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Detenuto muore nel carcere di Lecce sniffando gas

Un detenuto brindisino di 40 anni è morto nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce. Da quanto emerso l’uomo si sarebbe tolto la vita inalando il gas di una bomboletta da campeggio in dotazione. Il suicidio sarebbe avvenuto qualche giorno fa in cella dove era recluso per scontare una condanna per droga. Il brindisino era stato destinato alla seconda sezione del reparto circondariale C1, denominata Reis, il reparto a elevato indice di sicurezza.
Come rivela ADUC – Notiziario Droghe, a dare notizia del fatto è stato il vice segretario regionale del sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria, secondo il quale permangono condizioni di criticità all’interno del carcere leccese. L’uomo avrebbe dimostrato problemi di adattamento al sistema carcerario e di convivenza con altri reclusi.
«L’episodio fa emergere ancora una volta le criticità del sistema penitenziario», ha detto Ruggiero Damato vice segretario dell’Osapp. “La gravissima carenza di polizia penitenziaria soprattutto nel ruolo di agenti/assistenti che sottopone gli agenti a turni massacranti che variano dalle 8/10/12 ore consecutive, spesso senza avere la possibilità di consumare una bevanda fresca visto anche la chiusura del locale spaccio da circa due anni». Damato ha anche rimarcato la mancanza di supporti informatici e di sorveglianza per il controllo di «soggetti con problemi di adattamento al sistema penitenziario». «Anche se dotati di tutta l’umanità possibile e di tutta la buona volontà, gli agenti non riescono a far fronte alle carenze del sistema e questo incide sulla serenità nell’effettuazione delle loro mansioni», ha aggiunto. «Ogni perdita di vita è una sconfitta per tutto il sistema penitenziario», ha concluso Damato secondo il quale tragedie come quella consumata nel carcere di Lecce segnano per sempre gli stessi agenti della polizia penitenziaria. «Purtroppo gli agenti sono considerati poliziotti di manovalanza a basso costo», ha scritto lanciando un appello alle autorità. Il sindacato punta il dito verso le autorità, dal ministro al capo del Dap, sino ad arrivare a dirigenti a vari livelli: «Avere una polizia penitenziaria più motivata, incentivata e rispettata, farebbe bene agli agenti e ai detenuti».

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