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Il pericolo che gli uomini siano sempre più simili a robot

Siamo partiti dalla casa domotica, la casa che ci avrebbe evitato problemi e sperperi: tutto collegato, tutto computerizzato. Poi abbiamo scoperto, troppo tardi per chi aveva creduto nell’abitazione avveniristica, che gli elettrodomestici non solo parlavano tra di loro per organizzare la nostra vita, non solo le luci si accendevano e spegnevano autonomamente al passaggio delle persone, ma anche che il sistema di connessione tra i vari impianti poteva essere, in qualunque momento, sotto la mira di hacker o di qualcuno che voleva impadronirsi dei nostri dati sensibili e che addirittura le notizie potevano essere captate ed utilizzate per organizzare i nostri consumi e per fare conoscere anche quello che non volevamo si sapesse.

La meravigliosa possibilità di localizzare con i satelliti la nostra macchina rubata o di verificare dall’alto lo stato del nostro campo di grano dopo la grandine ha però anche portato il satellite a vedere dentro il nostro giardino mentre vorremmo godere di quella privacy tanto sbandierata e per la quale paghiamo anche il Garante nazionale ed europeo. Mentre ospitiamo in casa nostra amici e conoscenti, non immaginavamo che alcuni di questi facessero  foto e, pubblicandole sui loro facebook, facessero conoscere a centinaia di migliaia di persone quello che è il luogo più intimo per ogni persona: la propria abitazione.

Un passo tira l’altro ed eccoci ai robot, ottimi per situazioni di guerra o di pubblica sicurezza e forse magari un domani per velocizzare la consegna di documenti od oggetti in modo più veloce ma certamente poco simpatici se il drone del vicino ti spia e ancora meno simpatici se un domani l’ufficio delle imposte, sempre a caccia di soldi, si mettesse a sbirciare nelle nostre abitazioni e ad ascoltare i nostri discorsi (sistema già utilizzato per aggiornare il catasto con foto dall’esterno). Robot utilissimi se utilizzati in alcuni ambiti sanitari ma che diventano veramente inquietanti quando pensiamo a Jeff Bezos, titolare di Amazon, a passeggio col suo cane robot SpotMini. Se la strada della tecnologia esasperata ci deve portare a sostituire il calore e l’affetto di un cane e di un gatto con un pezzo di metallo che cammina, senza sapere peraltro se camminerà sempre su nostro comando o non diventerà nel tempo autonomo, siamo arrivati a un punto che pone serie preoccupazioni. Se è vero infatti che mancano infermieri nei nostri ospedali, specie per le cure dei lungo degenti, è terribile da immaginare che un malato, e ancor più un malato anziano, debba vedere al suo capezzale una struttura di metallo e non un essere umano, visto che la cura di ciascuno non è legata soltanto ai farmaci ma anche alla possibilità di trovare attenzione ed empatia.

La notizia apparsa qualche mese fa di due complessi computer che si era provato a far dialogare tra loro e che a metà dell’esperimento avevano abbandonato la lingua programmata per parlare una sorta di loro ‘dialetto robotico’, incomprensibile a tutti i programmatori, la dice lunga su cosa potrebbero fare non tanto e non solo i robot di casa ma i robot nelle fabbriche o addestrati militarmente.

In un articolo dello scorso febbraio, ‘Chi ha paura dei robot?’, Massimo Sideri, oltre a citare Freud rispetto alla paura che si ha de ‘il perturbante’, evidenzia anche che prima di preoccuparci dei robot dovremmo avere più timori per l’esplosione di attacchi informatici, ‘che non rendono più sicure le nostre informazioni, la capacità delle tecnologie di influenzare almeno in parte le elezioni di un grande Paese come gli Usa, la perdita di conoscenze e capacità mnemoniche legate al nostro continuo abuso della tecnologia, il ciberbulismo, ecc..’. La verità è che queste paure derivano proprio da un uso smodato e scorretto della tecnologia e della ricerca e che a fronte dei problemi citati da Sideri e ad altri altrettanto gravi, quali i problemi sanitari che derivano dall’eccessivo uso di smartphone e computer, dal rachitismo dei bambini non più capaci di giocare ai problemi di mano e vista per l’uso del mouse e le troppe ore davanti al monitor, si aggiunge l’effettiva incapacità, per le nuove generazioni, di sviluppare la fantasia, che evolve notoriamente nella prima infanzia attraverso il gioco frutto dell’inventiva e non attraverso il gioco proposto da altri sul computerino. La conseguenza è l’incapacità di relazionarsi con le persone reali. Infatti si balla da soli e si comunica tramite messaggi via Twitter o email ma quando ci si incontra ognuno smanetta sul suo attrezzo e non è in grado di confrontarsi oralmente con la stessa persona con la quale si era messaggiato. L’incapacità di far di conto mentalmente e di fare analisi politica, per chi ci dovrebbe governare, sono solo due dei tanti aspetti negativi che il mondo robotizzato ci sta proponendo senza che ci sia la volontà di trovare una giusta e sana via di mezzo che consenta di avere benefici senza abusi tecnologici.

Un altro aspetto del problema, in una società nella quale è sempre più emergente il problema della mancanza di lavoro, sono quei sistemi che tolgono ulteriori posti di lavoro, pensiamo alle casse automatizzate, dai grandi magazzini alle banche, che portano l’utente a dover svolgere lui stesso un servizio per il quale ha pagato, con la conseguente perdita del lavoro per molti.

In sintesi perciò non c’è da avere paura dei robot, ma c’è da avere paura di quegli esseri umani che stanno disumanizzando l’umanità, come dimostrato dalla sempre più forte anafettività, superficialità e mancanza di empatia che stanno travolgendo la nostra società.

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