monopolio

  • La Commissione chiede pareri sugli impegni proposti da Apple

    La Commissione europea invita a presentare osservazioni sugli impegni proposti da Apple per rispondere alle riserve in materia di concorrenza relative alle restrizioni di accesso a una tecnologia standard utilizzata per i pagamenti senza contatto con dispositivi mobili nei negozi (Near-Field Communication — “NFC”).

    La Commissione ha concluso in via preliminare che Apple gode di un potere notevole sul mercato dei dispositivi mobili intelligenti e di una posizione dominante sui mercati dei portafogli mobili. Apple Pay è l’unica soluzione di portafoglio mobile che può accedere su iOS all’hardware e al software necessari (“input NFC”) per consentire pagamenti mobili nei negozi fisici, e Apple non lo mette a disposizione degli sviluppatori di applicazioni di portafogli mobili di terzi.

    Il 2 maggio 2022 la Commissione ha informato Apple del suo parere preliminare secondo cui tale comportamento preclusivo potrebbe limitare la concorrenza sul mercato dei portafogli mobili su dispositivi iOS, in violazione dell’articolo 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”).

    Per rispondere alle riserve della Commissione in materia di concorrenza, Apple ha proposto una serie di impegni, che rimarrebbero in vigore per dieci anni.

    La Commissione invita tutte le parti interessate a presentare il loro parere sugli impegni proposti da Apple entro un mese dalla pubblicazione di una sintesi di tali impegni nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

  • Amazon: US accuses online giant of illegal monopoly

    US regulators have sued Amazon, alleging that the internet giant is illegally maintaining monopoly power.

    The Federal Trade Commission (FTC) said Amazon uses “a set of interlocking anticompetitive and unfair strategies” to push up prices and stifle competition.

    Amazon said the lawsuit was “wrong on the facts and law, and we look forward to making that case in court”.

    It is the latest technology giant to be sued by US regulators.

    The FTC’s boss, Lina Khan, has had Amazon in her crosshairs for years.

    In 2017, Ms Khan, then only 29, published a major academic article arguing the online retailer had escaped anti-competition scrutiny.

    “With its missionary zeal for consumers, Amazon has marched toward monopoly,” she said at the time.

    Since her surprise appointment as FTC Chair in 2021, this case has been widely expected – and viewed as a crucial test of her leadership.

    The dominance of a handful of powerful tech firms has led some US politicians to call for action that would promote more competition in online search, retail and social media.

    However, the FTC under Ms Khan has had little to show for its strong rhetoric against Big Tech.

    In February it lost its attempt to stop Meta from buying VR company Within.

    And in July it lost an attempt to block Microsoft from completing its deal to buy the maker of Call of Duty.

    There is pressure on Ms Khan to make at least one high profile complaint stick – and at the FTC they have high hopes for this case.

    The agency, along with 17 state attorneys, claims that Amazon is a “monopolist” that stops rivals and sellers from lowering prices.

    The regulator also alleged the internet giant’s actions “degrade quality for shoppers, overcharge sellers, stifle innovation, and prevent rivals from fairly competing against Amazon”.

    However, Amazon says that if the “misguided” FTC lawsuit is successful, it would mean fewer products to choose from, higher prices, and slower deliveries for consumers.

    The key part of the case involves consumers losing money – getting worse deals – because of the alleged monopoly.

    US anti-competition legislation is complicated, but generally, prosecutors have to show companies have acted in a way that hurts consumers financially.

    That isn’t always an easy thing to prove when it comes to Big Tech, as many of their services are free – like Google’s search engine or Meta’s Instagram.

    Earlier this month, a court battle began between Google and the US government, which has accused it of having an advertising technology monopoly.

  • Tutte le operazioni soggette ad accisa nell’UE diventano interamente elettroniche

    A seguito di un aggiornamento della direttiva relativa al regime generale delle accise, a partire dal 13 febbraio gli Stati membri inizieranno ad applicare nuove norme in materia di accise. Le norme renderanno completamente dematerializzata la tassazione dell’alcol, del tabacco e dei prodotti energetici in tutta l’UE. Il passaggio allo scambio digitale e immediato di informazioni sulla circolazione di tali prodotti nell’Unione aiuterà le autorità a combattere le frodi in materia di accise, un problema che ogni anno costa agli Stati membri milioni in contributi di bilancio.

    Al tempo stesso, il nuovo sistema elettronico standardizzato semplificherà la vita dei commercianti, in particolare dei fornitori di energia e dei piccoli produttori di alcol, e contribuirà ad accelerare gli scambi nei settori interessati. In precedenza le procedure digitali in materia di accise erano disponibili solo per chi operava nell’ambito della cosiddetta procedura di sospensione dall’accisa. Fino ad ora, le merci dovevano essere accompagnate da dichiarazioni fisiche cartacee al momento della contabilizzazione immediata delle accise a destinazione.

    In base alle nuove misure, che entrano in vigore lunedì, tutti gli operatori che trasportano prodotti sottoposti ad accisa da uno Stato membro dell’UE a un altro dovranno presentare solamente informazioni digitali sulle transazioni nel sistema d’informatizzazione del controllo dei movimenti dei prodotti soggetti ad accisa (EMCS). Il sistema consentirà la raccolta e il trattamento online delle informazioni sui movimenti, la convalida dei dati inseriti e la notifica in tempo reale della spedizione e del ricevimento dei prodotti soggetti ad accisa. Consentirà inoltre lo scambio immediato di messaggi online sicuri contenenti informazioni specifiche sulle spedizioni e sui movimenti tra Stati membri, sgravando così le imprese dei costi amministrativi, liberando tempo e risorse, e fornendo alle autorità le informazioni necessarie per combattere più efficacemente le frodi.

    Insieme a una serie di altre misure relative alle accise, la direttiva sosterrà un mercato unico più coeso digitalizzando le dichiarazioni, riducendo gli oneri amministrativi a carico degli operatori del settore e prevenendo ulteriormente la frode fiscale.

  • I monopoli ed i “liberali all’italiana”

    E’ ormai conclamato che il nostro Paese è l’unico, negli ultimi trent’anni, in tutta Europa, a registrare una crescita negativa (-3,4%) della ricchezza disponibile per i cittadini italiani a fronte, nel medesimo periodo, di una crescita in Germania del +34,7%. Questo diverso andamento del “benessere economico” è stato determinato sostanzialmente da due visioni di crescita economica sostanzialmente fallimentari.

    Nella prima la ragione del declino economico del nostro Paese viene perfettamente rappresentata dal fallimento della politica governativa di qualsiasi ispirazione ideologica e sempre basata sui “benefici effetti” della costante crescita della spesa pubblica e, di conseguenza, del debito.

    Nel secondo caso, invece, vengono  messi  a nudo  gli infantili postulati che hanno caratterizzato il pensiero liberale degli ultimi trent’anni in relazione ad una transizione monopolistica e la conseguente gestione.

    Andrebbe, infatti, ricordato come un monopolio statale manifesti le proprie negatività anche con una degenerazione dei servizi e contemporaneamente con la ricerca di priorità gestionale che si manifestano attraverso il conseguimento di obiettivi personali o di  lobby, ovviamente a scapito dell’utenza.

    L’esempio più classico della inefficienza dei monopoli statali viene rappresentato dall’elefantiaco complesso della pubblica amministrazione. Anche se con il lodevole obiettivo di risolvere questo pantano normativo il variegato, e spesso assolutamente autoreferenziale, mondo liberale ha sempre indicato nella privatizzazione di ogni  monopolio la soluzione ad ogni problema. Esattamente come nel caso di una gestione  pubblica, anche nella gestione privatistica di un monopolio chiunque avrebbe intuito come gli obiettivi primari sarebbero stati facilmente individuabili nel  massimo ritorno dell’investimento (Roe) e comunque sempre a scapito del contribuente o nello specifico dell’utenza.

    La vicenda autostrade in cui, per puro spirito speculativo finalizzato al vile conseguimento del massimo rendimento degli investimenti, sono state ridotte del 98% le spese di manutenzione, con la compiaciuta complicità anche dello Stato, che ha portato alla morte di quarantatré (43) persone, ne rappresenta l’esempio più eclatante.

    In piena crisi energetica il gestore nazionale dell’acquisto e della distribuzione del Gas, con due fondi privati come soci, rappresenta, ancora una volta, l’ennesima infantile evoluzione di un pensiero liberal scolastico che  non si attaglia alla realtà economica complessa.

    Qualsiasi monopolio, in quanto tale, deve essere sottratto all’interesse privato, presente sia nella gestione pubblica che privata poiché viene meno a un principio liberale fondamentale che rimane quello della concorrenza.

    In altre parole, molti ancora oggi  credono che le privatizzazioni, ancora oggi, siano  in antitesi con un’economia statalista/socialista.

    Viceversa, nella gestione di qualsiasi monopolio non ha alcuna importanza se il principale azionista sia pubblico o privato perché alla fine gli extracosti (necessari a conseguire gli obiettivi politici o economici) andranno sempre a pesare sull’utenza finale.

    Un pensiero talmente semplice che dimostra quanto il variegato mondo liberale  sia in ritardo culturale perlomeno di una  trentina d’anni necessari per comprendere come anche queste politiche di trasferimento dei monopoli dello Stato ai privati abbiano creato una diminuzione della ricchezza disponibile in parte causata da un aumento dei costi dei servizi.

  • Big Tech has a monopoly on power, says US House report

    Amazon, Apple, Google and Facebook have abused their dominance in the marketplace, according to a US Democratic-led House panel, which said Congress should consider forcing the tech giants to separate their dominant online platforms from other business lines.

    Tuesday’s report is based on a 16-month investigation by the Democratic staff of the House Antitrust Subcommittee. It said that there is “significant evidence” to show that the companies’ anticompetitive conduct has hindered innovation, reduced consumer choice and weakened democracy.

    “These firms have too much power, and that power must be reined in and subject to appropriate oversight and enforcement. Our economy and democracy are at stake”, the report said, adding that tech companies have used the data they accumulate in one area of business to gain tremendous advantages when they expand into related businesses.

    Google rejected the report: “We disagree with today’s reports, which feature outdated and inaccurate allegations from commercial rivals about Search and other services”, it said in a statement.

    Facebook responded that it competes vigorously with “a wide variety of services” with many users.

    Apple also said it disagreed “vehemently” with the report, and that it does not hold a dominant marketshare with any of its business segments.

    “Large companies are not dominant by definition, and the presumption that success can only be the result of anti-competitive behavior is simply wrong. And yet, despite overwhelming evidence to the contrary, those fallacies are at the core of regulatory spit-balling on antitrust”, Amazon said.

    The report now heads to a subcommittee markup, where a vote to adopt the final report is expected to take place before any legislative proposals are introduced.

  • Profumo di monopolio

    Ed alla fine, com’era inevitabile, Amazon comincia ad aumentare le quote dell’abbonamento Prime del 80% avendo raggiunto, attraverso l’aggressività delle proprie politiche commerciali, una posizione di assoluto predominio. Quello che era stato indicato come la forma più moderna e democratica, quindi più interessante, della distribuzione da parte di tutti gli economisti e docenti europei sta diventando un semplice e tutto sommato già conosciuta posizione di monopolista la quale, avendo sbaragliato la concorrenza fisica dei negozi e dei centri commerciali, ora può  avviare le proprie strategie di sviluppo in regime di semi monopolio.

    A nulla è valsa l’esperienza che avrebbe dovuto insegnare il passaggio dal “dettaglio indipendente”, cresciuto nel dopoguerra fino alla metà degli anni ’80 con il proprio posizionamento all’interno delle nostre città, successivamente messo in crisi dai centri commerciali come dagli stessi  negozi monomarca di quelle aziende che la stessa distribuzione indipendente aveva contribuito a far crescere.

    Allora come adesso nella logica della distribuzione, come di quella economica ed in senso generale quindi anche industriale, non può risultare vincente un unico top player distributivo il quale possa avvalersi di una propria maggiore capacità economica ma soprattutto sostenibilità finanziaria (e quindi disponibile anche a reggere diversi esercizi in perdita).

    In questo senso la normativa europea, tanto  particolareggiata nella definizione dei calibri di zucchine e vongole, ha evitato di cimentarsi nella dottrina e soprattutto nella normativa di questo nuovo canale distributivo dimostrando ancora una volta il  proprio ritardo culturale e cognitivo.

    In questo senso infatti risulta assolutamente migliore un sistema nel quale vengano tutelate tutte le più diverse manifestazione di strutture imprenditoriali nel settore industriale come anche nel settore della distribuzione. Il favore con il quale il mondo politico ed accademico hanno invece salutato il notevole spazio che l’e-commerce ha saputo avere, per le proprie capacità, nel mercato della distribuzione dimostra ancora una volta sostanzialmente la mancanza di qualsiasi tipo di strategia non solo economica ma anche distributiva nella visione del medio lungo termine da parte di tutta l’Unione Europea. Il medesimo entusiasmo dimostrato per  l’arrivo sul mercato di Uber o l’avvento per le piattaforme professionali espressione della Gig Economy, considerate e valutate positivamente solo in quanto espressione di una innovazione tecnologica senza considerare i costi sociali, politici ed economici che queste inevitabilmente comportano.

    Il fallimento della catena Trony come la chiusura di oltre 257 negozi della Foot Locker dimostrano come per contrastare qualsiasi tipo di monopolio (esistente o in via di definizione non comporta alcuna differenza), proprio al fine di tutelare il consumatore finale, la classi politiche dirigenti ed economiche italiane ed europee avrebbero dovuto avviare delle politiche che garantissero la distribuzione ordinaria in considerazione del continuo aumento della pressione fiscale la quale  inevitabilmente si trasforma in un indiretto vantaggio competitivo di questi top player legati all’e-commerce.

    In questo contesto la politica come il mondo accademico e quello ancora più variegato degli economisti non dovrebbero dimostrare di scegliere uno dei tanti contendenti in campo economico  ma viceversa assicurarsi che tutti abbiano il medesimo trattamento, in particolar modo in relazione al sistema fiscale. Di contro tanto in Italia quanto in Europa si è dato ridicolo spazio al tentativo di mistificare una semplice accisa del 3% sul fatturato dei giganti di internet come se risultasse una tassazione sull’attività di impresa. L’ennesima riprova della disonestà intellettuale attraverso la quale  poter ottenere un vantaggio finanziario per la cui nascita la Ue si manifesta disponibile a mentire sul carattere dell’origine normativa invece di definirla una legittima scelta politica.

    Tuttavia tornando al valore della conoscenza ma soprattutto della comprensione della lezione che la storia sa offrire rimane incredibile come lo stesso scenario legato ai cambiamenti distributivi degli anni ottanta, attraverso la perdita di centralità di  un dettaglio indipendente posto in difficoltà prima dai centri commerciali e contemporaneamente dai negozi monomarca, non fornisca alcun dettaglio per interpretare gli scenari a medio lungo termine. In questo senso vanno ricordate tutte le analisi assolutamente postume che avevano individuato nella scelta scellerata italiana di non intervenire attraverso un’azione imprenditoriale nel settore della distribuzione organizzata. Uno dei motivi per il quale il nostro commercio si è sempre più trovato in forte difficoltà e con lui tutte le PMI italiane. Basti  ricordare in questo senso la vendita alla Rinascente da parte del gruppo Fiat.

    La recente acquisizione invece da parte del gruppo svizzero Richmond, leader mondiale nell’alta orologeria svizzera, della piattaforma italiana Yoox dimostra invece come anche un gruppo industriale possa investire in una piattaforma digitale per completare il controllo del ciclo di vita del prodotto dalla sua ideazione fino alla commercializzazione.

    Un investimento questo nello specifico che manifesta la volontà del controllo assoluto dell’intera filiera del prodotto, dalla sua ideazione fino alla commercializzazione compresa.

    Una scelta strategica che conferma ancora una volta quanto risulti vincente il modello aziendale “in-sourching “applicato da molte aziende svizzere le quali inseriscono all’interno del perimetro aziendale tutte le aziende fornitrici di servizi e nello specifico anche le piattaforme web. Quando invece in Italia ancora adesso sia preponderante la filosofia e la struttura aziendale Out-sourcing. Un successo confermato dai record ottenuti nelle esportazioni nel biennio 2016/2017 del sistema inerziale svizzero nonostante l’apprezzamento del Franco Svizzero divenuto valuta di rifugio e che toglie anche ogni valore agli effetti delle politiche monetarie tanto care ai nostalgici della lira. Ora che negli Stati Uniti i titoli della distribuzione organizzata vengono definiti junk e col passare degli anni anche i centri commerciali cominceranno a dimostrare i propri limiti dimostrando così ancora una volta l’assoluta mancanza di una strategia distributiva che vede coinvolti anche i massimi vertici dell’imprenditoria italiana.

    L’effetto di tale mancanza come di qualsiasi tipo di iniziativa si manifesta ora attraverso le prove che fanno trapelare una posizione assolutamente dominante di Amazon. Questa fotografia che sta delineando il nuovo futuro nella distribuzione moderna potrebbe dovrebbe viceversa venire contrastata esattamente mediando, adottando ed imparando dall’evoluzione storica della distribuzione fisica.

    In altre parole le aziende italiane che producono un prodotto ad alto livello o alto di gamma della filiera italiana (in questo prendo spunto dalle top player del lusso mondiale) potrebbero e dovrebbero creare un proprio monomarca digitale e-commerce che permetta di proporre solo prodotti garantiti dalla gestione diretta della propria azienda. In altre parole dovrebbero investire dalla nascita in una piattaforma nella quale risulti evidente il controllo della filiera produttiva e commerciale, sintesi felice del made in Italy. Il tutto ovviamente all’interno di un quadro normativo che avesse la finalità di assicurare all’interno di una nuova forma di distribuzione della piattaforma commerciale la storica certificazione della filiera espressione del made in Italy.

    Se questo non fosse possibile da parte una piccola azienda dovrebbero essere le associazioni di categoria a proporre e a gestire per i propri associati queste  piattaforme che forniscano garanzia della filiera. Associazioni di categoria che invece si ostinano ad organizzare convegni uguali per temi trattati e personalità intervenute non avendo ancora compreso che le soluzioni vanno trovate nell’immediato per quanto riguarda il sostegno alle imprese all’interno di un mercato sempre più competitivo anche nel settore distributivo. Le nostre associazioni di categoria invece con questa politica “relativa alle tematiche” finalizzata alla conferma della propria centralità ottenibile più che attraverso servizi alle imprese si dimostrano incapaci di cogliere l’ennesima occasione per dimostrare le proprie potenzialità ed eventualmente una nuova  propria centralità rispetto alle problematiche economiche e nello specifico distributive.

    Il perseguire con questa politica delle associazioni di categoria imitando l’assoluto ritardo dell’Unione Europea viceversa avrà come unico effetto rendere l’attuale profumo di monopolio sussurrato di Amazon una realtà assolutamente del medio lungo termine trasformando il profumo in un odore insopportabile.

     

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