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Storie di spie e di influenze

Dove men si sa, più si sospetta

Niccolò Machiavelli

Domenica scorsa si sono svolte le elezioni presidenziali in Russia. Vladimir Putin ha vinto il suo quarto mandato presidenziale con un significativo risultato di 76,6% e con un’affluenza alle urne di circa 67% degli aventi diritto. Una sfida per Putin, che ha superato se stesso, riferendosi alle precedenti elezioni. Ma anche perché il suo avversario, l’oppositore Aleksei Navalny, il quale non poteva candidarsi a causa di una sua precedente condanna, ha chiesto ai suoi sostenitori di boicottare le elezioni. L’opposizione russa e alcune organizzazioni non governative hanno denunciato dei brogli, che sono stati considerati come non significativi da parte della Commissione Centrale Elettorale. Un risultato che rispecchia l’attuale realtà russa. Realtà che per molti noti analisti e opinionisti, nonché per i rappresentanti delle cancellerie occidentali e delle specializzate istituzioni internazionali, merita serie riflessioni e la massima attenzione. Soprattutto adesso, in un periodo in cui si stanno sviluppando diversi intricati scenari internazionali. Con la certezza dell’esito delle elezioni, Putin ha parlato davanti ai suoi sostenitori a Piazza del Maneggio, fuori dal Cremlino. Riferendosi al risultato raggiunto, lui vedeva “…il riconoscimento per quello che è stato fatto negli anni recenti, in condizioni molto difficili, vedo – ha aggiunto – la fiducia e la speranza del nostro popolo, che lavoreremo allo stesso modo duramente, responsabilmente e in modo più efficiente”.

Le elezioni in Russia si sono svolte in un periodo durante il quale si stanno appesantendo le accuse reciproche tra la Gran Bretagna e altri Paesi occidentali e la Russia stessa. Il motivo è l’avvelenamento di una spia russa e di sua figlia. Accadeva il 4 marzo scorso a Salisbury, in Gran Bretagna. Si presume che i servizi segreti della Russia abbiano usato una sostanza chimica, chiamata Novochok, un agente nervino. Le reazioni da parte dei più alti livelli della politica internazionale sono state immediate e forti. La premier britannica Theresa May dichiarava il 7 marzo scorso in Parlamento che “…è altamente probabile che Mosca sia responsabile del tentato omicidio di Serghej Skripal nel centro di Salisbury”. Ferma è stata la May, anche riferendosi al futuro dei rapporti con la Russia, dichiarando “…mai più affari come al solito [business as usual; n.d.a.] con la Russia!”. Il 13 marzo scorso la stessa premier May ha chiesto alla Camera dei Comuni severe misure nei confronti della Russia, mentre il segretario agli Esteri britannico, Boris Johnson, ha accusato il Cremlino, dichiarando che l’avvelenamento di Salisbury “…è un modo per dire alle persone: ecco cosa succede a opporsi al nostro regime”. In seguito sono arrivate anche le decisioni, sia della Gran Bretagna prima, che della Russia subito dopo, dell’espulsione di 23 diplomatici russi dall’Inghilterra e di altrettanti diplomatici britannici dalla Russia. Nel frattempo a fianco della Gran Bretagna si sono schierati la Francia, la Germania, gli Stati Uniti e altri Paesi europei. Trump firma insieme con Macron, Merkel e Theresa May una dichiarazione che accusa Mosca di aver “…avvelenato con gas nervino l’ex spia russa Sergej Skripal e la figlia Yulia a Salisbury” il 4 marzo scorso.

Da mesi ormai negli Stati Uniti d’America i massimi vertici politici e non solo si stanno accusando a vicenda di coinvolgimento in quello che è stato chiamato “Russiagate”. Si tratta di presunte influenze dei servizi segreti russi nelle elezioni presidenziali staunitensi dell’8 novembre 2016. Ma si parla anche di altre interferenze e di rapporti occulti, tra alti esponenti politici del Cremlino e dei servizi russi, con delle persone molto vicine, sia del presidente Trump, che di Hillary Clinton, sua rivale alle ultime elezioni del novembre 2016. Sullo scandalo “Russiagate” sta indagando da mesi anche il procuratore speciale Robert Mueller. Indagini che continuano, mentre tutti attendono l’esito. Nel frattempo però, la Commissione per i Servizi di Intelligence del Congresso statunitense, riferendosi sempre allo scandalo delle influenze russe, ha dichiarato il 12 marzo scorso che “…non è stato trovato nessun fatto o prova che poteva dimostrare l’interferenza russa nella campagna [elettorale] di Trump e, perciò, la fase delle domande in questa indagine è stata conclusa”. Sempre nello stesso ambito, la scorsa settimana il segretario del Tesoro statunitense accusava i vertici dei servizi segreti militari russi di “…aver inquinato la campagna elettorale del 2016” e di “…aver condotto attacchi informatici devastanti contro infrastrutture strategiche degli Stati Uniti”. Ma allo stesso giorno il procuratore speciale Mueller imponeva alla “Trump Organization” di consegnare tutti i documenti che, in qualche modo, potrebbero essere collegati con le influenze russe. Ovviamente che il caso continuerà ad essere sotto inchiesta negli Stati Uniti, fino ad un definitivo chiarimento di quanto sia veramente accaduto.

In Albania, da più di una settimana, alcuni media controllati dal primo ministro, nonché la propaganda governativa e alcuni alti rappresentanti del partito socialista al potere, stanno accusando il partito democratico, il maggior partito dell’opposizione, di pagamenti illeciti per un’attività lobbistica negli Stati Uniti d’America. Attività avviata nel marzo 2017 e che avrebbe mirato all’appoggio dell’amministrazione Trump al partito democratico albanese e al suo capo, durante le elezioni politiche del giugno 2017. Sono state rese pubbliche anche le copie di alcuni contratti, pubblicati da una rivista dell’ultra sinista statunitense, finanziata anche da George Soros, un noto sostenitore politico e non solo, dell’attuale primo ministro albanese. Secondo la propaganda governativa, in quei contratti ci sarebbero degli occulti appoggi finanziari russi per influenzare gli sviluppi politici in Albania. Sempre e ovunque i russi! Una buona scelta per attirare e/o spostare l’attenzione. Naturalmente si tratta di un caso che, se risultasse vero, sarebbe uno scandalo e un grave colpo per l’opposizione albanese. Ma ovviamente saranno le indagini della procura e il tribunale, senza “condizionamenti” dal governo, a valutare e giudicare la veridicità delle accuse sopracitate. E non certo la propaganda governativa e i media controllati del primo ministro. Anche perché quest’ultimo sta passando un brutto periodo, dopo tanti scandali resi noti pubblicamente che lo coinvolgerebbero direttamente, almento per responsabilità istituzionali. Gli sviluppi del caso, a tempo debito, saranno oggetto di altre analisi.

Chi scrive queste righe valuta, però, che sono non poche le incongruenze legate alle sopracitate accuse. Ma lui è altrettanto convinto che l’opposizione, invece di pagare ingenti somme per delle attività lobbistiche, che come risultato hanno una fotografia con il presidente degli Stati Uniti, potrebbe fare ben altre cose per essere veramente un’opposizione convincente. Finora e da qualche tempo, purtroppo, non lo sta facendo. Chi gode di tutto ciò è il primo ministro e il “mondo di mezzo” che gli sta attorno.

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