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Tutela normativa: da opportunità a vincolo

Può sembrare incredibile come la tutela o perlomeno la presunta tutela spacciata dalla compagine governativa possa trasformarsi da strumento valorizzatore della filiera del made in Italy in vincolo e fattore anticompetitivo. Probabilmente o, meglio, purtroppo il governo spinto da una voglia e da una smania di dimostrare la propria attività dopo il disastro del semestre di presidenza dell’Unione Europea ha varato queste nuove normative relative alla filiera nel settore della pasta e del riso (che imporrebbe l’utilizzo di solo grano italiano per ottenere made in Italy) e quasi contemporaneamente ha  imposto l’aumento della percentuale di arancia nelle produzioni delle aranciate industriali.

Paradossale poiché questa iniziativa relativa anche al riso risulti successiva alla decisione di togliere i dazi all’importazione di riso vietnamita esponendo in questo modo l’intero settore della risicoltura italiana a prodotti espressione di dumping economico, igienico, sociale e normativo. Dimenticando, anzi, peggio, omettendo come la materia relativa alla disciplina del made in risulti di competenza esclusiva dell’Unione europea e che, di conseguenza, ogni normativa all’interno del singolo Stato possa essere ritenuta valida solo per le aziende nazionali.

Viceversa, gli operatori internazionali possono bellamente bypassare questa nuova normativa trasformando così l’iperattivismo normativo (vecchia problematica della politica italiana con 250.000 leggi) in un ulteriore fattore anticompetitivo per le aziende nazionali. Forse il governo, in pieno delirio normativo, era convinto che valesse il principio della sussidiarietà tanto caro alle compagini autonomiste ma assolutamente  non contemplato nella attribuzione delle competenze legislative nell’Unione europea.

Per inquadrare la paradossale situazione normativa aiuta infatti rimarcare come la titolarità e la potestà legislativa relativa al made in risulti di attribuzione dell’Unione europea e non dei singoli stati. Quindi ogni iniziativa normativa in materia deve presentare un respiro ed una valenza europea.

Logica conseguenza di queste divisioni delle potestà legislative tra singoli stati ed Unione Europea è che ogni imposizione normativa che venga attuata sul territorio italiano in relazione alla tutela, o presunta tale, dei prodotti risulti valevole solo ed esclusivamente per le aziende che operano nel territorio italiano non certo per le imprese industriali estere che esportano i propri prodotti nel mercato italiano. In questo contesto, e dimostrando una grande intelligenza, il pastificio De Cecco ha avviato una campagna di sensibilizzazione relativa al proprio prodotto indicando i luoghi di provenienza del grano (Italia Francia Australia Arizona Usa) al fine di valorizzare il processo di trasformazione italiano che rende la pasta italiana unica al mondo. Mediando il principio dello Swiss Made, che tutela la produzione del famoso cioccolato senza possedere la Svizzera all’interno del proprio territorio un unico campo coltivato a cacao e tutelando perciò il processo di trasformazione come vero valore aggiunto.

Tale mancanza di sussidiarietà normativa fa emergere ancora una volta l’assoluta incompetenza sia dei vari ministri che hanno varato queste nuove norme quanto degli economisti ed accademici che non hanno compreso il valore disastroso di questa iniziativa legislativa al solo fine di spacciarla come un’azione di tutela e quindi semplicemente mediatica. Un iperattivismo normativo e comunicativo che ha avuto come unico risultato quello di favorire i prodotti di importazione che arrivano dall’Unione Europea che godono di un vantaggio competitivo rispetto alle aziende italiane le quali invece a queste norme risultano sottoposte.

In più, entro la fine dell’anno, dovrebbe entrare in vigore una nuova normativa relativa all’etichettatura dei prodotti obbligando le aziende a cambiare ulteriormente il proprio packaging e la dichiarazione dei prodotti. Ancora una volta viene spacciata un’iniziativa normativa a favore  delle nostre aziende e soprattutto a tutela dell’intera filiera nazionale che interviene nella realizzazione del prodotto finito, espressione della cultura italiana intesa come sintesi felice di know how industriale, capacità professionali e creatività. Un’iniziativa che viceversa si rivela come ulteriore fattore anticompetitivo legato ad una profonda incompetenza di chi l’ha pensata e trasformata in normativa, riuscendo in una follia tutta nostrana come sintesi ed espressione della nostra cultura politica ed economica che riesce nell’arduo compito di trasformare un un’opportunità come la tutela made in Italy in vincolo.

Una contraddizione tra intenzione ed effetto reale che dimostra l’esistenza di una classe politica assolutamente incapace anche solo di conoscere le reali esigenze delle aziende che operano nel made in Italy reale ma anche le singole competenze ed attribuzioni normative tra l’Italia e l’Unione Europea.

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