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La visita di Moavero Milanesi al generale Haftar a Bengasi

Necessaria e positiva ma non ancora risolutiva

Il recente viaggio in Libia del ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, si inserisce in una situazione divenuta nuovamente esplosiva, dopo un periodo relativamente statico, senza attentati e senza attacchi armati tra una fazione e l’altra. Il governo Gentiloni si era dato molto da fare, senza riuscirci del tutto, per stabilizzare la situazione e non era stato in grado di conciliare le due fazioni più influenti: quella del Primo ministro Fayez al Sarraj, di stanza a Tripoli con il suo governo e con il Parlamento, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dal governo italiano, e quella del generale Khalifa Haftar, di stanza a Bengasi in Cirenaica, sostenuto dal governo di Parigi. Ora il caos sembra ritornato e una nuova milizia, il Movimento giovani di Tripoli, ha attaccato con razzi l’aeroporto della capitale, che è stato chiuso e spostato in quello di Misurata, distante 187 chilometri.

L’inviato dell’ONU in Libia, Ghassan Salamè, ha auspicato la revisione degli accordi di sicurezza per Tripoli, riducendo l’influenza dei gruppi che usano le armi per i loro interessi particolari e che si sono abbandonati al saccheggio dello Stato, dei privati cittadini e delle istituzioni sovrane. Oltre all’aeroporto, un altro attacco è stato portato alla sede della “Noc”, la compagnia petrolifera nazionale libica, a Tripoli, minacciando di colpire anche i pozzi di petrolio. Lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco il 10 settembre scorso, confermando che “i giacimenti di petrolio che sostengono i crociati e i loro progetti in Libia sono un obiettivo legittimo dei mujaheddin e i giorni a venire ne saranno testimoni”.

In questo contesto burrascoso la visita di Moavero a Khalifa Haftar conferma la volontà dell’Italia di tenere aperto il dialogo con tutti, per evitare la caduta definitiva del Paese nelle mani delle milizie jihadiste. I buoni rapporti stabiliti con Il Cairo e quelli ormai consolidati con gli Emirati Arabi Uniti, entrambi sponsor di Haftar, hanno contribuito a vedere in Haftar un possibile interlocutore per garantire il ritorno della pace in Libia ed il raggiungimento di un equilibrio tra i due maggiori leader anti jihadisti, al Sarraj e Haftar, appunto. Moavero ha avuto a Bengasi un lungo e cordiale colloquio con Haftar. In un clima di consolidata fiducia “in cui vi è stata ampia convergenza per un’intensa cooperazione e sul comune impegno per una Libia unita e stabile”. Moavero ha auspicato che “ i cittadini libici devono essere messi in grado di esercitare la propria sovranità e di poter decidere liberamente il proprio destino”. Il riferimento è chiaramente rivolto alla Francia che vorrebbe le elezioni nel prossimo dicembre, mentre l’Italia considera che attualmente non vi sono le condizioni di sicurezza e di intesa nazionale necessarie. Haftar, tuttavia, ha espresso a Moavero il suo apprezzamento per l’impegno di politica estera dell’Italia, impegno ritenuto imprescindibile per la Libia, grazie anche alle svariate e articolate iniziative e proposte che lo caratterizzano. Il generale inoltre ha aggiunto di “essere pronto a dare il suo contributo per supportare attivamente la sicurezza, la stabilizzazione e il dialogo del Paese, per il bene di tutti i libici”. Un netto passo avanti, quello di Haftar, rispetto ad una recente intervista in cui definiva l’Italia come “il nemico”, minacciando un golpe militare contro “i terroristi” di Tripoli. Riavvicinamento concreto o solo di facciata? Una risposta l’avremo in novembre alla Conferenza internazionale sulla Libia ospitata in Italia. Se Haftar non vi partecipasse la conferenza perderebbe ogni significato, ma l’Italia, ciò nonostante, è costretta dai suoi interessi a perseguire un doppio obiettivo: da un lato coinvolgere Haftar per trovare un’intesa con Tripoli che favorisca la nostra ex colonia, ma dall’altro mantenere un saldo appoggio al governo di Al Serraj, perché in Tripolitania abbiamo i nostri interessi energetici ed è da quelle coste che si configurano le continue minacce dei flussi di immigrati illegali. Ma non si possono fare i conti senza la Francia che ha dimostrato di volersi interessare della Libia addirittura con una guerra disastrosa. Macron non mollerà la presa, ma dovrà rendersi conto che non potrà aspirare ad una leadership in Europa se nello stesso tempo vorrà perseguire una politica coloniale a suo uso e consumo in Africa, aggiungendo anche la Libia ai 14 Stati ex colonie, che già controlla accuratamente.

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