Ungheria

  • Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest

    Un tempo cantavamo “Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest”, sfilavamo per testimoniare la nostra vicinanza all’Ungheria, alle repubbliche dell’Europa dell’est oppresse dalla dittatura sovietica.

    Alcuni di quei paesi sono ora in Europa e progrediscono sulla strada della democrazia, ben vigili nell’osservare e contrastare la lunga mano di Putin che cerca di ricreare una sempre più vasta influenza russa anche utilizzando la forza e disprezzando il diritto internazionale.

    Solo uno stato, l’Ungheria, continua a opporsi agli aiuti per l’Ucraina e ad intrattenere buoni rapporti con il nuovo Zar, solo un paese, l’Ungheria, fa portare in tribunale in catene, in pieno disprezzo delle nome comunitarie, una cittadina italiana accusata di aver partecipato all’aggressione di due neonazisti.

    Il ministro degli Esteri e vicepremier Tajani alle domande di intervento politico risponde che Orban non è responsabile perché la magistratura è indipendente, ma chi fa e poi fa approvare le leggi in uno stato?

    Quali iniziative ha posto in essere il nostro governo per valutare le condizioni nelle quali è stata tenuta quasi per un anno Ilaria Salis?

    Temiamo nessuna visto che altrimenti, alle pressanti ed umane richieste del padre ed alle accuse delle opposizioni, qualcuno in alto loco avrebbe risposto dimostrando che un deciso interessamento vi era stato seppur senza risultato. Se interventi effettivi, e non di rito, fossero stati fatti Ilaria Salis forse avrebbe potuto avere un trattamento migliore e certamente il governo non si troverebbe oggi ad affrontare quello che è diventato un caso politico a tutto scapito della giustizia e dei diritti umani.

    D’altra parte siamo da molti anni abituati alle non risposte di chi governa l’Italia, qualunque sia stato il colore politico, come allora stupirci di fronte ai non interventi in Ungheria quando non si è mai sollevato il problema dei genitori italiani i cui figli sono di fatto stati rapiti dallo Jugendamt tedesco?

    Ragazzi di Buda e di Pest, ragazzi di tutta Europa, vigilate contro la violenza, il sopruso, il settarismo, la doppia verità, l’indifferenza.

  • La Ue va alla resa dei conti con Polonia e Ungheria

    Il tempo degli avvertimenti per Polonia e Ungheria è finito. L’Unione europea ha assestato i suoi colpi in un’offensiva a tutto campo su valori e stato di diritto, la cui estrema conseguenza potrebbe anche portare alla chiusura dei rubinetti dei fondi strutturali del bilancio Ue, di cui Varsavia, con oltre 66 miliardi, è primo beneficiario. Mentre c’è già chi, nel Ppe, evoca lo spettro di una Polexit.

    Nell’incalzare di un clima da resa dei conti finale, si allarga la faglia tra l’Unione ed i due Paesi guidati da regimi populisti di destra, il Pis polacco di Jarosław Kaczyński e l’ungherese Fidesz di Viktor Orban, corteggiati da Matteo Salvini e Giorgia Meloni all’Eurocamera.

    La sentenza definitiva della Corte europea, che ha bocciato in pieno il sistema disciplinare della giustizia polacca; l’apertura di una procedura d’infrazione contro Polonia e Ungheria per le discriminazioni delle comunità arcobaleno; ed il deferimento di Budapest ai togati del Lussemburgo per violazioni alle norme dei richiedenti asilo sono gli ultimi capitoli dello scontro per il rispetto dello stato di diritto, che dopo anni di sonnolenza si è fatto ormai esplosivo.

    Le lettere di messa in mora inviate alle due capitali per le discriminazioni contro la comunità arcobaleno riguardano la legge che vieta l’accesso a contenuti che promuovono la “divergenza dall’identità del sesso alla nascita, al cambiamento di sesso o all’omosessualità” per i minori di 18 anni nel caso dell’Ungheria, e per le “zone franche Lgbt” in varie regioni e comuni polacchi.

    La mossa, accolta con favore dai capidelegazione all’Eurocamera di Pd, Brando Benifei, e M5S, Tiziana Beghin, dimostra che sui valori Bruxelles non ha intenzione di arretrare di un millimetro. Ma la vera partita si gioca sulla sentenza della Corte Ue che ha sancito come il sistema disciplinare della giustizia polacca “non fornisca tutte le garanzie di imparzialità e indipendenza ed, in particolare, non sia protetto dall’influenza dell’esecutivo”. La questione è molto seria. La Corte costituzionale di Varsavia mercoledì ha provato ad alzare la testa, respingendo le deliberazioni dei togati del Lussemburgo. Ma la risposta di Bruxelles è arrivata a stretto giro: “La legge dell’Unione ha la primazia su quella nazionale. Tutte le decisioni della Corte Ue sono vincolanti”. E ci si aspetta che tutte le decisioni siano applicate”, ha avvertito il portavoce Eric Mamer. In caso contrario l’Esecutivo “non esiterà ad usare i suoi poteri”.

    Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha protestato per il “trattamento” riservato al suo Paese, “peggiore” rispetto ad altri, come Spagna e Germania, e si è unito al suo guardasigilli Zbigniew Ziobro nel definire la sentenza “politica”. Ma se si ostinerà nella ribellione Varsavia potrebbe andare incontro a scenari cupi: da una multa salata all’attivazione del meccanismo dello stato di diritto che blocca l’erogazione dei fondi strutturali europei. E c’è anche di più. Il piano per il Recovery della Polonia, per una dote da 23,9 miliardi di euro, come quello ungherese è ancora in fase di scrutinio. Il periodo di estensione di un mese, richiesto da Varsavia alla sua presentazione, scadrà il 3 agosto. Forse è solo un caso, ma la Corte costituzionale polacca ha fatto slittare la sua risposta al governo di Morawiecki sulla primazia della legge Ue proprio nella stessa data. Da qui ad allora, c’è da scommetterci, impazzeranno i negoziati.

  • Un impianto della Bmw a Debrecen riporta l’Ungheria sulla via europea

    Buone notizie dall’Ungheria di Viktor Orban: la Bmw ha annunciato la costruzione di un nuovo impianto a Debrecen, per un investimento totale di un miliardo di euro che si tradurrà in cantieri a partire dal secondo trimestre dell’anno prossimo, destinato a divenire il maggior sito produttivo europeo del gruppo bavarese (che controlla anche Mini e Rolls-Royce). Più di qualsiasi discorso sull’integrazione europea o di qualsiasi presa di posizione nei confronti del governo di Budapest, l’azione dell’azienda contribuirà a rinsaldare i legami tra Ungheria e Ue: la libertà di circolazione delle merci è infatti il presupposto in base al quale la casa automobilistica tedesca, che vende il 45% dei suoi prodotti in Europa, ha potuto scegliere di ubicare proprio in Ungheria l’impianto e di converso la libera circolazione dei capitali stranieri ha fatto sì che l’arrivo dello straniero (la Bmw) dia impiego a un migliaio di addetti ungheresi per la produzione di 150mila vetture all’anno (molte delle quali elettriche).

    «Dopo importanti investimenti in Cina, Messico e Usa, rafforziamo le nostre attività in Europa per mantenere un equilibrio produttivo tra Asia, America e il nostro continente d’origine» ha dichiarato il patron del gruppo, Harald Kruger.

  • L’Europarlamento sollecita sanzioni contro l’Ungheria di Orban

    Il Parlamento europeo ha intensificato gli sforzi per far sì che gli Stati membri dell’Ue esaminino la situazione dello stato di diritto e della democrazia in Ungheria, con una mossa senza precedenti da parte dell’organismo. I membri del Parlamento Europeo nella commissione per le libertà civili hanno votato per innescare un processo di sanzione dell’Ue contro l’Ungheria per le violazioni dello stato di diritto e una violazione dei valori dell’Ue da parte del governo del primo ministro Viktor Orban. Il voto è arrivato solo una settimana dopo che il parlamento ungherese ha approvato una legge che criminalizza le Ong che aiutano i richiedenti asilo e un emendamento costituzionale che crea un sistema parallelo di tribunali, misure criticate da gruppi per i diritti e organizzazioni internazionali. Il progetto di relazione evidenzia le preoccupazioni degli ultimi 8 anni, dal momento in cui Orban è stato eletto, i timori per l’indipendenza della magistratura, la trasparenza dei fondi statali e la tutela della libertà di espressione, tra le altre cose.

    «Quello che dice il rapporto, ora approvato dalla commissione, è che vi è un serio rischio di violazione dello stato di diritto, valori europei e diritti fondamentali», ha detto l’eurodeputata Judith Sargentini, responsabile del rapporto, ai giornalisti. Il consiglio dei capi di Stato e di governo, ha aggiunto, «dovrebbe prendere questo voto come un serio avvertimento che devono iniziare ad agire sulla situazione in Ungheria». L’ampio progetto di relazione preparato più di un anno da Sargentini ha ricevuto 37 voti favorevoli e 19 contrari e i deputati del Ppe, cui fa capo Fidesz, il partito di Orban, si sono divisi. Secondo EUobserver, 8 deputati del Ppe hanno votato a favore della bozza di relazione critica, 9 hanno votato contro – sei parlamentari ungheresi che si sono assunti per membri assenti del comita.

    Orban ha definito il rapporto un «rapporto Soros», alludendo al miliardario ebreo di origini ungheresi George Soros contro cui polemizza da tempo.

    La plenaria del Parlamento voterà a settembre. Se due terzi degli eurodeputati supporteranno l’attivazione dell’articolo 7, il Consiglio europeo ha l’obbligo giuridico di trattare la questione, determinando se esiste un «chiaro rischio di una grave violazione» dei valori dell’Ue. Una procedura analoga, avviata dalla commissione Ue lo scorso dicembre, è già in corso contro la Polonia. Nell’ambito della prima fase della procedura di cui all’articolo 7 dell’Ungheria, il Consiglio potrebbe determinare l’esistenza di un rischio di violazione e potrebbe adottare raccomandazioni per l’Ungheria. Nella seconda fase della procedura, il Consiglio europeo, forum dei leader europei, può determinare l’esistenza della violazione, aprendo la strada a sanzioni, come la sospensione dei diritti di voto, una linea di condotta politicamente impossibile per qualsiasi Stato membro. La Commissione di Bruxelles ha già avuto vari attriti legali con il governo di Orban, ma ha concluso che non esiste una minaccia sistematica allo stato di diritto.

  • La corruzione percepita? In Italia non è così alta come in Ungheria e Bulgaria

    Gli ungheresi percepiscono che il loro Paese è diventato sempre più corrotto negli ultimi anni, secondo l’edizione di quest’anno del Corruption Perceptions Index di Transparency International, classifica basata sulla corruzione percepita e non su quella effettiva (sia chiaro). Nel complesso, però, l’Europa appare (non necessariamente è, sia chiaro) messa bene, con 7 paesi europei tra i primi 10 e 13 tra i primi 20.

    La Nuova Zelanda è stata percepita come la meno corrotta nel 2017, seguita dalla Danimarca. La Finlandia condivide il terzo posto con paesi non Ue Norvegia e Svizzera. Il paese dell’Ue di livello più basso – quindi con il più alto livello percepito di corruzione – era la Bulgaria, per il terzo anno consecutivo. La Bulgaria, che attualmente detiene la presidenza del Consiglio dell’UE, è stata classificata al 71esimo posto tra i 180 più corrotti. La Bulgaria ha segnato 43 punti, solo leggermente peggiori di Ungheria (45), Romania (48), Grecia (48) e Croazia (49).

    «Mentre la corruzione rimane una questione seria in Italia, sono state create strutture istituzionali e legali per combatterlo», ha affermato Transparency International (TI). «Di recente sono state approvate quattro leggi rilevanti in materia di denuncia, trasparenza, influenza indebita e riciclaggio di denaro sporco: sebbene ci vorrà del tempo prima che una qualsiasi di queste leggi porti a un cambiamento reale, queste fasi rappresentano dei progressi», ha aggiunto.

    Altri paesi dell’Ue che estinguono costantemente la corruzione – o almeno la percezione di ciò – sono la Repubblica ceca (da 49 nel 2012 a 57 nel 2017) e la Lettonia (da 49 a 58 nello stesso periodo). Il Regno Unito è migliorato da un punteggio di 74 nel 2012 a 82 nel 2017.

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