, mettendo a disposizione 3,5 milioni di euro per la prevenzione dei danni da fauna selvatica, 8 milioni di euro per il rafforzamento della biosicurezza nelle aziende suinicole attraverso fondi regionali e Programma di Sviluppo Rurale. Inoltre ha affidato 2 milioni di euro al Commissario per la prevenzione della peste suina e la posa di reti di protezione nelle zone di confine tra Piacenza e Parma, per proteggere gli allevamenti.

    Il 24 ottobre la Provincia di Piacenza ha invitato il professor David Garcia Paez (docente di tossicologia, farmaceutica e biologia in diverse università e formatore per diverse realtà zootecniche iberiche e sudamericane) e gli esperti in biosicurezza Carlos Gamito e Jordi Ramirez ad illustrare le misure adottate in Spagna per far fronte alla medesima peste. La Spagna stan ottenendo ottimi risultati attraverso conoscenza: informazione diffusa a tutti gli attori del territorio (addetti ai lavori ma anche popolazione) circa le modalità di trasmissione e i danni generati dalla peste, prevenzione attraverso la preparazione individuale di tutti coloro che operano nella filiera e nel controllo ed automatismi di disinfezione per persone e mezzi in aziende/allevamenti.

    La filiera suinicola in Emilia-Romagna conta circa 1.200 allevamenti, 1,2 milioni di capi e una produzione lorda vendibile stimata in 307 milioni di euro. I prodotti a base di carne Dop e Igp hanno un valore alla produzione pari a 1,93 miliardi di euro e un valore al consumo pari a 4,98 miliardi di euro. L’export vale 601 milioni di euro. Il 53% del fatturato nazionale relativo ai prodotti a base carne Dop e Igp derivante dalla filiera è attribuibile all’Emilia-Romagna.

  • Emergenza Alzheimer, in Italia 2,3 milioni casi nel 2050

    Entro il 2050 in Italia potrebbero vivere 2,3 milioni di persone affette da demenze come la malattia di Alzheimer, circa 800 mila in più rispetto a oggi. Si tratta, però, di una traiettoria che potrebbe essere modificata: fino al 40% di questi casi potrebbe essere infatti ritardato o evitato del tutto intervenendo sui principali fattori di rischio. È con questo messaggio che la Federazione Alzheimer Italia e Alzheimer’s Disease International hanno lanciato la dodicesima edizione del Mese Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra a settembre, chiedendo ai governi di tutto il mondo di rafforzare il finanziamento sui principali fattori di rischio per la demenza e le strategie di contrasto alla loro diffusione.

    Al momento, non sembra che ciò stia avvenendo. «L’Italia, aderendo nel 2017 al Piano di azione globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla risposta di salute pubblica alla demenza, si è impegnata a dare priorità alla riduzione del rischio», afferma la presidente della Federazione Alzheimer Italia Katia Pinto. «Un aspetto che non è sufficientemente considerato nel nostro Piano Nazionale Demenze, che, oltretutto, potrebbe a breve rimanere di nuovo senza fondi: lo stanziamento economico previsto con la legge di Bilancio del 2021 si esaurirà infatti nei prossimi mesi. Per questo chiediamo con forza al Governo di garantire nuovi fondi al Piano, così da permettere di proseguire il lavoro già iniziato e implementare inoltre iniziative efficaci di prevenzione», conclude Pinto.

    Secondo un’analisi condotta nel 2000 dalla ‘Lancet Commission on dementia prevention, intervention, and care’ sono 12 i principali fattori di rischio per la demenza: l’inattività fisica, il fumo, il consumo di alcol, le  lesioni alla testa, i contatti sociali poco frequenti, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, scarsi livelli di istruzione e l’inquinamento. È intervenendo su questi che si può cambiare lo scenario epidemiologico della malattia, riducendo fino al 40% i casi su scala globale, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito.

    «Investire nella riduzione del rischio è un punto chiave, in assenza di un trattamento o di una cura, per prevenire il maggior numero possibile di casi di demenza», dice Paola Barbarino, ceo di Alzheimer’s Disease International. «Dobbiamo garantire che i cittadini in tutto il mondo siano consapevoli di quali sono le strategie attuabili, a tutte le età, e abbiano accesso alle informazioni, ai consigli e ai servizi di supporto necessari».

    Intanto, c’è grande attesa per le nuove terapie. Negli ultimi due anni si sono resi disponibili i primi medicinali diretti contro le placche amiloidi, ritenute responsabili del declino cognitivo. In Usa due prodotti sono stati già approvati e una terza approvazione è attesa per la fine dell’anno. A breve potrebbero essere disponibili anche in Europa. Questi farmaci non curano la malattia, ma, rallentandone la progressione, potrebbero cambiare la vita di molti malati.

  • Leptospirosi negli allevamenti di cani nel cremonese

    Due allevamenti di cani nel cremonese sono stati raggiunti da provvedimenti dei Carabinieri del Nas di Cremona. Affiancati dall’Ats locale, i militari erano inizialmente intervenuti su uno dei due stabilimenti, poi risultato abusivo, in seguito al decesso per leptospirosi del gestore. I due allevamenti sono risultati collegati fra loro per lo scambio di cani, “soprattutto femmine, portate per la riproduzione” – ha precisato il tenente Andrea Zendron, comandante dei Nas di Cremona. Un’ordinanza comunale ha fatto sgomberare l’abitazione dell’uomo deceduto, sino a quando non sarà sanificata.

    Dei cani allevati, 115 Siberian Husky è stato disposto il trasferimento presso canili sanitari e associazioni, in primo luogo per gli accertamenti sanitari, gli eventuali interventi di profilassi e, ove possibile, per le adozioni. Insieme ai cani sono stati trasferiti anche 12 cavalli, alcuni ovini e bovini. A carico dei responsabili sono scattate le denunce per maltrattamento degli animali, per le precarie condizioni igienico sanitarie in cui erano detenuti gli animali.

    Sono in corso gli accertamenti per quantificare gli importi delle sanzioni amministrative. Il Nas di Cremona ha infatti ricostruito la rete di cessione degli husky, tramite internet, con annunci in rete e via social network.  I cuccioli sono stati venduti nel cremonese, ma anche in altre parti della Lombardia e dell’Italia. Il focolaio è stato circoscritto ed è sotto controllo, ma le indagini del NAS proseguono per risalire ad eventuali cessioni precedenti a questa emergenza, eventualmente verso privati oppure ad altri allevamenti.

    «La stragrande maggioranza dei 115 cani è sotto osservazione sanitaria – fa sapere alla stampa cremonese la Veterinaria Elena Castelli. Quelli già sottoposti ad analisi, che hanno confermato che non hanno contratto la lepto, sono pronti per l’adozione. Per i primi venti adottabili pubblicheremo progressivamente gli annunci. La gestione di un numero di cani così considerevole va fatta per step”. I primi Husky adottabili sono quasi tutte femmine tra gli otto e i nove anni.  Per evitare rischi di contrarre la leptospirosi, il personale e i volontari si sono attrezzati con dispositivi di protezione e hanno seguito un breve percorso di formazione. «Ci dobbiamo muovere in sicurezza – conclude la veterinaria –, le precauzioni sono indispensabili. Chi vorrà adottare uno degli Husky non avrà invece nessun bisogno di cautelarsi. Gli animali che usciranno per andare in una famiglia saranno perfettamente sani».

  • Nasce la Banca della voce per i malati di Sla

    Niente più voce metallica ed impersonale. Per i pazienti affetti da Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), che non possono comunicare, sarà possibile ricorrere ad una voce dall’espressività umana. E ciò grazie al gesto di generosità che ognuno potrà compiere donando, appunto, la propria voce. Il tutto grazie all’Intelligenza artificiale.

    Parte dall’Italia il progetto internazionale ‘Voice for purpose – Diamo voce alla Sla’, ovvero la creazione di una vera e propria ‘Banca della voce’ che vede unite Università Campus Bio-Medico di Roma, Centri Clinici NeMO, Nemo Lab, Translated e Dream On. Insieme per consentire alle persone con disabilità vocali di utilizzare una voce espressiva.

    Nata da un’intuizione di Pino Insegno, attore e doppiatore, il progetto – presentato oggi – mira dunque a dare vita ad una Banca delle voci dal duplice valore: da una parte consentirà alle persone che hanno perso la parola di scegliere una voce espressiva fra tutte quelle che verranno donate; dall’altra permetterà di ‘salvare’ la propria voce, registrandola. Possibilità, quest’ultima, che sarà accessibile a tutti i malati che hanno ancora la capacità di parlare. L’obiettivo è migliorare la qualità di vita dei pazienti, aiutandoli a mantenere la propria identità anche attraverso una voce ‘umana’ con l’ausilio di dispositivi tecnologici ad hoc, mentre le tecnologie attualmente garantite dal Ssn prevedono una sintesi vocale standard robotica e metallica.

    Chiunque può donare la propria voce e, ad oggi, sono già 250 le voci regalate alla Banca. Durante la creazione del proprio profilo sulla piattaforma ‘Voice For Purpose’ verrà richiesto al donatore di effettuare la registrazione della propria voce leggendo un breve messaggio. Il potenziale donatore verrà poi contattato solo quando verrà selezionato da un paziente.

    “La perdita della capacità di parlare con la propria voce è una delle ragioni di maggiore sofferenza per le persone con Sla – ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio – .Voi avete scelto di raccogliere questa sfida, di mettere la tecnologia al servizio della persona e di immaginare una sinergia capace di ridare la voce a chi l’ha persa. La salute non è solo cura ma pieno benessere della persona e il benessere di una persona con Sla passa, anche, dalla capacità di potersi esprimere con la propria voce”. Per il ministro della Salute, Orazio Schillaci, “dobbiamo rafforzare il sostegno alla ricerca e aumentare le risposte ai bisogni delle persone; riacquistare la voce per un malato di Sla significa inclusione e non perdere

    le interazioni sociali”. Un progetto fondamentale anche per il direttore generale dell’Oms, Tedros Ghebreyesus, e la direttrice per la Salute e sicurezza alimentare della Commissione europea Sandra Gallina, in videocollegamento. La Ricerca, ha concluso Gallina, “è cruciale e per la Sla, malattia priva di terapie risolutive, è anche attivo un progetto che punta a realizzare un vaccino terapeutico».

  • Troppo grillismo fisico, gli obesi aumenteranno di oltre 500milioni entro il 2030

    Se non ti muovi ti ammali, e la voglia di non fare nulla, l’inattività motoria, una sorta di grillismo fisico si potrebbe dire per essere sintetici, sarà sempre di più responsabile di una pandemia di gravi condizioni mediche, dal diabete all’obesità, con costi sanitari elevatissimi: secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), infatti, tra il 2020 e il 2030 quasi 500 milioni di persone a causa dell’inattività fisica svilupperanno malattie cardiache, obesità, diabete o altre malattie cosiddette non trasmissibili, con un costo annuo di 27 miliardi di dollari per l’assistenza sanitaria, se i governi non prenderanno provvedimenti urgenti per incoraggiare una maggiore attività fisica tra le loro popolazioni.

    Sono alcuni dei dati emersi dal Rapporto OMS sullo stato globale dell’attività fisica 2022, che misura il grado di azione dei governi per favorire un aumento dei livelli di attività fisica a tutte le età. La pandemia ha peraltro scoraggiato gli stati a organizzare eventi di attività fisica di massa.

    Dal Rapporto, che ha analizzato dati relativi a 194 paesi, è emerso che meno della metà delle nazioni ha una politica che favorisca l’attività fisica della popolazione adulta e pediatrica, e di questi meno del 40% sono veramente operativi per garantire che tutti svolgano un’adeguata quota di esercizio fisico. Inoltre dal rapporto emerge che solo il 30% dei Paesi ha linee guida nazionali sull’attività fisica per tutte le fasce d’età. Mentre quasi tutti i Paesi riportano un sistema di monitoraggio dell’attività fisica negli adulti, il 75% dei Paesi monitora l’attività fisica tra gli adolescenti e meno del 30% dei Paesi monitora l’attività fisica nei bambini al di sotto dei 5 anni. Il problema è che se un paese non è in grado di monitorare quanto si muovono i propri cittadini e quali sono i motivi della sedentarietà, difficilmente potrà adottare le politiche più idonee a favorire il movimento fisico.

    Considerando le azioni che potrebbero incoraggiare il trasporto attivo e sostenibile e quindi il movimento, dal rapporto Oms si vede che solo poco più del 40% dei Paesi ha standard di progettazione stradale che rendono più sicuri gli spostamenti a piedi e in bicicletta, incentivandoli. È importante supportare le persone affinché siano più attive attraverso gli spostamenti a piedi, in bicicletta, o attraverso la pratica di sport e altre attività fisiche. “I benefici sono enormi, non solo per la salute fisica e mentale degli individui, ma anche per le società, gli ambienti e le economie”, ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore generale dell’OMS. “Ci auguriamo che i Paesi utilizzino questo rapporto per costruire società più attive, più sane e più giuste per tutti”.

    L’onere economico dell’inattività fisica è significativo e il costo delle cure per i nuovi casi prevenibili di malattie non trasmissibili raggiungerà quasi 300 miliardi di dollari entro il 2030, circa 27 miliardi di dollari all’anno. Ma i paesi fanno pochissimo per incentivare al movimento fisico, ad esempio dal rapporto emerge che solo poco più del 50% dei Paesi ha condotto una campagna di comunicazione nazionale o ha organizzato eventi di attività fisica di massa negli ultimi due anni. La pandemia di Covid-19 non solo ha bloccato queste iniziative, ma ha anche influenzato l’attuazione di altre politiche che hanno ampliato le disuguaglianze nell’accesso e nelle opportunità di praticare attività fisica per molte comunità.

    Per aiutare i Paesi ad aumentare l’attività fisica, il Piano d’azione globale sull’attività fisica 2018-2030 (Gappa) dell’Oms stabilisce 20 raccomandazioni politiche, tra cui la creazione di strade più sicure per incoraggiare un trasporto più attivo, l’offerta di un maggior numero di programmi e opportunità per l’attività fisica in contesti chiave come le scuole.

  • In 6 anni le morti per tumori solo calate del 10% tra gli uomini e dell’8% tra le donne

    In 6 anni, dal 2015 al 2021, la mortalità per cancro in Italia è diminuita del 10% negli uomini e dell’8% nelle donne. Dai tumori del sangue a quelli della mammella e della prostata, molti progressi sono stati compiuti grazie alle campagne di prevenzione, alla diffusione degli screening oncologici e a nuove molecole che permettono di centrare sempre meglio il ‘bersaglio’ presente sulle cellule tumorali. Ma i pazienti si potrebbero curare ancora meglio se tutti coloro che possono beneficiarne avessero accesso ai test genetici in grado di individuare la presenza di mutazioni che rendono alcuni tumori rispondenti alle terapie.

    A fare il punto sulle terapie oncologiche è l’evento scientifico organizzato da AstraZeneca al Centro Congressi La Nuvola, a Roma, che vede riuniti i maggiori esperti in materia. Continuano a crescere di anno in anno, e sono oggi circa 3,6 milioni, i cittadini che vivono dopo la diagnosi di tumore. In particolare, 7 pazienti su 10 colpiti da tumori del sangue sono vivi a 10 anni dalla diagnosi o può essere considerato guarito. La leucemia linfatica cronica, che colpisce 3.400 persone ogni anno in Italia, è la più frequente fra le leucemie e, per trattarla, la tradizionale immuno-chemioterapia è efficace solo in alcuni casi. “Dopo la revisione delle linee guida europee, che ha ridotto i pazienti candidabili a questo approccio, le terapie mirate sono destinate a diventare sempre più lo standard di cura – spiega Armando Santoro, direttore dell’Humanitas Cancer Center all’Istituto Clinico Humanitas Irccs di Rozzano -. Nelle patologie dei linfociti B, gli inibitori della proteina BTK, che rientrano nella classe delle terapie mirate, permettono di controllare la malattia. In particolare, acalabrutinib ha evidenziato un beneficio significativo in termini di efficacia e tollerabilità a lungo termine”.

    A fare la differenza è, in molti casi, la possibilità di accedere a test per la ricerca di mutazioni genetiche: sapere se sono o meno presenti, infatti, è fondamentale nella scelta delle terapie migliori per alcuni tipi di tumore. Per quanto riguarda, ad esempio, i tumori della mammella ereditari in stadio precoce, in donne con mutazione dei geni Brca1 e 2, la terapia mirata olaparib colpisce le mutazioni di questi geni per ridurre il rischio di recidiva. Ma olaparib “ha aperto l’era della medicina di precisione anche nel tumore della prostata – spiega Romano Danesi, direttore del Dipartimento di Medicina di Laboratorio Aou Pisana -. La molecola ha più che triplicato la sopravvivenza libera da progressione di malattia, garantendo buona qualità di vita per pazienti con carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione con mutazioni Brca1/2”. Le mutazioni genetiche sono in grado di guidare la scelta della terapia anche nel carcinoma del polmone, che in Italia ha causato 34mila decessi nel solo 2021. “Nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio precoce – conclude Danesi – il trattamento post chirurgico con osimertinib, terapia mirata anti EGFR, ha intento curativo. Parlare di guarigione in questa malattia è un grande risultato, impensabile pochi anni fa”.

    “I test per le mutazioni genetiche dovrebbero, pertanto, – afferma Saverio Cinieri, presidente Associazione Italiana Oncologia Medica (Aiom) – essere effettuati al momento della diagnosi per indirizzare al meglio ‘terapie su misura’ e andrebbero garantiti a tutti i pazienti che ne possono avere beneficio, a prescindere dalla regione di provenienza. Speriamo arrivino presto i decreti attuativi della legge che lo prevede, affinché possano presto essere inseriti nei Livelli essenziali di assistenza”.

  • Il covid ci ha resi più fragili: oltre 100mila richieste di aiuto in un anno a Telefono Amico

    A due anni dall’inizio della pandemia, la situazione psicologica ed emotiva degli italiani è ancora critica. Lo dimostrano i dati dell’organizzazione di volontariato Telefono Amico Italia, che nel 2021 ha superato la soglia delle 100mila richieste d’aiuto ricevute. L’aumento rispetto alla situazione pre-pandemia è drammatico – le richieste d’aiuto sono cresciute dell’85% – e la situazione è in progressivo peggioramento. Rispetto al 2020 e alla fase più acuta della pandemia, infatti, le persone che si rivolgono a Telefono Amico Italia continuano ad aumentare: nel 2021 le richieste d’aiuto sono cresciute del 13% rispetto all’anno precedente.

    «L’impatto della pandemia sulla sfera psicologica delle persone è stato notevolissimo ed è proprio adesso che si iniziano a vedere con chiarezza i danni della situazione vissuta in questi due anni», spiega Maurizio Pompili, Professore Ordinario di Psichiatria presso Sapienza Università di Roma e Direttore della UOC di Psichiatria presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma. «Se da un lato la società sta ripartendo e si comincia a intravedere il ritorno alla normalità, dall’altro iniziano a essere evidenti le ferite lasciate dalla pandemia sulle persone più colpite emotivamente». «Ciò che più ha messo in difficoltà – sottolinea lo psichiatra – sono state l’insicurezza per il futuro, la sensazione di disperazione e, per i più giovani, la maturazione affettiva mancata per l’assenza del confronto con i pari. Tutti coloro che hanno avuto una resilienza tale da riprendere le attività si rialzeranno, ma coloro che sono stati più danneggiati e che non hanno avuto la possibilità di avere un compenso dal punto di vista psicopatologico resteranno indietro. Negli anni che verranno dovremo stare ancora più attenti, monitorare la situazione e assistere soprattutto le persone più fragili».

    Telefono Amico Italia è da oltre 50 anni al fianco delle persone che hanno bisogno di sostegno, supportandole attraverso tre modalità di ascolto anonimo: il servizio telefonico, che risponde al numero unico nazionale 02 2327 2327, attivo 365 giorni all’anno dalle 10 alle 24; Mail@mica, alla quale è possibile accedere attraverso la compilazione di un form anonimo sul sito www.telefonoamico.it; WhatsApp Amico, raggiungibile via chat al 324 011 72 52 tutti i giorni dalle 18 alle 21.

    Proprio quest’ultimo è il servizio che ha riscontrato l’aumento più considerevole di utenti rispetto al 2020: le richieste d’aiuto ricevute dai volontari sono aumentate del 56%, passando dalle oltre 6mila a quasi 10mila. WhatsApp Amico è il servizio di ascolto più utilizzato dai giovani: il 27,8% degli utenti ha tra i 19 e 25 anni, il 22,8% tra i 26 e i 35 e il 19,2% ha tra i 15 e i 18 anni. Gli utenti sono, inoltre, per il 66% donne.

    Il servizio telefonico è, invece, quello che ha riscontrato un maggior incremento di nuovi utenti – persone che in passato non avevano mai chiesto aiuto a Telefono Amico Italia – rispetto al primo anno di pandemia: nel 2021 sono stati oltre 46.500, il 35% in più rispetto allo scorso anno, e sono cresciuti addirittura del 160% rispetto al pre-pandemia. Gli utenti che si rivolgono al numero unico nazionale di Telefono Amico Italia, al contrario di WhatsApp Amico, sono prevalentemente uomini (55%) e l’età media degli utenti è più alta rispetto a chi utilizza la chat. Il 24,91% di chi chiama ha tra i 46 e i 55 anni, a seguire le fasce di età più rappresentate sono quella tra i 56 e i 65 anni (21,8%) e tra i 36 e i 45 (21,53%).

    Le difficoltà di chi si mette in contatto con Telefono Amico Italia sono, invece, analoghe tra i diversi servizi di ascolto dell’organizzazione. Il 58%, sia di chi chiama sia di chi scrive su WhatsApp o Mail@mica, segnala problematiche legate all’area del sé, come bisogno di compagnia, tematiche esistenziali, solitudine; un’altra parte di utenza (il 23% di chi telefona, il 32% di chi utilizza WhatsApp e il 21% di chi scrive utilizzando la mail) si trova ad affrontare difficoltà relazionali con famigliari, amici, partner; altri utenti ancora (il 7% per telefono e WhatsApp e l’11% per il servizio di ascolto via email) si trovano a vivere una situazione di emarginazione.

    Desta allarme anche l’aumento delle telefonate ricevute da Telefono Amico Italia con segnalazioni di malattia psichica, che sono cresciute del 29% rispetto allo scorso anno. «L’impatto della pandemia su coloro che erano già alle prese con problematiche psicopatologiche è un tema che ha preoccupato fin dall’inizio – prosegue il Professor Pompili – Le conseguenze sono state importanti soprattutto per le “situazioni sotto soglia”, che non avevano ancora una condizione conclamata; nei casi in cui c’era già una presa in carico è stato possibile continuare a seguire i pazienti. Per coloro che, invece, avevano vulnerabilità più nascoste l’effetto della pandemia ha facilitato l’insorgenza di condizioni più serie».

    «Con la pandemia ci siamo resi tutti conto dell’importanza del benessere psicologico – commenta Monica Petra, presidente di Telefono Amico Italia – di quanto condizioni la nostra qualità di vita e quanto sia pericoloso perderlo. È dal 1967 che Telefono Amico Italia si impegna per stare accanto alle persone più fragili e a tutti coloro che si trovano a vivere un momento particolarmente duro. Proprio come quello che ha colpito tutti da marzo 2020. In questo lungo periodo di emergenza ci siamo impegnati molto per rispondere ai bisogni delle tante persone che ci contattavano, abbiamo messo a servizio di tutti, come sempre, la nostra esperienza e competenza. Adesso è necessario che anche le Istituzioni si impegnino su questo fronte: iniziamo a vedere alcuni tentativi coraggiosi che vanno in questa direzione e sicuramente possiamo considerarli un buon punto di partenza, occorre ora costruire una rete organica di interventi che possano garantire a tutti un sostegno psicologico di base».

  • HIV: First woman in world believed to be cured of virus

    A US patient is believed to be the third person in the world, and first woman, to be cured of HIV.

    The patient was being treated for leukaemia when she received a stem cell transplant from someone with natural resistance to the Aids-causing virus.

    The woman has now been free of the virus for 14 months.

    But experts say the transplant method used, involving umbilical cord blood, is too risky to be suitable for most people with HIV.

    The patient’s case was presented at a medical conference in Denver on Tuesday and is the first time that this method is known to have been used as a functional cure for HIV.

    The patient received a transplant of umbilical cord blood as part of her cancer treatment and has since not needed to take the antiretroviral therapy required to treat HIV.

    The case was part of a larger US study of people living with HIV who had received the same type of blood transplant to treat cancer and serious diseases.

    The transplanted cells that were selected have a specific genetic mutation which means they can’t be infected by the HIV virus.

    Scientists believe the immune system of recipients can develop resistance to HIV as a result.

    The woman’s treatment involved umbilical cord blood, unlike the two previous known cases where patients had received adult stem cells as part of bone marrow transplants.

    Umbilical cord blood is more widely available than the adult stem cells previously used and it does not require as close a match between donor and recipient.

    Sharon Lewin, president-elect of the International Aids Society, cautioned that the transplant method used in this case wouldn’t be a viable cure for most people living with HIV.

    But she added that the case “confirms that a cure for HIV is possible and further strengthens using gene therapy as a viable strategy for an HIV cure.”

    The findings around this most recent case study are yet to be published in a peer-reviewed journal, so wider scientific understanding is still limited.

  • Buonsenso a Natale e sempre

    Il Natale dovrebbe indurci ad una rapida riflessione e considerazione: piaccia o non piaccia il covid, come altre drammatiche malattie, esiste, di covid ci sia ammala, spesso in forma grave, e la guarigione è accompagnata da lunghi periodi nei quali le conseguenze dell’infezione continuano a farsi sentire in modo pesante, come testimoniano purtroppo tante persone. Di covid si muore e si muore male. Il covid colpisce specialmente chi non è vaccinato, chi fa l’indifferente e non usa la mascherina, chi è distratto e non si lava le mani, chi è presuntuoso e si infila negli assembramenti senza cautela e protezione. Tutti coloro che si infettano infettano a loro volta altre persone in una catena infinita. Perciò a Natale facciamoci un regalo di buon senso: vacciniamoci, indossiamo la mascherina, quella regolare anti covid e non quelle fantasia intonate all’abito o già usate da giorni e perciò inutili, torniamo a disinfettarci le mani, stiamo lontani dai posti affollati e manteniamo le distanze perchè se non lo facciamo è veramente poi inutile e ridicolo prendersela col governo che dovrà porre limitazioni e indicare paletti. Diciamo la verità abbiamo tutti abbassato la guardia e il virus ne ha tratto vantaggio, se vogliamo veramente aspirare ad un domani migliore cominciamo oggi ad avere maggiore buon senso.

    Auguri a tutti!

  • Il Covid ha portato al più grande calo dell’aspettativa di vita dal ’45

    Non solo in Italia, anche nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, l’effetto Covid è stato dirompente come una guerra e ha tagliato l’aspettativa di vita delle persone. La pandemia, infatti, certifica l’Università di Oxford, ha ridotto la speranza di vita alla nascita in una misura che non si vedeva dalla seconda guerra mondiale in Europa occidentale e “in modo tale da spazzare via anni di progressi sulla mortalità”.

    I ricercatori del Centro di Leverhulme per la scienza demografica hanno assemblato un set di dati relativo a 29 paesi per i quali erano state pubblicate i dati ufficiali dei decessi per il 2020 e che abbracciano la maggior parte dell’Europa, oltre a Stati Uniti e Cile. I dati, pubblicati sulla rivista scientifica International Journal of Epidemiology, hanno dimostrato che 27 dei 29 Paesi hanno visto riduzioni dell’aspettativa di vita nell’annus horribils della pandemia. Nel 2020 le donne in 15 Paesi e gli uomini in 10 paesi, avevano un’aspettativa di vita alla nascita inferiore anche rispetto al 2015, anno che era già stato penalizzato da una stagione influenzale molto severa. “Per i Paesi come Spagna, Inghilterra e Galles, Italia, Belgio, l’ultima volta che sono stati osservati cali così grandi dell’aspettativa di vita alla nascita in un solo anno è stato durante la seconda guerra mondiale”, ha detto il co-autore dello studio, José Manuel Aburto. La diminuzione maggiore è stata osservata tra gli uomini negli Stati Uniti, con 2,2 anni rispetto ai livelli del 2019, seguiti dagli uomini in Lituania (1,7 anni). A confermare, per l’Italia, una riduzione di 1,2 anni di vita nel 2020 a causa della pandemia, è stata pochi giorni fa anche l’Istat: fino al 2019 questo indicatore era stato sempre in crescita e ora si attesta a 82 anni.

    I dati ufficiali parlano di circa 4,7 milioni di persone nel mondo fino ad oggi decedute per Covid ma, sottolinea il coautore principale dello studio Ridhi Kashyap, “ci sono diversi problemi legati al conteggio dei decessi e il fatto che i nostri risultati evidenzino un impatto così grande attribuibile alla pandemia, mostra come questa sia stata uno shock devastante per molti Paesi”. I ricercatori chiedono quindi “con urgenza” la pubblicazione “di più dati disaggregati, anche da Paesi a basso e medio reddito, per comprendere meglio gli impatti della pandemia a livello globale”.

    Intanto, l’obiettivo è far restare bassi i contagi nonostante la ripresa delle attività e delle scuole. Per farlo, gli studi continuano a confermare la necessità di far indossare la mascherina a scuola anche ai più piccoli. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) statunitensi hanno esaminato i dati delle contee degli Stati Uniti, scoprendo che, in media, i casi pediatrici sono aumentati dopo la riapertura delle scuole. Ma le contee senza requisiti di mascherina hanno visto gli aumenti maggiori: circa 18 casi ogni 100.000 in più. Inoltre, nelle contee in cui non c’è obbligo, le scuole avevano circa tre volte più probabilità di avere un focolaio rispetto alle altre.

Pulsante per tornare all'inizio