selfie

  • Ansia da estetica social: i ragazzi non si accettano per come sono

    Secondo lo studio l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dal titolo Satisface patrocinato dal Comune di Milano e condotto su 120 adolescenti tra i 12 e i 16 anni di cui il magazine Sette ha fornito anticipazioni i ragazzi della Generazione Z sono preda di ansia di ben figurare sui social network tanto da fare prove davanti allo specchio per capire come uscire bene in foto, controllare più volte il proprio aspetto su qualsiasi superficie che può riflettere l’immagine, toccarsi in continuazione i capelli con le dita, cambiare postura ed evitare le luci intense per impedire che vengano notati i dettagli dell’aspetto che non piacciono. Il 22% dei giovani intervistati per la ricerca lo fa sempre/spesso, il 12% qualche volta, il 66% raramente/mai. Ancora: il 18% degli intervistati non fa selfie, ma tra gli altri il 37% ne scatta da due a cinque prima di ottenere quello che pubblicherà, l’11% da cinque a dieci e un altro 11% più di dieci. Solo il 23% è soddisfatto al primo colpo. Un adolescente su due degli intervistati ammette di ritoccare le proprie foto, uno su quattro vuole nascondere difetti come i brufoli, uno su 10 desidera apparire più magro. La maggior parte dichiara di modificare l’immagine direttamente all’interno del social (47,5%) o dalle foto dello smartphone (32,2%), ma c’è anche chi già ricorre ad app apposite come Facetune, Perfect365 o Camera360.

    I ricercatori mettono in luce il meccanismo perverso che si può innescare: «I ragazzi che usano i social per più di 4 ore, ossia 1 su 3 di quelli intervistati (34,2%), hanno punteggi significativamente più alti nelle scale che misurano il grado di manipolazione fotografica, il controllo della propria immagine in foto e il livello di ansia da aspetto» spiega Chiara Brombin, professore associato di Statistica e coordinatrice dello studio. «In parallelo diminuisce in modo considerevole l’autostima nei confronti del proprio corpo». In sintesi: più tempo sui social equivale a una manipolazione più frequente dei selfie, più controllo dell’immagine in foto, più aspettative, più ansia da aspetto e peggiore percezione della propria immagine corporea. Per quanto riguarda la manipolazione della foto, in una scala da 8 a 40, chi usa i social per più di quattro ore ha un punteggio di 15 contro quello di 11 di chi sta meno di due ore. E per quanto riguarda il controllo della propria immagine, in una scala da 16 a 80, il punteggio di chi sta sui social per più di quattro ore è di 38 contro quello di 22,5 di chi sta meno di due ore. Il 5% mostra un controllo borderline.

    Per contrastare questo fenomeno un rimedio può essere quello di togliere i filtri, come ha già fatto BeReal, social francese che vieta i filtri e abolisce i like e una volta al giorno invita gli utenti, dandogli solo due minuti di tempo, a condividere una foto con la fotocamera frontale e posteriore in modo da fare vedere davvero dove si trovano.

  • I selfie spingono la chirurgia plastica

    I selfie spingono la chirurgia plastica, perché aumentano le richieste di interventi correttivi per figurare meglio nelle foto da divulgare sui social network. Negli Usa il 53% degli aderenti all’Accademia nazionale dei chirurghi facciali plastici ha visto aumentare le richieste di interventi per meglio figurare nei selfie, soprattutto da parte degli under 30. Rinoplastica e blefaroplastica, cioè ritocchi del naso e delle labbra, sono le correzioni più gettonate, ma c’è anche chi si accontenta di iniezioni di filler o botulismo (interventi meno costosi).

    I selfie peraltro sembrano rendere più realistiche le pretese di chi si rivolge alla chirurgia plastica: non si chiede più di diventare supersexy, ma ci si presenta dallo specialista col proprio smartphone per evidenziare ciò che non piace nei propri selfie e che si vorrebbe correggere.

    In Italia il desiderio di configurarsi in maniera idonea ai selfie non manca di creare qualche preoccupazione tra i professionisti. L’Associazione italiana chirurgia plastica estetica segnala che nella penisola operano circa 5000 professionisti ma solo 1.150 sono specialisti seriamente affidabili. Sul fronte dell’utenza, la Società psicoanalitica italiana sottolinea che il desiderio di essere presentabili indotto dai selfie porta a una forte omologazione (si arriva a postare di essersi rifatti non appena concluso l’intervento chirurgico) e ingenera in chi è nel fiore dei propri anni timori che in effetti la giovinezza non dovrebbe conoscere. 

    In Inghilterra la dipendenza da selfie è stata anche oggetto di analisi e classificazioni, ma l’opera di 2 ricercatori accademici dedicata al tema ha sollevato non poche polemiche in merito alla sua effettiva scientificità, all’affidabilità cioè del metodo con cui è stata condotta e dei risultati cui è di conseguenza approdata.

  • Dipendere dal proprio smartphone

    Ormai è stata identificata una nuova forma patologica: la no-mo-fobia: sono sempre più le persone, non solo i più giovani, che hanno ormai contratto una vera e propria dipendenza dal proprio smartphone, tanto che quando ne sono senza possono cadere preda di attacchi di ansia e addirittura di panico. La dipendenza dallo smartphone e dalla continua connessione con la Rete porta, sia nella scuola che nel mondo del lavoro, a una crescente mancanza di capacità di concentrazione e ad una riduzione dell’elaborazione di concetti e analisi. Per quanto riguarda specificatamente i bambini, i dati si fanno sempre più allarmanti, infatti se l’uso smodato dei sistemi informatici è negativo per gli adulti, diviene estremamente pericoloso per i bambini, il cui cervello deve ancora raggiungere la maturazione dell’età adulta. Se a tutto questo si aggiunge l’ignoranza, per molti, del modo con cui decodificare i messaggi ci si rende conto che questa dipendenza si tramuta in una vera e propria alienazione mentale rispetto alla realtà ed al vero significato di quanto ci circonda e di quanto accade.

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