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In attesa di Giustizia: dagli, dagli all’avvocato!

Non bastassero i toni da grida manzoniane, che la campagna elettorale aveva già assegnato al  tema della giustizia, la violenza sulle donne è tornata alla ribalta in seguito a gravissimi fatti di sangue e di molestie verificatisi sull’asse tra Macerata e Roma dove, da ultimo, una anziana senza tetto ha subito violenza – come pare – da un immigrato nordafricano.

A tacere di questi episodi, l’incandescente dialettica sull’argomento è stata rinfocolata dalle polemiche che sono seguite all’incidente probatorio celebratosi a Firenze nel processo in cui due carabinieri sono indagati per violenza sessuale con riferimento alle modalità con cui i difensori dei militari hanno gestito il contro interrogatorio delle presunte vittime.

Detto per i lettori non tecnici che l’incidente probatorio consiste in una anticipazione nella fase delle indagini di un passaggio tipico del dibattimento, cioè a dire l’interrogatorio davanti al Giudice ed in contraddittorio con il P.M., di testimoni o persone offese di un reato che non sia opportuno differire nel tempo. Nel caso che oggi ci interessa è stata stigmatizzata da un lato la durezza dei difensori nel porre domande alle ragazze, dall’altro si è enfatizzata la sensibilità del giudice nel porvi freno.

Si è scritto su autorevoli organi di stampa a diffusione nazionale che un simile modo di procedere comporta una vittimizzazione secondaria cioè a dire la sottoposizione a nuovi traumi, durante un processo, a chi abbia già subito un’offesa.

Sembrerebbe tutto ineccepibile ma…chi scrive (e verosimilmente neppure i redattori degli articoli cui si allude) non dispone degli atti integrali del processo la cui conoscenza sarebbe chiarificatrice per comprendere ed eventualmente condividere la scelta difensiva.  Invero, solo dall’insieme degli elementi di prova sin’ora acquisiti, che necessitano di una convalida o smentita proprio attraverso gli strumenti tipici previsti dal codice  può  valutarsi la fondatezza di un’accusa basata esclusivamente sulla parola di chi accusa e cui – pertanto – incombe l’onere di provare le proprie ragioni a fronte della presunzione di rango costituzionale di non colpevolezza  dell’accusato.

Proprio perché è carente in radice la conoscenza del fascicolo non appare condivisibile la scelta di schierarsi dalla parte di qualcuno, facendo solo chiacchiere da Bar Sport; tutto ciò, come anticipato, vale anche per chi scrive: tuttavia non può non osservarsi che un difensore ha  il compito di far emergere – laddove traspaia – l’infondatezza dell’accusa: e ciò non solo è possibile ma è doveroso farlo anche con ferma determinazione e durezza.

Si sappia che il codice che regola il processo penale prevede proprio che la prova si formi nel contraddittorio delle parti e che – quindi – il momento cruciale di un’attività difensiva risiede nel controesame dei testimoni ostili e nella capacità di condurlo nelle due modalità tipiche: costruttivo ma anche distruttivo, volto cioè a rappresentare se non il mendacio la scarsa attendibilità dell’accusatore.

Almeno sotto questo profilo qualcosa da imparare dagli americani ce lo abbiamo: nel loro sistema la cross examination è un istituto processuale rispetto al quale la competenza è stata affinata da epoca molto risalente e, per un confronto caratterizzato da forti analogie può essere l’interessante lettura dei verbali di “Florida vs. William Smith Kennedy” processo celebratosi del 1991 e che vide un rampollo della nota famiglia imputato di stupro davanti alla Corte della Contea di Palm Beach.

L’Avv. Black, suo difensore, partì da dei dati di fatto (proprio quelli che oggi noi non conosciamo in dettaglio) per dimostrare l’inverosimiglianza della ricostruzione fornita dalla presunta parte lesa, una giovane donna sottoposta per undici ore ad un interrogatorio che generò una tensione emotiva tale che alcuni giurati  svennero.

Pragmaticamente, si era scelto solo di provare a dimostrare che la vittima non poteva essere creduta a prescindere dalla prova provata di una falsità del narrato: concetti solo apparentemente simili.

Nessuno si stupì in quel caso, neppure i giurati che pronunciarono un verdetto di non colpevolezza e, forse, non ci dobbiamo stupire o – peggio – indignare nemmeno noi, men che mai qualora la conoscenza dei fatti e degli atti sia parziale, se gli avvocati fanno il loro dovere, nell’osservanza della legge non meno che nel rispetto del dovere che su di loro incombe di assolvere ad un impegno che è sacralizzato da canoni costituzionali. A tacer del fatto che, per restare, a quanto accaduto nell’incidente probatorio di Firenze, essendo un’udienza a porte chiuse, neppure sul contenuto dei magnificati interventi del Giudice vi sono dati di completezza.

Dare addosso ai difensori, peraltro, è un esercizio che sembra non esaurire risorse: dimenticando però che l’attesa di giustizia non può essere solo quella di una sentenza che individui un colpevole purchessia per placare la sete di vendetta sociale.

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