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Brexit: la conferma indiretta del reshoring

Dal momento della sorpresa per l’esito del referendum che stabilì l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa non risulta un commento o una previsione da parte del mondo economico, accademico e politico europeo, Italia inclusa, che abbia saputo valutare o perlomeno prevedere gli esiti economici di tale referendum. Si è assistito ad un fiume di dichiarazioni che prevedevano il disastro economico e finanziario unito a quello immobiliare (per la sola città di Londra), a cominciare dal Presidente del FMI Christine Lagarde alla quale si sono accodate via via tutte le compagini politiche ed economiche italiane ed europee.

Ricordo di aver scritto un pezzo nel quale avanzavo dei dubbi relativamente agli eventi catastrofici che avrebbero dovuto attendere l’economia inglese semplicemente proponendo due fattori economici molto importanti. La Gran Bretagna innanzitutto non faceva parte dell’Euro, di conseguenza gli effetti economici dell’esito sorprendente del referendum si sarebbero rivelati molto più limitati rispetto a quelli di un altro paese che avesse fatto parte della moneta unica. A questo si aggiunga che il rapporto tra debito pubblico e PIL due anni fa risultava al 89%, assolutamente sostenibile e di conseguenza poteva far prevedere un’uscita tutto sommato indolore per l’economia  anglosassone.

Arriviamo però ad un terzo conclusivo e fondamentale fattore economico: ricordavo come  il primo ministro Cameron avesse investito oltre 400 milioni di sterline al fine di favorire il “reshoring produttivo”, cioè la riallocazione di produzioni una volta delocalizzate nei paesi dell’est Europa o in  estremo Oriente. Una strategia talmente fondamentale ed importante proprio in rapporto agli effetti  sostanziali per la crescita economica britannica che dovrebbe fungere da esempio per le politiche economiche italiane. L’unico che riconobbe la mia posizione come una vera rarità fu Riccardo Ruggeri che mi citò  nel suo intervento su Italia Oggi mentre oggi i suoi acuti interventi sono leggibili all’interno del quotidiano La Verità.

Tornando al reshoring produttivo, tale strategia economica di sviluppo, che riporta centrale il mondo dell’industria realizzata dal governo Cameron oltre quattro anni addietro, sta ottenendo il proprio risultato come viene confermato dagli investimenti sul territorio inglese delle aziende italiane di macchinari utensili e macchinari di precisione. Dall’economia inglese infatti si sta assistendo ad un nuovo impulso legato alle aziende che hanno riallocato la loro produzione e quindi stanno investendo nell’innovazione di processo utilizzando di conseguenza il know-how di primissimo livello italiano. Questo dimostra, ancora una, volta come l’intera nomenclatura economica europea ed italiana abbia clamorosamente fallito ogni previsione relativa agli esiti economici della Brexit, tanto è vero che a due  anni di distanza, una volta stabilizzate le incertezze legate alla situazione economico-politica assolutamente nuova del  mercato inglese, il sistema economico britannico sta ricominciando ad investire come a diventare un mercato di sbocco per le nostre produzioni di alto livello. Infatti il vero costo della Brexit è oggi legato all’incertezza della situazione assolutamente nuova ed unica, ammortizzata tuttavia dagli investimenti di governi precedenti all’esito del referendum.

Ancora una volta emerge come le competenze espresse dalle organizzazioni economiche internazionali e nazionali abbiano dimostrato la propria impreparazione ma soprattutto l’incapacità di scindere le proprie convinzioni politiche dalle valutazioni economiche al fine di elaborare un pensiero economico il più possibile obiettivo. Convinzioni ed appartenenze a determinati ambiti politici che probabilmente hanno causato anche la loro ascesa a tali incarichi internazionali e nazionali. Una ulteriore conferma indiretta del declino culturale del nostro Paese e dell’Europa nella sua articolata complessità.

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