Europa

Theresa May si dimetterà il 7 giugno

Che faranno i suoi successori?

Dopo mesi di tira e molla, dopo numerosi tentativi da parte del suo partito di farla dimettere, dopo le innumerevoli richieste d’abbandonare il governo da parte dell’opposizione laburista, dopo i velenosi articoli della stampa contro la sua testardaggine a non voler rinunciare al governo, dopo innumerevoli dichiarazioni ostili nei suoi confronti e altrettanti ripensamenti, dopo le numerose dimissioni di ministri contrari alla sua linea politica ed all’accordo stabilito con l’UE, dopo le tre votazioni contrarie del parlamento sul compromesso stabilito con l’UE per evitare il no deal, Theresa May ha annunciato stamattina che si dimetterà il 7 giugno, a causa del fallimento di tutti i suoi tentativi di far passare l’accordo per l’uscita del RU dall’Unione europea. Era dunque una dimissione attesa, che però in queste ultime settimane era stata smentita più volte. Lei stessa aveva dichiarato che se ne sarebbe andata se fosse stato accettato l’accordo sull’uscita da lei concordato con l’UE. Ora se ne va, proprio perché l’accordo non è stato accettato dalla maggioranza del parlamento e da una larga parte di deputati del suo partito. Nel discorso in cui ha annunciato le sue dimissioni ha espresso un grande rimpianto per non essere riuscita a portare Brexit a compimento e ha ricordato che durante la sua permanenza al governo, dopo le dimissioni di Cameron, il deficit e la disoccupazione sono stati ridotti e che ha fatto tutto quanto era possibile per convincere, senza riuscirci, i parlamentari a trovare un accordo. Nel ringraziare per l’onore avuto nel guidare il governo, la voce le si è rotta in gola e certamente l’emozione le ha impedito di proseguire. Se n’è tornata rapidamente nella sua residenza, al 10 di Downing Street. Non ha avuto vita facile a questo indirizzo, con il parlamento sempre contro e con una buona parte dei suoi colleghi di partito che non hanno condiviso le sue scelte politiche. Un accordo con la dirigenza dell’UE lei, comunque, era riuscito ad ottenerlo, mentre il parlamento, nel respingere a maggioranza le sue proposte, non è mai stato in grado di proporre scelte alternative, diviso com’è sulla questione Brexit e all’interno degli stessi partiti ora maggioritari, i Conservatori e i Laburisti. Non conosciamo ancora, mentre scriviamo questa nota, l’esito del voto europeo che nel Regno Unito ha avuto luogo ieri, ma se le previsioni della vigilia si avvereranno, questi due partiti saranno probabilmente penalizzati dagli elettori. Se lo saranno meritato questo trattamento. Le loro divisioni interne li hanno indeboliti e resi incapaci di esprimere maggioranze, con conseguenze che riguardano tanto il futuro del RU, quanto quello dell’UE. Uscire dall’Europa senza un accordo sul dopo significa per la Gran Bretagna affrontare un futuro incerto e pieno di sfide, significa però, anche, una ulteriore debolezza per l’affermazione di una politica estera europea, oltre che ulteriori difficoltà per l’economia dell’UE. I tentativi della May, detti testardi dai suoi detrattori, per uscire con regole definite per il dopo, sono stati apprezzabili, sono stati uno sforzo encomiabile per evitare il caos. La “testardaggine” è stata l’ultima barriera contro la confusione e il disordine. Soltanto a Brexit conclusa si potrà valutare con obiettività il percorso del governo May su questo tema e giudicare serenamente la qualità del lavoro del Primo ministro per evitare il peggio e per mantener fede al risultato del referendum del 2016. La May s’è presa tutta la responsabilità del suo operato. Si può dire altrettanto del parlamento, che non ha fatto nessuna scelta? O del capo dell’opposizione, Corbyn, che ha sempre detto di no, senza mai proporre alternative, se non richiedere le dimissioni del Primo ministro e nuove elezioni politiche? Dov’erano le soluzioni per la Brexit in questi atteggiamenti? A urne chiuse, ciascuno trarrà le conclusioni che gli convengono, ma ridurre il tutto alla “testardaggine” della May ci sembra una scorciatoia impraticabile che non porta da nessuna parte. Con le dimissioni della May i problemi rimangono e la loro soluzione sarà affidata ai nuovi dirigenti che prenderanno il suo posto e che dovranno rispondere alle stesse domande: accordo o non accordo? Uscita dura o morbida? La responsabilità della May aveva scelto un accordo per un’uscita morbida. Vedremo che faranno i suoi successori.

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