Melgatti

  • Quale futuro…

    Più di una volta mi viene chiesto quale potrebbe essere il futuro migliore e soprattutto  attraverso quali strategie economiche e politiche si potrebbero assicurare degli scenari economici futuri positivi. Certamente non con i programmi elettorali che dei mediocri politici stanno presentando in questa vergognosa campagna che rappresenta l’immagine di un declino culturale al quale sembra non esserci fine né limite.

    Tutte le ricette e riforme proposte dai vari leader politici non tengono infatti in alcun conto le eventuali reazioni del mercato finanziario nel quale noi giochiamo il ruolo sempre più imbarazzante di debitori, ormai sempre più insolventi. In questo senso infatti va ricordato che ai 313 miliardi di nuovo debito aggiuntivo rispetto all’inizio della crisi finanziaria italiana del novembre 2011 i governi che si sono succeduti alla guida del paese hanno avuto anche l’ardire di utilizzare fondi per 55 miliardi assolutamente fuori bilancio, come certificato dalla Corte dei Conti. Può sembrare

    Paradossale, tuttavia qualsiasi sia la scelta del governo futuro risulterà fondamentale assicurare i mercati finanziari i quali in questo modo potranno continuare a finanziare il nostro debito.

    Uno scenario politico mediatico talmente imbarazzante e disarmante che coinvolge anche personalità definite “tecniche”, le quali, diventati personaggi di talk show, propongono il loro ennesimo libro che dovrebbe rappresentare il compendio assoluto delle ricette per comprendere il passato ma mai le soluzioni per affrontare il futuro. Ovviamente poi in questo contesto dominato dalla questione dell’immigrazione legata artificiosamente al calo della natalità nessuno di questi esponenti politici si preoccupa di prendere in considerazione il vero problema italiano degli ultimi  anni rappresentato dall’esodo di 115.000 laureati e diplomati in cerca di un contratto come una retribuzione rispondente alle proprie qualifiche. Questi ormai sono stati dimenticati e considerati assolutamente sacrificabili.

    Oggi tuttavia, a differenza di quanto sia successo negli ultimi anni, abbiamo due esempi che ci indicano quale potrebbe essere la via più corretta per assicurare due tipologie di scenari diversi tra loro ma entrambi possibili e sicuramente più realistici di quanti proposti da personaggi politici da avanspettacolo.

    In modo assolutamente legittimo il CDA di Italo ha deciso di vendere il 100% delle proprie azioni ad un fondo americano invece di decidere per un passaggio ed una quotazione alla Borsa di Milano.

    Questa  scelta assolutamente legittime determina come un altro asset infrastrutturale importante venga ceduto a soggetti esteri i quali giustamente hanno tutto l’interesse a ricavarne un Roe  immediato e rendere vantaggioso per i propri associati l’investimento stesso, in particolare nell’ottica della liberalizzazione completa tra due anni, come stabilito dall’Unione Europea.

    L’ingresso di Italo ha avuto certamente il merito di aprire una nuova fase del trasporto ferroviario costringendo Trenitalia a migliorare i servizi ad un prezzo più concorrenziale. Tuttavia va ricordato che tanto Italo quanto Trenitalia abbiano goduto di investimenti pubblici per l’alta velocità di oltre 32 miliardi. Il che, tra l’altro, aprirebbe una nuova questione relativa alla produttività di tale spesa pubblica. Il rapporto infatti che emerge nel settore dell’alta velocità e che vede 32 miliardi di spesa pubblica ottenere 2 miliardi di investimenti privati, quindi con un rapporto 16 a 1, risulta assolutamente insostenibile.

    Tuttavia in qualsiasi posizione si ponga il compratore estero è evidente che nelle strategie di sviluppo economico del nostro paese, che passano inevitabilmente anche per la gestione infrastrutturale, si sia perso un altro fattore strategico, dimostrando ancora una volta di non aver compreso come nelle politiche economiche di sviluppo di un paese gli asset infrastrutturali abbiano  la funzione di collante e  di tessuto connettivo al fine di diventare veri e propri fattori competitivi per il sistema economico nazionale in un mercato assolutamente concorrenziale e competitivo.

    Questa legittima decisione prova e dimostra come buona parte della classe dirigente non abbia alcuna visione e soprattutto competenza per comprendere il valore strategico di determinate scelte di mercato e soprattutto delle loro ricadute all’interno di un  sistema economico complesso come quello italiano.

    Viceversa, e per fortuna, la seconda vicenda presenta un esito decisamente diverso quanto positivo e  soprattutto apre un altro scenario futuro anche se con  un peso specifico economico inferiore.

    Questa seconda vicenda vede come protagonista Fabrizio Zanetti, imprenditore trevigiano, il quale con il proprio colosso della  Hausbrandt ha deciso di finanziare la campagna pasquale dell’azienda veronese Melegatti (in crisi per una gestione scellerata da parte dell’azionariato di  maggioranza) con l’obiettivo di acquisirla in un secondo momento. Un imprenditore privato quindi ancora una volta dimostra come dietro a molte aziende di successo, che tuttavia non ottengono il favore televisivo, si possano trovare una proprietà, un management, quadri, impiegati ed operai che concorrono al successo nazionale ed internazionale delle stesse imprese.

    Tornando alla domanda iniziale che ogni tanto mi viene posta, cioè quale potrebbe o dovrebbe risultare  lo scenario futuro migliore per la nostra economia italiana che possa assicurare un livello di reddito sufficiente, la mia risposta risulta legata essenzialmente all’attività di imprenditori come Zanetti. Altrettanto importante  sarà il supporto della politica che questi imprenditori riusciranno ad ottenere unito ovviamente ad un’attenzione del sistema bancario che invece sta abbandonando ancora una volta le piccole-medie aziende. Queste ultime si presentano come il modello futuro e sintesi felice di persone e professionalità che operano quotidianamente per il raggiungimento degli obiettivi di bilancio e che assicurano lavoro di buona qualità e retribuzioni adeguate.

    Tale tipologia di aziende e di imprenditori non ottengono alcun riscontro presso i grandi media  perché il loro obiettivo non risulta quello di apparire o di diventare icone ma quello di rendere la propria attività sempre più competitiva.

    Tornando quindi alla questione iniziale si potrebbe concludere che il futuro del complesso sistema economico nazionale, che rappresenta la base per qualsiasi benessere politico e sociale, dipenderà molto dal supporto che la politica assieme al sistema bancario sapranno offrire a queste nuove tipologie di aziende le quali riescono attraverso la propria specificità a diventare poli aggreganti di nuove realtà industriali. Rielaborando e attualizzando  in questo modo il concetto di

    “distretti industriali “, la cui nuova definizione ed operatività può sicuramente determinare ottimi risultati economici ed occupazionali anche se composta da realtà industriali logisticamente non limitrofe.

Pulsante per tornare all'inizio