risparmio

  • L’acqua scarseggia, ma l’intelligenza artificiale aiuta a non sprecare quella che c’è

    Il 22 marzo si è celebrato il World Water Day, la Giornata mondiale dell’acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 per sensibilizzare sul valore di questa preziosa risorsa, ancora difficilmente accessibile per 2 miliardi di persone.

    Al di là del valore umanitario della giornata proclamata dall’Onu, il problema dell’acqua riguarda anche l’Italia. Nel 2021 l’Istat fotografava un’Italia con 286 giorni senza pioggia all’anno, un dato in costante crescita dal 2015. E lo scorso febbraio il Centro internazionale di monitoraggio ambientale ha denunciato una carenza di neve su Alpi e Appennini del 63%, mentre le regioni del Centro e del Sud, in particolare Sicilia e Sardegna, rimangono tuttora a secco. Certo, a marzo Giove Pluvio non ha mancato di manifestarsi ma la siccità appare ormai non più un’emergenza bensì un fenomeno strutturale che richiede strategie di lungo periodo. Secondo la Fao è causa del 34% di tutte le catastrofi naturali che si verificano a livello globale.

    A livello globale, per ottenere acqua potabile si contano oltre 16mila desalinizzatori, di cui i più noti sono quelli di Barcellona e in Israele.  L’Italia ha a sua volta intrapreso la via della desalinizzazione ma appare più capace a recuperare acqua potabile tramite la depurazione delle acque di scarto. In Emilia-Romagna un progetto dell’Università di Bologna e di Enea sulla depurazione delle acque di scarto ha permesso di coprire il 70% del fabbisogno idrico regionale, con vantaggi soprattutto per l’agricoltura (il settore che la Fao indica come il responsabile della maggior parte del consumo di acqua destinata all’uomo).
    Sistemi di intelligenza artificiale, internet of things e droni che permettono di gestire meglio l’irrigazione dei campi consentono di procedere alla valutazione dell’umidità del terreno, attraverso sensori meteorologici e di suolo, e al monitoraggio costante dello stato di salute della pianta, per poter intervenire tempestivamente, ridurre l’uso di fertilizzanti e rendere l’irrigazione più efficiente e mirata, abbattendo gli sprechi.

  • Quale scenario di guerra

    L’escalation delle tensioni internazionali ha introdotto il concetto di “economia di guerra” nel lessico istituzionale all’interno del quale cambiano radicalmente le priorità di spesa dei governi, le quali si orientano ovviamente a favore del rafforzamento degli arsenali e all’aggiornamento degli armamenti uniti al mantenimento dell’esercito quali principali settori da finanziare attraverso le spesa pubblica.

    All’interno del contesto attuale a questo tipo di economia e soprattutto alle sue difficoltà si possono aggiungere le difficoltà di rifornimento e di approvvigionamento delle materie prime essendo venute meno proprio le filiere energetiche e produttive.

    Tuttavia, la leggerezza con la quale viene introdotto tanto dai politici quanto dai media il concetto di una inevitabile metamorfosi dell’economia attuale ad una ben più complessa da scenario di guerra non tiene assolutamente in conto della situazione che per i cittadini italiani una guerra sia decisamente cominciata oltre trent’anni addietro.

    Andrebbe ricordato come l’Italia rappresenti ad oggi l’unico Paese in Europa che ha visto ridurre il proprio reddito disponibile del -2,9% mentre contemporaneamente in Germania lo stesso risulti cresciuto del +33,7 ed in Francia di oltre +31%.

    Un andamento così disastroso delle retribuzioni, confermato anche della ennesima diminuzione del -0,1% nell’ultima rilevazione relativa all’ultimo trimestre 2023, espressione di una sintesi essenzialmente individuabile in due determinati e precisi motivi.

    Il primo è rappresentato dalla scelta monetaria che ha visto affidarsi sempre e solamente per la crescita dei fatturati alla svalutazione competitiva la quale ha favorito le esportazioni ma non i redditi come la domanda interna e tantomeno gli asset economici. Il secondo è individuabile nella scellerata strategia di abbandono di ogni politica industriale (definita old economy) negli ultimi trent’anni a favore di un’illusoria visione di economia dei servizi e legata al turismo.

    Il principale effetto di questa differenza dell’andamento delle retribuzioni determina, in più, una forbice tra le diverse tariffe e costi nei Paesi che può raggiungere il +40% a sfavore dell’utenza nazionale italiana.

    A questo scenario già di per sé drammatico si aggiungano i dati relativi alla povertà assoluta che è cresciuta dello +0,2% nel 2023, raggiungendo la cifra dell’8,5% di famiglie che vivono in assoluta povertà, cioè circa 5,7 milioni di italiani.

    Una crescita che ha come cause aggiuntive probabilmente l’annullamento di determinati ammortizzatori sociali ma soprattutto l’esplosione dei costi energetici, i quali, con la soppressione delle tariffe del mercato agevolata e lo scellerato aumento dell’Iva dal 5 al 22% (*), porteranno ad un maggiore costo di 1.700 euro a famiglia. Questi dati sono l’espressione di una economia di guerra all’interno della quale la spesa pubblica quanto il debito pubblico sono stati utilizzati non certo per rendere fruibili servizi alle fasce di reddito più basse, ma come sostegno delle diverse riserve elettorali sostenute finanziariamente da ogni governo dei più diversi orientamenti politici.

    Ora, qualsiasi possa dimostrarsi l’evoluzione della crisi internazionale sarebbe opportuno ricordare come l’Italia non abbia più risorse, in quanto una guerra la cittadinanza italiana la sta già combattendo contro la propria classe politica e dirigente da oltre trent’anni.

    (*) sconto Iva introdotto dal governo Draghi, come quello sulle accise per i carburanti anche questo azzerato dal governo in carica

  • Inverno 1963/64

    Nessuno contesta come il cambiamento climatico rappresenti l’essenza stessa di un universo in continua evoluzione mentre in questo periodo si cerca di individuare tale processo nella causa dell’attività umana.

    Già sessant’anni fa però si manifestarono degli inverni con poca neve alla quale ovviamente non si poteva ovviare con gli impianti di innevamento programmato…

    L’innovazione tecnologica, nella sua continua evoluzione, offre oggi  il  grande merito di far fronte a situazioni meteorologiche avverse, sia nella stagione invernale che in una estate torrida con l’utilizzo dell’aria condizionata.

    In questo contesto tuttavia andrebbe ricordato quanto diceva Milton Friedman, e cioè che “nessun pasto è gratis”, quindi qualsiasi aspetto del progresso, come ogni innovazione, genera costi la cui sostenibilità è identificabile nel  rapporto vantaggioso tra benefici e appunto costi.

    La caduta del muro di Berlino di fatto ha tolto la base istituzionale politica a tutte quelle  forze di sinistra che si erano illuse di portare il regime socialista all’interno del mondo occidentale, dopo questa sconfitta epocale del pensiero socialista l’unico modo per ricreare le condizioni per una rivoluzione era rappresentato dalla possibilità di annullare qualsiasi vantaggio economico, politico e sociale che l’occidente detiene ancora oggi nei confronti dell’est e dei paesi dell’estremo Oriente, ovvero attraverso l’annientamento di tutti i primati tecnologici industriali e professionali espressione di decenni di investimenti finanziari e professionali.

    In altre parole, negare il progresso verso un minore impatto ambientale dello stile di vita occidentale rappresenta la premessa ideologica finalizzata alla adozione di  una disciplina repressiva, come quella relativa al divieto di vendita applicato alle automobili con motore endotermico.

    Questa forma di repressione rappresenta l’atto politico e normativo che  assicura una  vita politica e la stessa giustificazione della esistenza in vita di partiti e persone che altrimenti non rappresenterebbero più nulla.

    L’attenzione verso l’ambiente risulta essere un approccio progressivo ed economicamente vantaggioso, in quanto produce la stessa quantità con minore energia, e determina un minore impegno patrimoniale e finanziario indicandolo come un processo assolutamente ineludibile oltre che vantaggioso non solo per l’ambiente ma anche per gli operatori economici.

    Il risparmio energetico rappresenta un processo virtuoso di rispetto ambientale le cui tappe vengono negate dal mondo ambientalista, basti pensare alle automobili che hanno ridotto del 92% negli ultimi vent’anni le emissioni, negato da un movimento divenuto  puramente ideologico e che ha la caratteristica di diventare sostanzialmente sovversivo, un obiettivo molto simile a quello della rivoluzione Socialista.

  • Al servizio dei risparmiatori

    Il Patto Sociale si è già occupato, anche con un rilevante articolo del dottor Giuseppe Nenna, Presidente della Banca di Piacenza, dei gravi problemi dovuti alla desertificazione bancaria ma i dati elaborati dalla fondazione Fiba ci presentano un altro inquietante scenario.

    Secondo la Fondazione dal 2009 al 2022 nel settore bancario si sono persi più di 66.000 posti di lavoro al netto delle nuove assunzioni che sono state 38.000, non vi è stato perciò nessun ricambio generazionale ma una perdita secca di posti di lavoro con i conseguenti danni per tutti, clienti compresi.

    Le ristrutturazioni societarie, le fusioni ed acquisizioni sono servite alle banche ed ai loro soci, non certo ai dipendenti o ai clienti che hanno visto chiudere banche e filiali anche a causa della riforma delle banche popolari e di credito cooperativo.

    I primi cinque gruppi bancari controllano più del 50% del mercato ingenerando, ovviamente, una mancanza di reale concorrenza ed una distorsione del settore.

    La chiusura di tante filiali nei centri abitati, voluta dalle grandi banche, ci auguriamo possa dare maggior vigore a quelle medie che operano con un forte legame al territorio e che ancora credono, a ragione, nel rapporto diretto tra clienti e funzionari della banca. Per questo speriamo che siano proprio le banche “minori” ad occupare quella fascia di mercato, tremila comuni, che le grandi hanno abbandonato riportando, almeno una parte, del sistema bancario ad essere al servizio dei risparmiatori.

  • La Germania e le politiche energetiche

    Il governo della Germania ha deciso di adottare un taglio delle tasse sull’energia per oltre 12 miliardi di euro all’anno. Questa strategia nasce dalla volontà governativa di garantire alle imprese tedesche di poter contare su un costo di 70 euro a MWh (contro i 129 euro in Italia).

    In Italia le due ultime manovre sul presunto taglio del cuneo fiscale (governo Draghi 8.7 miliardi e governo Meloni 11 miliardi circa) hanno ottenuto un vantaggio netto in busta paga di circa 27 euro il primo e poco meno di 30 il secondo, in più a crescere in rapporto alle fasce di reddito (600 lordi), quasi 19 miliardi che otterranno per un vantaggio reale irrisorio, basti pensare come lo sconto sulle accise del governo Draghi costasse circa quattro (4) miliardi.

    La decisione tedesca avvia il processo di azzeramento della stessa Unione Europea azzerando l’applicazione del principio della “concorrenza come fattore di sviluppo economico” applicato a garanzia dell’utenza e contemporaneamente evapora lo stesso concetto istitutivo della stessa Unione Europea, sia economica che politica. Inoltre il concetto di aiuti di Stato diventa una leva politica valida solo se pensata in italiano.

    Nel frattempo in Italia Eni presenta la migliore trimestrale della propria storia grazie alla propria attività speculativa nella erogazione del proprio servizio e soprattutto come espressione di una volontà di garantire gli investimenti del proprio azionariato composto in maggioranza da fondi privati.

    La risultante di questo disastro strategico determinerà per il sistema manifatturiero italiano una ulteriore riduzione della propria competitività rispetto a quello tedesco ma anche rispetto a tutti gli altri europei in quanto l’Italia è l’unico Paese che già nella finanziaria in corso di approvazione eliminerà ogni sostegno agli esorbitanti costi energetici per imprese e famiglie: basti pensare all’azzeramento delle clausole del mercato energetico tutelato.

    La decisione tedesca dovrebbe determinare delle precise reazioni del mondo politico europeo anche in relazione al contraddittorio mantenimento in vita di una Istituzione Europea priva ormai degli stessi principi fondativi o quantomeno della semplice applicazione di principi liberali (gli aiuti di Stato) validi solo e sempre a scapito dall’Italia. Ma soprattutto dovrebbe suscitare ed avviare un dibattito nel nostro Paese nel quale il ceto politico italiano, che dovrebbe tutelare innanzitutto interessi nazionali, risulta ancora oggi troppo distratto dalle varie transizioni ecologiche ed ideologiche.

    Contemporaneamente la classe politica nazionale si preoccupa, ancora oggi, di bonus di ogni foggia come della sempre più difficile quadratura del sistema pensionistico invece di occuparsi del futuro del sistema economico ed Industriale attraverso l’adozione di una seria politica energetica.

    Un atteggiamento confermato dalla indifferenza con la quale Stellantis chiude e mette in vendita lo stabilimento Maserati voluto da Marchionne, mandando già i macchinari in Marocco, non suscitando alcuna reazione del ministro “delle imprese e del Made in Italy” e del governo.

  • Bruxelles rafforza la prevenzione rispetto ai rischi del sistema bancario ombra

    La Commissione europea ha adottato gli standard tecnici che gli enti creditizi dovranno utilizzare nel segnalare le proprie esposizioni verso soggetti del sistema bancario ombra (in inglese shadow banking system), ossia quel complesso di mercati, istituzioni e intermediari che erogano servizi bancari senza essere soggetti alla relativa regolamentazione in quanto posti al di fuori del perimetro di applicazione delle relative norme.

    Gli standard promosso dall’esecutivo comunitario stabiliscono i criteri per l’identificazione dei soggetti del sistema bancario ombra, garantendo l’armonizzazione e la comparabilità delle esposizioni segnalate dagli enti creditizi. Gli standard forniranno inoltre alle autorità di vigilanza dati affidabili per valutare i rischi delle banche in relazione ai non-banking financial intermediaries.

    Tutto questo dovrebbe rafforzare il quadro prudenziale, consentendo una maggiore trasparenza dei collegamenti materiali tra il settore bancario tradizionale e il settore bancario ombra.

    “Le istituzioni finanziarie non bancarie sono cresciute negli ultimi anni – ha commentato Mairead McGuinness, Commissaria per i servizi finanziari – Alcuni hanno accumulato considerevoli disallineamenti di liquidità e di leva finanziaria e, come evidenziato dalle recenti perdite nel settore bancario che hanno coinvolto tali entità, la loro attività potrebbe rappresentare un rischio per il sistema finanziario. Le norme odierne forniscono alle banche attive nell’UE ulteriore chiarezza su quali entità rientrano nel sistema bancario ombra, garantendo coerenza di reporting tra le banche e migliorando la capacità delle autorità di vigilanza di individuare l’accumulo di grandi esposizioni verso istituzioni finanziarie non bancarie e gestire i rischi in modo efficace”.

  • Si spende di più e si compra meno, boom dei discount

    La crescita dei prezzi spinge in alto la spesa delle famiglie costrette però a comprare meno prodotti. Ad aprile infatti – secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat – le vendite al dettaglio sono cresciute del 3,2% in valore rispetto allo stesso mese del 2022, ma sono diminuite del 4,8% in volume. E gli italiani cercando di risparmiar e di difendersi dall’inflazione si rivolgono sempre più alla grande distribuzione e ai discount alimentari.

    Market e supermarket hanno registrato ad aprile un +7,2% tendenziale delle vendite in valore (a fronte del +3,2% generale), mentre le imprese operanti su piccole superfici hanno perso terreno anche in valore (-1,1%). I discount alimentari all’interno della grande distribuzione hanno segnato un aumento delle vendite tendenziale del 9,2% mentre i supermercati hanno registrato un +7,4%. Se si guarda ai primi 4 mesi dell’anno le vendite sono cresciute nel complesso del 5,2% con una grande differenza tra la grande distribuzione (+7,8%) e i piccoli negozi (+2,5%). I discount alimentari hanno registrato un +9,1%.

    Con le famiglie che tirano la cinghia fanno fatica soprattutto i piccoli negozi che non vendono alimentari che registrano un calo di vendite in valore nonostante l’aumento dei prezzi dell’1,9% ad aprile su base tendenziale e un aumento dell’1,9% nei primi quattro mesi sempre su base tendenziale. Per quanto riguarda i beni non alimentari, si registrano variazioni tendenziali eterogenee tra i gruppi di prodotti. L’aumento maggiore riguarda i prodotti di profumeria, cura della persona (+7,9%) mentre i prodotti farmaceutici registrano il calo più sostenuto (-3,2%).

    Se si guarda al dato congiunturale ad aprile 2023 si stima rispetto a marzo un aumento per le vendite al dettaglio in valore (+0,2%) e un calo in volume (-0,2%). Sono in crescita le vendite dei beni alimentari (+0,9% in valore e +0,6% in volume) mentre quelle dei beni non alimentari registrano una diminuzione (-0,4% in valore e -0,7% in volume).

    Le associazioni dei commercianti esprimono preoccupazione e chiedono al governo sostegni per favorire la ripresa dei consumi. “A soffrire – sottolinea Federdistribuzione – non è solo il comparto alimentare ma anche le categorie del non alimentare, in particolare l’abbigliamento, che più risentono dell’andamento meteorologico e di una stagione estiva in forte ritardo. In questa prospettiva di incertezza, occorre quindi il massimo impegno per favorire la ripresa dei consumi, attraverso il sostegno alle famiglie e alle imprese”.

  • Tra gli italiani è usato mania: è l’1,3% del pil

    E’ usato mania e lo è, sempre, più tra gli italiani e senza distinzione. Uno stile di vita che accomuna Millennials, GenZ, giovani famiglie e over 50 nel segno dell’economia circolare. Nel 2022 sono stati 24 milioni per un valore economico di 25 miliardi di euro, il più alto di sempre, e che rappresenta l’1,3% del Pil nazionale, secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio ”Second Hand Economy’ realizzato da BVA Doxa per Subito.

    Un modo di vivere e consumare smart sia in termini di sostenibilità ambientale, sia di risparmio che viaggia soprattutto grazie l’online il cui volume d’affari cresce a 11,9 miliardi di euro. Un’esperienza sempre più simile all’e-commerce, a distanza e in sicurezza, scelta da 6 italiani su 10 perché più veloce (50%), disponibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 (48%) e con una scelta più ampia (44%). Ma torna a crescere, dopo due anni, anche l’offline, mettendo in soffitta le paure maturate con il covid. Rispetto all’acquisto i due canali raggiungono la parità mentre, rispetto alla vendita, il divario continua a crescere: se il 39% degli intervistati ha dichiarato di avere venduto offline, la percentuale sale al 73% per l’online.

    L’usato offre anche sempre di più una mano a far quadrare il bilancio con un guadagno medio che si attesta a 953 euro, che in un anno difficile e incerto come quello appena passato può essere di supporto all’economia familiare. E forse anche per questo cresce non solo il numero di persone che comprano e vendono usato (57% contro il 52% del 2021), ma anche la frequenza di utilizzo (la maggioranza ogni 2-3 mesi).

    Tra le Regioni che superano la media nazionale ci sono Campania (1.114 euro), Veneto (1.099 euro) e Lombardia (970 euro) che, invece, in termini di valore è in testa (4,2 miliardi di euro) seguita da Campania (3,1 miliardi) e Lazio (2,7 miliardi).

    Ma cosa comprano e vendono gli italiani? I veicoli si confermano la prima categoria per valore generato a totale (10,6 miliardi di euro), seppure in decrescita rispetto al balzo del 2021, in cui l’usato offriva una valida alternativa al nuovo, in crisi di disponibilità per la mancanza di chip. Nel 2022 non solo la crisi economica e l’incertezza politica sembrano aver ritardato una scelta di acquisto importante come quella dell’auto, ma anche la crescita dei prezzi dovuta alla domanda in aumento. A seguire casa&persona (6,7 miliardi di euro, elettronica (4,5 miliardi di euro), sports&hobby (3,4 miliardi di euro).

  • Il diverso destino di Italia e Francia

    Un qualsiasi paese europeo, ormai stremato da tre anni terribili segnati dalle conseguenze umane, sanitarie, sociali ed economiche della pandemia e della guerra in corso, dovrebbe ora dimostrarsi in grado di elaborare le scelte fondamentali per la propria rinascita. La stessa recessione della Germania dovrebbe allarmare i paesi come l’Italia, esportatrice di componenti della filiera industriale e di beni di consumo alto di gamma.

    Una corretta volontà politica potrebbe manifestarsi attraverso la elaborazione di strategie la cui attivazione possa accrescere, solo per cominciare, la propria capacità energetica in grado porla nelle condizioni di affrontare un’altra situazione imprevista. La logica conseguenza potrebbe delinearsi con l’attivazione di investimenti quasi interamente dirottati verso la realizzazione di infrastrutture di valenza nazionale.

    Le uniche in grado di esprimere il proprio apporto a favore dell’intero sistema economico industriale nazionale: di certo lontane anni luce rispetto alle scelte italiane caratterizzate invece da politiche settoriali (bonus 110%) e generatrici di inflazione.

    In questo senso, allora, da un semplice raffronto tra i due paesi limitrofi si delinea un acquarello inquietante.

    Nel nostro Paese si continua ad aumentare la spesa pubblica con bonus imbarazzanti (zanzariere, occhiali etc.) o finanziando ciclopiche infrastrutture come il ponte sullo stretto di Messina.

    Contemporaneamente la Francia, dopo l’assenso ottenuto dal tribunale, ha avviato la procedura di nazionalizzane di Edf (la società di produzione e distribuzione dell’energia elettrica). L’obiettivo ambizioso che ha determinato la realizzazione del progetto è quello di assicurare il minore costo possibile dell’energia elettrica all’utenza sia industriale che familiare. Questa scelta politica francese, in più, raggiungerà i propri obiettivi anche con investimenti persino inferiori del 33,3% rispetto a quelli necessari per la realizzazione del solo Ponte (*).

    Una scelta, quindi, con un grado di sostenibilità economica maggiore e che si delinea come un fattore strategico determinante ma anche come un importante elemento di sostegno sociale alle famiglie e alle piccole imprese. Diventa, in altre parole, il raggiungimento di questo obiettivo del minore costo energetico, non solo un fattore competitivo per un sistema economico industriale, ma anche un importante strumento di pacificazione sociale per i cittadini. Gli effetti di queste due diverse strategie di politica economica espresse dalla Francia e dall’Italia emergeranno evidenti in soli pochi anni.

    Il sistema industriale ed economico francese, usufruendo dei minori costi energetici, risulterà assolutamente più competitivo nello scenario internazionale ma soprattutto nei confronti del maggiore concorrente cioè quello italiano. Viceversa il mondo industriale italiano pagherà una crescente emarginazione dal contesto economico internazionale proprio a causa delle diverse strategie espresse dalle due classi politiche nazionali (risultato 1). Contemporaneamente il costo sociale pagato dalle famiglie italiane (2) diventerà sempre più gravoso e per due motivi. Va ricordato, infatti, come da giugno 2023 verranno mantenuti gli sconti sui costi impropri solo per i redditi inferiori ai 15.000 euro (il 21% del prezzo pagato dall’utenza) nelle bollette elettriche.

    Come se non bastasse, a partire dal 10 gennaio 2024 verrà annullato, nell’approvvigionamento energetico, il “mercato tutelato” per nove milioni di utenze familiari e di piccole imprese (2).  L’ennesima conseguenza di quelle fasulle “liberalizzazioni e privatizzazioni” le quali hanno determinato l’aumento negli ultimi dieci anni delle tariffe elettriche del 240% del gas del 65% dell’acqua del 57% (fonte Il Sole 24 Ore).

    Nella medesima logica speculativa la privatizzazione delle infrastrutture autostradali non merita alcuna menzione in relazione a quanto sta emergendo dalle carte processuali in relazione al crollo del Ponte Morandi.

    Il nostro Paese, quindi, continua nelle strategie adottate alle fine degli anni ‘90 in assoluta antitesi rispetto alla strategia francese privilegiando la logica speculativa privata a quella dell’interesse nazionale.

    Già da ora, quindi, si delinea chiaramente il diverso destino al quale sono indirizzati i due Paesi. Un quadro le cui tinte fosche esprimono, nel nostro italiano, la inadeguatezza delle strategie adottate.

    (*) La nazionalizzazione di Edf costerà allo stato francese dieci (10) miliardi di euro, il 33,3% in meno del ponte sullo Stretto di Messina il cui costo ai valori attuali è di quindici (15) miliardi

  • Chi mangia sano butta meno cibo

    Mangiare sano e bene, prima regola. Poi, fissare un menu dei 7 giorni, cuocere tutto una volta a settimana, fare la spesa con una lista per evitare di comprare cose inutili o doppioni, leggere attentamente le istruzioni riportate in etichetta, e se si mangia al ristorante chiedere senza esitazione la family bag, come ricorda il vademecum di federalimentare. Sono solo alcuni degli accorgimenti lanciati da organizzazioni e istituzioni con linee-guida, vademecum, appelli, indagini in vista della X Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare del 5 febbraio.

    Secondo una ricerca del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura), condotta su un campione di 2869 adulti, chi segue le linee-guida per una sana alimentazione butta via meno cibo e aiuta il pianeta, oltre a mangiare meglio. C’è da dire, però, che i consumatori sono diventati più oculati. Nelle case degli italiani lo spreco alimentare è sceso del 12% rispetto ad un anno fa, anche come risposta alla corsa dell’inflazione, per un valore complessivamente di 6,48 miliardi di euro. Una cifra, secondo il report ‘Il caso Italia’ 2023 di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability, che arriva a 9,3 miliardi considerando le perdite lungo la filiera, dal campo alla catena dell’industria alla distribuzione. E sulla base dei nuovi dati che si riferiscono al mese di gennaio 2023, gli italiani gettano in media 524,1 grammi pro capite a settimana di cibo contro i 595,3 grammi della scorsa indagine, o circa 75 grammi di cibo al giorno e 27,253 kg annui. Mentre secondo l’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market / Campagna Spreco Zero, nel report ‘Il caso Italia’ 2023, l’86% degli italiani si impegna a consumare tutto quello che cucina e a mangiare anche gli avanzi.

    Anche gli chef fanno la loro parte. La Federcuochi ha lanciato l’appello “Chef Spreco Zero”, rinnovando l’appello a tutti i suoi chef verso lo ‘spreco zero’, attraverso un utilizzo consapevole delle risorse alimentari, incentivando ricette basate sul recupero del cibo avanzato, sull’ottimizzazione degli ingredienti e su una gestione più razionale degli acquisti. La lotta allo spreco alimentare è anche un obiettivo del Governo “per favorire la distribuzione degli eccessi a chi ne ha bisogno”, ha detto il Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida. “Sono necessarie un’attenta analisi scientifica alla base, una corretta informazione e una formazione ad hoc che parta dalle scuole”. E infine, fa sapere il fondatore Spreco Zero, l’agroeconomista Andrea Segrè, “non è lontano l’obiettivo Onu di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030”.

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