Attualità

Identità condivise

Dario Rivolta

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta.

Vi domandate perché i sentimenti anti-élite e anti politica si stiano diffondendo in tanti Paesi del mondo? Forse non capite perché i Trump di turno raccolgano consensi tra quasi la metà degli elettori delle cosiddette democrazie?  E vi stupite pure che a gestire la politica siano sempre più numerosi i buoni a nulla senza arte né parte mentre chi ha un minimo di competenze si tiene prudentemente da parte?

Ebbene, se cercate qualche risposta, potete cominciare a trovarla leggendo di due recenti vicende legali, una della Corte di Giustizia europea contro lo Stato Italiano e l’altra di un tribunale francese contro lo scrittore Renaud Camus.

Nel primo caso la Corte ha sentenziato che l’INPS italiana debba essere obbligata a riconoscere il pagamento degli assegni familiari ai parenti dei cittadini extra-comunitari che lavorano ufficialmente in Italia anche se i loro parenti non vivono nel nostro Paese. Naturalmente, farà testo lo Stato di famiglia rilasciato dal Paese di provenienza dell’immigrato e chi ha redatto la sentenza non ha dubbi sulla correttezza di quel documento poiché dà per scontato che l’efficienza, la precisione e la correttezza di quei sistemi anagrafici siano indiscutibili. Resta il problema qualora il soggetto richiedente, forse un musulmano, abbia più mogli e, magari, figli da tutte loro. Avranno tutti diritto agli assegni familiari?

Il secondo caso è ancora più emblematico perché rientra contemporaneamente nel filone del “politically correct” e del buonismo verso gli immigrati clandestini. Il Procuratore del tribunale di Parigi che si occupa dei reati a mezzo stampa il 27 novembre scorso ha chiesto che lo scrittore fosse condannato a 4 mesi di prigione e 5000 euro di multa più le spese processuali a suo carico. L’accusa è nata da un esposto della Lega Internazionale contro il Razzismo e l’Antisemitismo e la sentenza è attesa per il 10 febbraio 2021. Quali sono le frasi razziste pronunciate dal settantaquattrenne francese? Eccole: “Una scatola di profilattici offerti in Africa significa tre annegati in meno nel Mediterraneo, centomila euro di risparmio per la CAF (una specie di INPS francese), due celle di prigione liberate e tre centimetri di banchisa di ghiaccio conservati”.  Razzista? Sono calcoli falsi? Il Camus ha forse sostenuto una presunta superiorità razziale dei francesi su non meglio identificati africani? Probabilmente ha solamente descritto una lapalissiana verità, confermata dalla costatazione dei fatti. Non è forse vero che l’esplosione demografica in Africa (venticinque anni fa 750 milioni di abitanti, oggi un miliardo e trecento milioni, nel 2050 i demografi prevedono due miliardi) e la pressione migratoria che ne consegue contribuiscono a mettere a rischio non solo la stabilità pacifica delle nostre società ma anche l’equilibrio ecologico del mondo? Purtroppo, le élite dominanti nei media e nella politica non tollerano più nemmeno il buon senso comune e impongono un pensiero unico piattamente buonista che esclude ogni dissenso critico, anche quando basato sull’evidenza. Alla faccia della libertà d’espressione!

Ovviamente, il “pensiero unico” che si è fatto strada sull’onda del terzomondismo e si nutre di assurdi sensi di colpa storici instillati a forza nelle menti degli europei non spiega tutti i perché del dilagare dell’astio contro le classi dominanti. La sfiducia del cittadino medio verso chi dovrebbe rappresentarlo è una realtà antica e già nelle commedie di Aristofane della Grecia antica se ne aveva sentore. Oggi, tuttavia, il fenomeno assume dimensioni tali da portare a dubitare della tenuta della stessa forma democratica. I fatti nuovi che si aggiungono ai due esempi sopra riportati vanno ricercati anche in cause economiche e nel sempre più diffuso senso di estraneità che pervade i cittadini di tutti i Paesi occidentali.  Occorre ricordare che la tenuta di una qualunque società si basa sulla percezione di identità condivise e sul confidare, da parte degli strati economicamente più svantaggiati, della possibilità di realizzare un’ascesa sociale, se non per sé, almeno per i figli.

Il trovare la propria identità nel gruppo sociale in cui si vive è reso più difficile dall’arrivo, in poco tempo e in spazi relativamente ristretti, di grandi quantità di “diversi” che necessitano di molti anni prima di potersi integrare con la popolazione autoctona (sempre che lo vogliano fare). Arrivi più sparpagliati (e diversificati al loro interno) hanno consentito quasi sempre ai nuovi arrivati di integrarsi e di sentirsi parte, a tutti gli effetti, della società in cui sono entrati. Numeri più importanti in tempi brevi spingono a reazioni di rigetto e penalizzano perfino gli ex-“diversi”. La voce ufficiale espressa dal buonismo imperante nell’élite non vuole prendere in considerazione questo disagio e colpevolizza il senso comune e le sue naturali reazioni psicologiche. Di conseguenza, la distanza tra il sentire del cittadino qualunque e la “morale” imposta dagli attuali “padroni del vapore” non può che ingigantirsi e spinge al sentimento di lontananza verso ogni forma di autorità. Come sentirsi parte di uno Stato che non protegge più nemmeno i propri confini territoriali e applica le leggi soprattutto verso i propri cittadini mentre tollera (e protegge) qualunque straniero che arriva abusivamente?  Come accettare di sentirsi parte di una comunità se chi dovrebbe rappresentarla non pratica più differenza tra essere cittadini di uno Stato o infrangerne le leggi cominciando con l’entrarvi illegalmente?

A tutto ciò si aggiunge (e non è la minor cosa) il costante impoverimento delle classi medie causato, tra l’altro, da una globalizzazione che fu presentata come un’opportunità per tutti ma ha finito per privilegiare soprattutto le multinazionali e le attività finanziarie-speculative. Il calo del potere d’acquisto dei settori intermedi della società e il loro lento, ma costante, impoverimento ha ridotto la fiducia nel miglioramento individuale e familiare. Ed era proprio quella speranza nel futuro che aveva nutrito le popolazioni europee e consentito gli sviluppi economici che hanno caratterizzato tutte le democrazie occidentali dal dopoguerra fino agli anni ottanta.

Non possiamo nasconderci che sarebbe irrazionale attribuire tutte le cause di questo decadimento globale soltanto ai politici e agli pseudo-intellettuali dei nostri giorni. Tendenze come quelle in corso hanno radici profonde e maturano in lustri (se non in decenni) che fanno da incubatori ai cambiamenti futuri. Tuttavia, è altrettanto evidente che le élite attuali, con la loro ipocrisia, rappresentano la perfetta personificazione di un declino che potrebbe diventare inarrestabile: la mancanza di qualunque carisma, l’incompetenza, l’ignoranza, la corruzione, il clientelismo e, soprattutto, il divario tra il comune sentire (anche se non sempre è palesemente espresso) e le prese di posizione ufficiali riempiono le nostre giornate. Come riuscire a resistere al rifiuto di queste classi dirigenti?

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