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In attesa di Giustizia: sezione doppio zero

Nel corso del fine settimana ha fatto scalpore la notizia della conferma della condanna di Mirko Franzoni a nove anni e quattro mesi, da parte della Corte d’Assise di Appello di Brescia.

Questo il fatto che ha ulteriormente alimentato il dibattito su una presunta, necessaria, modifica estensiva della legittima difesa: nella notte del 14 dicembre 2014, l’uomo aveva inseguito e ucciso – sparandogli da distanza ravvicinata –  un ladro che si era introdotto nella casa del fratello.

Per quanto è dato sapere, la linea difensiva si sarebbe, peraltro, basata sulla occasionalità dell’evento determinato da un colpo partito accidentalmente e che ha fatto sostenere la tesi dell’omicidio colposo, punito molto meno severamente di quello volontario; all’epoca dei fatti, invero, quando Franzoni fu arrestato, ci furono manifestazioni di solidarietà da parte dei concittadini che ne reclamavano la liberazione, il riconoscimento della legittima difesa, promuovendo una raccolta fondi per contribuire alle spese di assistenza legale.

In un caso come questo, pur senza conoscere nel dettaglio gli atti processuali, deve escludersi che il comportamento possa essere scriminato posto che lo sparo micidiale fu esploso nei confronti di un soggetto che era ormai in fuga e disarmato, a distanza di tempo dalla intrusione domestica, senza che si rappresentasse alcun rischio per l’incolumità dell’inseguitore. Nessun bilanciamento era dunque possibile tra i beni protetti: patrimonio, messo oggettivamente a repentaglio, e vita o quantomeno incolumità fisica del derubato, che non correva alcun rischio. Prudente ed oculata, pertanto, la scelta di orientare la difesa sulla fortuità della esplosione del colpo di fucile anche se – evidentemente – sono stati i rilievi balistici effettuati a condurre la Corte a conclusioni diverse.

Resta il fatto che nell’immaginario collettivo, nella opinione pubblica (o almeno parte di essa) la reazione di Franzoni è stata vista come giustificabile anche se dovrebbe apparire evidente agli occhi di chiunque che non lo è: tutt’al più comprensibile nella misura in cui è caratterizzata da un momento di impeto e non da una malvagia spinta omicida, il che spiega la pena sostanzialmente mite e vicina al minimo previsto dalla legge.

Sono, però, proprio queste pulsioni, queste ansie collettive che alimentano il dibattito su un allargamento del perimetro dell’autodifesa e con esso della disponibilità a detenere armi per l’impiego delle quali, poi, non è detto che si abbia la necessaria competenza e freddezza.

La normativa attuale sulla legittima difesa, va detto, consente margini già ampi di valutazione anche nel caso in cui sia soltanto putativa: cioè a dire nel caso in cui l’aggredito ritenga di correre un rischio nel concreto insussistente. Per esempio laddove veda l’aggressore portare la mano sotto gli indumenti come per estrarre un’arma e reagisca, anticipando il pericolo, sparando per primo.

Quello che non è consentito è la vendetta, la reazione eccessiva a fronte di un pregiudizio subito o imminente a un bene il cui parametro di protezione sia inferiore a quello declinato dall’articolo 32: unico tra tutti quelli costituzionalizzati definito come fondamentale e che attiene alla salute, con essa alla integrità fisica e alla vita stessa.

Ogni allargamento della disciplina vigente rischia di indurre una spirale di violenza ingiustificata e pericolosissima perché la risposta armata dell’aggredito temuta dall’aggressore allenterebbe i freni inibitori di quest’ultimo sin dall’inizio della sua condotta illecita.

Non abbiamo bisogno di una Sezione Doppio Zero nel codice penale: nemmeno quella del MI6 descritta da Ian Fleming nel contesto della Guerra Fredda altro non era che frutto di immaginazione. Abbiamo bisogno di Giustizia.

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