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1987 Common rail, 2018 Magneti Marelli: le pericolose similitudini

L’obiettivo di chi gestisce una S.p.A quotata in borsa, semplificando, ovviamente, al netto della questione delle stock options riservate al management, è quello duplice di creare valore da distribuire attraverso la propria quota azionaria ai sottoscrittori del capitale e contemporaneamente riuscire ad aumentare il valore nominale delle azioni stesse accrescendo, in questo modo, il valore  patrimoniale dell’azienda stessa.

In un mercato complesso, articolato e globale come quello attuale, è evidente come la politica di questa tipologia di  azienda quotata in borsa per assicurarsi dei piani di sviluppo a medio come a lungo termine (quella del breve è più dedicata all’aumento del valore nominale del titolo) debba trovare delle connessioni o, meglio, entrare all’interno di filiere complesse quanto competitive, nel caso produca dei beni intermedi, oppure attraverso la realizzazione di una filiera altrettanto articolata  del proprio prodotto finale. In altre parole, rimane difficile, se non economicamente insostenibile all’interno di un piano di sviluppo, la possibilità di gestire un’azienda senza avere una visione complessiva ed articolata del mercato di riferimento, ovviamente in un orizzonte mondiale nel quale per esempio il concetto di stagionalità viene superato dalla globalizzazione.

Sono passati solo pochi mesi dalla morte di Sergio Marchionne il quale, attraverso la propria articolata attività e scelte strategiche, era riuscito, anche grazie allo spessore manageriale e credibilità personale, ad ottenere dei fondi statali dal Presidente degli Stati Uniti al fine di acquisire la Chrysler (sull’orlo del fallimento dopo la gestione Mercedes) ed attraverso questa operazione finanziaria inserire la FIAT nel piano di acquisizione salvandola dal tracollo finanziario ed industriale. Successivamente, nel  gennaio 2016, portò la Ferrari alla quotazione in Borsa con il fine  di creare per la holding familiare del valore aggiunto mantenendo il controllo della gestione: la quotazione quindi risultò funzionale alla elaborazione di piani di sviluppo articolati per la sfida dei mercati nel medio e lungo termine.

Fedele a questa impostazione, che sposava felicemente le dinamiche della finanza e delle sue aspettative di remunerazione finanziaria alle complesse logiche industriali in quello che sarebbe stato  l’ultimo  periodo della propria vita, aveva individuato ancora nella quotazione della Magneti Marelli la strategia vincente per creare nuovo valore per la holding familiare ma senza escluderla dalla gestione delle politiche, soprattutto per l’innovazione tecnologica che sta rivoluzionando il settore dell’automotive come l’intero mondo dell’automobile. La quotazione quindi prevedeva, o perlomeno lasciava immaginare, la possibilità di mantenere, grazie al mantenimento della direzione strategica della Magneti Marelli, il settore dell’automobile come investimento principale della holding familiare.

Dopo pochi mesi dalla sua scomparsa invece si è scelto di vendere la Magneti Marelli alla  giapponese Calsonic per un controvalore di oltre sei miliardi che verrà distribuito come dividendo straordinario (e forse una quota al mantenimento di un piano industriale nel settore automobilistico) ma che vede la perdita di know how strategico e soprattutto di capacità ed autonomia gestionale.

La legittima scelta di vendere Magneti Marelli ricorda un po’ quella del brevetto del Common Rail realizzato dal centro studi della Fiat di Bari. Già nel 1986 il gruppo torinese aveva proposto la Croma i.d., che introduceva per prima l’iniezione diretta nel ciclo diesel, il massimo dell’innovazione tecnologica per quei tempi.

Successivamente, e nella elaborazione di queste tecnologie tra il 1987 ed il 1990, il centro studi della Fiat di Bari creò il sistema common rail che vide una fase di  pre-industrializzazione nel 1990 proprio dalla Magneti Marelli. Questo pacchetto, allora fortemente innovativo, invece di creare valore all’interno di un’ottica di medio e lungo termine venne invece ceduto alla Bosh nel 1994 rendendo la casa tedesca leader mondiale nella applicazione di questa tecnologia nei motori Diesel e dando inizio alla marginalizzazione del gruppo torinese.

In questo senso la cessione di Magneti Marelli risulta molto simile alla vicenda degli anni ‘90 ed  implicitamente potrebbe dimostrare una volontà di uscita del mondo dell’auto a pochi mesi dalla creazione del valore complesso dell’attività di Sergio Marchionne, che invece poneva l’auto al centro dei piani di sviluppo. Le pericolose similitudini tra le due cessioni del 1994 e del 2018 dimostrano come siano stati sufficienti pochi mesi per dimenticare l’insegnamento del manager canadese e ritornare alla vendita su piazza dei gioielli di famiglia che portarono la casa automobilistica torinese sull’orlo del fallimento poi evitato proprio dal compianto manager.

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