Politica

Il Paese è andato a pezzi e resta a pezzi da anni, qualcuno se lo ricordi prima del 4 marzo

In questi giorni il presidente della Repubblica ha reso omaggio al Belice che 50 anni fa è stato travolto da un sisma che causò 300 vittime. Nell’occasione i sindaci dei Paesi terremotati hanno rivolto un augurio e un invito «a non mollare» ai Paesi delle Marche e del Lazio stravolti dai terremoti del 2016, Paesi i cui cittadini ancora attendono le casette di legno promesse e mai arrivate e lo sgombero delle macerie.

Gli abitanti di Amatrice, Accumuli e di tutti gli altri Paesi così duramente provati hanno reagito e continuano a reagire, ma è difficile immaginare quale possa essere la loro aspettativa e speranza di ritornare in tempi brevi a una minima normalità se, a distanza di 50 anni dal sisma del Belice, ancora vi sono strade d’accesso ai Paesi terremotati quasi impraticabili e rimangono cumuli di macerie. Il governatore della Sicilia Nello Musumeci e l’assessore ai Beni culturali Vittorio Sgarbi si sono detti pronti, dopo l’appello del cantautore Nello Amalfino davanti al presidente della Repubblica, a firmare un decreto su una parte delle macerie ancora ammassate.

Come è concepibile che a 50 anni di distanza, mentre gli italiani nelle varie tasse e balzelli che pagano hanno ancora voci dedicate ai disastri tragici avvenuti negli anni, vi siano ancora strade impraticabili e macerie ammassate in uno Stato come l’Italia che fa parte del G8 ed è cioè ritenuta una delle potenze economiche del mondo? Se questo è il passato, quale sarà il futuro dei Paesi terremotati di Marche e Lazio? Vorremmo sentire parlare anche di questo dai tanti candidati leader delle prossime elezioni, vorremmo che, alla luce dei loro annunciati propositi di voler abolire tante cose, cominciassero ad abolire anzitutto lo scempio, il malcostume, l’indifferenza, la negligenza e il disprezzo che troppa politica pratica nei confronti dei cittadini.

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