pressione fiscale

  • La Francia campione fiscale dell’UE per il quinto anno consecutivo

    Utilizzando i dati calcolati da EY, l’Institut économique Molinari ha pubblicato il suo undicesimo studio annuale sulla pressione sociale e fiscale sul salario medio nell’Unione europea. Stando ai dati della giornata della libertà sociale e fiscale, che anche quest’anno in Francia, come nel 2019, cade il 19 luglio, i dipendenti medi devono lavorare fino a quel giorno per finanziare la spesa pubblica. Dopo quella data, possono trarre beneficio dai frutti del loro lavoro quando lo riterranno opportuno.

    Il divario è di un giorno con l’Austria (18 luglio), due giorni con il Belgio (16 luglio) e 35 giorni con la media UE 27 (14 giugno).

    Le imposte sul lavoratore medio in Francia ammontano al 54,68% nel 2020, in calo dello 0,05% rispetto allo scorso anno a causa di una riduzione delle imposte sul reddito annunciata a seguito della crisi dei ‘gilet gialli”.

    Questo guadagno ammonta a 126 € per l’intero anno per il lavoratore medio non coniugato ed è 3,4 volte inferiore rispetto al cambiamento visto nel 2019, quando una riduzione degli oneri sociali è arrivata a € 403, dopo aver dedotto gli aumenti del contributo sociale generalizzato e delle imposte sul reddito.

    La classifica fornisce i dati per l’anno in corso sulla pressione sociale e fiscale affrontata dal lavoratore medio, applicando una metodologia uniforme in tutti i 27 paesi membri dell’UE, e garantisce una chiara comprensione del reale impatto di imposte e tasse e dei cambiamenti che il lavoratore sta subendo.

    Secondo posto per l’Austria, con la giornata della libertà sociale e fiscale il 18 luglio, un giorno prima rispetto all’anno scorso: la tassazione sul lavoratore medio è stata del 54,46% nel 2020, in calo rispetto allo scorso anno (-0,26%). Questa modifica deriva dal fatto che l’aliquota applicata alla prima fascia d’imposta sul reddito viene ridotta dal 25% al ​​20%. Prevista per la prima volta per il 2021, questa riduzione è stata attuata in anticipo, determinando un risparmio fiscale di 350 € nel 2020. Senza questa misura, l’Austria sarebbe stata leader nel settore fiscale del lavoratore medio nel 2020, con la caduta della giornata della libertà sociale e fiscale 20 luglio.
    Il Belgio è terzo sul podio, con la giornata della libertà sociale e fiscale il 16 luglio, un giorno dopo rispetto al 2019: con il suo “sgravio fiscale”, l’ex numero 1 in questa classifica (dal 2011 al 2015) è diventato il numero 2 (nel 2016 e 2017) e quindi il numero 3 nel 2018. Terzo anche nel 2020, con il 53,76% di pressione sociale e fiscale sul lavoratore medio, in aumento rispetto allo scorso anno (+0,13).

    La Germania è al sesto posto, con libertà sociale e fiscale il 4 luglio, un giorno prima rispetto al 2019: l’aumento del potere d’acquisto deriva da una temporanea riduzione dell’IVA nell’ambito delle misure economiche per far fronte agli effetti della pandemia di Covid-19. L’aliquota IVA standard del 19% è ridotta al 16% tra il 1 ° luglio e il 31 dicembre 2020. La riduzione dell’IVA rappresenta un guadagno di € 257 nel corso dell’anno, aggiungendo un potere d’acquisto di un giorno, con libertà sociale e fiscale il 4 luglio. Senza questa misura, il lavoratore tedesco medio avrebbe perso un potere d’acquisto di un giorno rispetto al 2019, con libertà fiscale e sociale il 6 luglio 2020. In sei paesi, oltre la metà dei redditi legati al lavoro è riscossa in tasse e oneri: Francia, Austria, Belgio, Grecia, Italia e Germania. I lavoratori medi non hanno alcun controllo diretto su oltre il 50% dei frutti del loro lavoro, con la loro influenza sul processo decisionale nella migliore delle ipotesi indiretta.

    In media, la giornata della libertà sociale e fiscale cade il 14 luglio nell’Unione europea, un giorno dopo rispetto al 2019. Per la prima volta in sei anni, l’aliquota fiscale effettiva sui lavoratori è in aumento: 45,09% nel 2020, rispetto al 44,85% dell’anno scorso, con un incremento dello 0,24%. In termini concreti, un lavoratore medio che genera € 100 di reddito prima delle spese e delle imposte pagherà € 45,09 in detrazioni obbligatorie nel 2020, lasciando € 54,91 a sua disposizione nel vero potere d’acquisto. Questo è dello 0,26 € in meno rispetto al 2018 e dello 0,80 € in meno rispetto al 2010.

    In un anno, 13 paesi dell’UE hanno registrato prelievi più elevati sul lavoratore medio, mentre il livello è stabile in un paese e 13 hanno registrato riduzioni.

  • Il relativismo fiscale

    Quando F.c.A. decise di delocalizzare la sede legale in Olanda ma soprattutto quella fiscale a Londra per usufruire delle minori aliquote sugli utili aziendali il governo Renzi affermò che questo rappresentava il modello di azienda  per il futuro economico di sviluppo italiano. A tal riguardo si ricorda la quasi contemporanea approvazione del Jobs Act con il quale  risultarono fiscalizzati  gli oneri sociali per tre anni facendo ricadere quindi sul sistema fiscale nazionale il peso degli oneri contributivi  precedentemente a carico delle aziende. Una scelta strategica opinabile ma assolutamente legittima della quale ha usufruito anche la stessa F.c.A.

    Va però ricordato che la casa automobilistica non contribuisce in nessun modo alla creazione del gettito fiscale avendo delocalizzato la propria sede fiscale a Londra. Per essere un modello di riferimento  francamente più che altro assomiglia più ad un modello di elusione fiscale. Questo tuttavia veniva presentato come modello di azienda italiana per lo sviluppo economico dall’allora presidente Renzi e dall’attuale ministro dell’economia Calenda.

    Successivamente, nello stesso anno, il governo Renzi si fece promotore dell’apertura di una fabbrica di ciclomotori Piaggio nel Vietnam durante una visita di stato nel paese asiatico. Come contropartita lo stesso governo non esitò  ad annullare i dazi sul riso vietnamita esponendo quindi tutto il mondo della risicoltura italiana ad una concorrenza assolutamente sleale. Per di più tale decisione non solo ha messo in crisi la risicoltura italiana ma contemporaneamente non ha avuto nessuna ricaduta occupazionale per quanto riguarda il gruppo Piaggio in Italia, dimostrando ancora una volta la miopia di chi decide e sceglie le strategie economiche di sviluppo facendo pagare alle eccellenze italiane scelte strategiche assolutamente sbagliate.

    Il principio della  concorrenza tanto osannato ancora oggi dai principi accademici italiani potrebbe essere anche sopportabile se fosse seguito da un’azione normativa finalizzata a tutelare il prodotto italiano, sia questo materiale o immateriale, delle imprese italiane. In questo modo poi rispondendo ad una esigenza del mercato mondiale che sempre più chiede prodotti che risultino espressione della “cultura contemporanea” (sintesi di creatività know-how professionale ed industriale) della nazione (Made In).

    In modo infantile si crede ancora invece che il solo aumento della produttività nel nostro paese possa  annullare la concorrenza dei paesi a basso costo di manodopera espressione di un  ritardo sociale, politico ed economico.

    L’altra espressione di questa terribile e al tempo stesso sciocca ideologia economica (perché non si tratta di dottrina economica ma di pura ideologia) risulta l’appoggio, a cominciare dagli anni 80, alle delocalizzazioni produttive considerate come delle scelte inevitabili. Fino all’esplodere della crisi economica e finanziaria del 2011 tutto il mondo economico non perdeva occasione per indicare come superata la visione che considerava l’industria, ed in particolare le Pmi, centrali nello sviluppo economico. Quando ormai già da anni risultava evidente che le delocalizzazioni produttive invece rispondevano solo ad una logica speculativa nel brevissimo termine, come dovette ammettere anche l’università di Harvard a circa cinque anni fa.

    Risulta ugualmente chiaro come la vicenda della chiusura dello stabilimento Whirpool  non possa solo venire attribuita alla miopia del governo Renzi, che con la Whirlpool  aveva nel 2015 raggiunto un accordo i cui contenuti risultano ancora sconosciuti, considerati gli effetti disastrosi con la chiusura dello stabilimento  Embraco.

    Come non ricordare presidenti del Consiglio, docenti universitari, ministri dell’economia irridere con le loro prese di posizioni, esempio di superficialità ed arroganza pseudo culturale, nei confronti di azioni come quelle dei  contadini, del tessile ed  altre iniziative di associazioni che lamentavano un assoluto abbandono in relazione alle loro problematiche da parte della classe politica accademica ed economiche in generale. Come non ricordare le tronfie dichiarazioni sempre di  presidenti del Consiglio e di segretari di partito inneggianti ad una “una economia post industriale basata sui servizi” che tutti sottoscrivevano a partire dal mondo accademico, politico e degli economisti?

     

    Arrivando addirittura alle affermazioni di un Ministro, durante una cerimonia di apertura di una importante fiera milanese del tessile come Milano Unica, che dichiarò candidamente che l’Italia avrebbe vissuto di design. A fronte di tale affermazione assolutamente priva di qualsiasi contenuto economico nessuno ebbe nulla da obiettare ad esclusione Luciano Barbera, presidente dell’omonimo gruppo.

    La presa di posizione dell’attuale ministro dell’economia, tornando alla questione del presunto dumping fiscale della Slovacchia, non risulta che un’operazione di immagine in quanto gli stessi governi ai quali  ha partecipato hanno utilizzato la leva fiscale per abbassare il costo del lavoro, cercando, senza ottenerlo, di rendere il nostro paese maggiormente attrattivo  in relazione agli investimenti esteri.

    A tal fine si ricorda come il World Economic Forum in una recente ricerca abbia escluso da qualsiasi tipo di classifica l’Italia per quanto riguarda l’attrattività di investimenti esteri a causa ovviamente di una legislazione farraginosa, di una pubblica amministrazione fornitrice di alcun servizio e ad un sistema  giudiziario  che rifiuta qualsiasi forma di  riforma.

    A questo ‘assoluto in pace’ della pubblica amministrazione si aggiunga poi che dal 1996 al 2006, a fronte di un aumento dell’inflazione del 40,1%, la pressione fiscale viceversa risulta aumentata dell’80,3%.

    Numeri e trend  ovviamente attribuibili soprattutto a tutti i governi precedenti il 2011 ma che comunque sono visti come attori di questo disastro economico e normativo che presenta come unico tragico risultato allontanare gli  investimenti che nel 2016 hanno registrato un -18% e nel 2017 un -32%.

    Tali fuoriuscite di capitali si manifestano attraverso la chiusura di aziende come la Whirlpool assieme a mancati investimenti che denotano una mancanza di fiducia nel nostro paese e nel suo modello economico.

    Del resto risulta insostenibile  un sistema economico nel quale esistono 871 adempimenti burocratici in un anno a carico delle aziende, frutto di trent’anni  anni di politica anti industriale e delle ultime “riforme fiscali” o  dei governi Monti , Renzi e Gentiloni.

    Quindi, se il principio di concorrenza viene accettato nel mondo economico delle imprese private non può assolutamente diventare un dumping quando viene utilizzata la leva fiscale per attrarre imprese ed industrie ad investire in un determinato paese. Del resto come non ricordare le politiche di fiscalità di vantaggio  per il rilancio dell’economia del Sud Italia. A differenza delle politica, l’economia applica i principi riconosciuti come tali in ogni settore dell’articolato mondo globale economico.

    Questa sorta di relativismo che vede esponenti del governo considerare  appropriata la fiscalizzazione  degli oneri contributivi (Jobs act) ma che successivamente critica  un altro paese che la utilizza per incentivare gli investimenti nel proprio territorio si rivela come espressione di un “relativismo fiscale” che in ambito economico risulta  assolutamente ingiustificato ed insostenibile.

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