In attesa di Giustizia: la bandiera della libertà
Gli avvocati, come noto, non godono di grande popolarità: visti come cavillosi mestatori intenti a fare mercimonio della professione per assicurare impunità ai colpevoli nei processi penali e ragioni non dovute alla parte assistita negli altri settori della giurisdizione.
La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del giudizio, recita la nostra Costituzione e – con le inevitabili eccezioni – il ministero degli avvocati è svolto con lealtà e rispetto della legge con l’obiettivo principale di far rispettare le garanzie che ad ognuno spettano in ogni sede giudiziaria.
Paradigma della sacralità della funzione difensiva è l’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh: impegnata nella difesa di attivisti, oppositori di regime e donne iraniane arrestate per il solo fatto di essersi tolte il velo in pubblico, ha vinto il Premio per la Scrittura per la Libertà nel 2011 e il Premio Sakharov per la libertà di pensiero l’anno dopo.
Già arrestata e condannata nel suo Paese per aver cooperato con il Centro di difesa per i Diritti Umani, è stata nuovamente catturata e processata per reati contro la sicurezza nazionale, per tali intendendosi il suo quotidiano contrasto a qualsiasi forma di autoritaria compressione della libertà: lo scorso mese è stata condannata a trentotto anni di carcere e centoquarantotto frustate da infliggersi in pubblico affinché sia di esempio.
Poco si sa del processo a carico di Nasrin Sotoudeh se non che non è stato sostanzialmente consentito un contraddittorio e, quindi, la difesa stessa è stata mutilata irrimediabilmente.
Una donna a difesa della libertà, delle donne e non solo, dei diritti fondamentali di tutti che paga con la sua libertà ed il suo sacrificio, un’autentica martire immolatasi sapendo a cosa andava incontro in una battaglia disperata per la giustizia nel suo Paese dove, diversamente da noi, non c’è neppure attesa. Non c’è e basta.
Un esempio per chiunque, una vicenda di cui si parla poco o nulla un grido nel silenzio sulle atrocità che questa donna coraggiosa ha combattuto da sempre.
In un mondo globalizzato dove qualsiasi accadimento, anche il più banale e dal più remoto dei luoghi sembra riverberarsi come un’onda d’urto sull’intero pianeta di vicende come queste l’opinione pubblica di interessa poco e punto e le coscienze che si smuovono non sono molte.
Tra queste quelle dei suoi Colleghi, degli Avvocati con la A maiuscola, di coloro che preferiscono essere chiamati difensori perché rende meglio l’idea; la mobilitazione è massiccia, simbolicamente tre Camere Penali (Roma, Milano e Brescia) hanno già iscritto come socia onoraria Nasrin Sotoudeh, le altre 127 si stanno muovendo in tal senso e – tra le altre iniziative – il 18 aprile ci sarà un flash mob degli avvocati milanesi: in toga davanti al Consolato della Repubblica Islamica dell’Iran a reclamare la liberazione dell’avvocata.
Servirà, non servirà? Un significato profondo, tuttavia, questa manifestazione lo esprime: quelle toghe provocatoriamente indossate saranno un simbolo di libertà e di amore, estremo visibile di chi porta nel cuore il destino dei più deboli e degli oppressi, un vessillo che nessuna violenza può ammainare, se mai rendere ancora più orgoglioso chi lo veste con dignità, coraggio, e quotidianamente si impegna nell’interesse di quella Giustizia che deve essere vista non come strumento repressivo bensì come una categoria dello spirito, comportante vincoli etici ed indicazioni culturali inderogabili.