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Il combinato recessivo tra iperliquidità e tassazione dei contanti

Già nel recente  passato erano stati considerati gli effetti di una politica monetaria espansiva, nello specifico il quantitative easing, soprattutto per il risparmio privato (https://www.ilpattosociale.it/2019/07/17/la-politica-monetaria-e-la-depatrimonializzazione-del-risparmio/).

La scelta del presidente Mario Draghi di inaugurare un nuovo quantitative easing (senza per altro indicarne il limite temporale) rappresenta sicuramente una decisione strategicamente vincente. Questa,infatti, ottiene il doppio obiettivo di condizionare la presidente subentrante Christine Lagarde ed, al tempo stesso, fornire risorse finanziarie fresche finalizzate al sostegno di una nuova ripresa economica. Questa nuova stagione di iperliquidità, tuttavia, rappresenta un’opportunità non solo per le aziende, le quali riescono a finanziarsi paradossalmente ad un tasso negativo, ma purtroppo anche per gli Stati per i quali si apre la possibilità di finanziare il debito con costi di servizio al debito in forte contrazione.

In tal senso si ricorda come in Europa, ormai, tutti i titoli del debito sovrano abbiano tassi negativi, ad esclusione dell’Inghilterra, a causa della Brexit, e dell’Italia, sempre per il debito e la spesa pubblica fuori controllo. In questo senso basti ricordare l’esperienza degli ultimi governi,in particolare Renzi e Gentiloni, che non hanno saputo valorizzare, attraverso una riduzione del debito, la diminuzione dei costi del debito, conseguenza del  quasi azzeramento dei tassi di interesse.

In un periodo caratterizzato perciò da questa nuova iniezione di risorse finanziarie risulterebbe assolutamente opportuno inserire la Golden Rule (la quale obbliga i governi ad accedere a nuovo debito solo per finanziare produttivi ed infrastrutturali), e non come hanno sempre fatto negli ultimi anni al fine semplicemente di finanziare nuova  spesa corrente. Gli effetti collaterali di questa politica monetaria espansiva possono risultare molto simili a quelli di una stagione  economica caratterizzata da un alto tasso di inflazione senza averne tuttavia una decaduta del  valore nominale della moneta: come detto prima la depatrimonializzazione del risparmio ne rappresenta la conseguenza poco gradita ai risparmiatori.

In questo contesto, quindi, risulta anacronistico, ma soprattutto economicamente controproducente, la proposta di tassare i contanti i quali già perdono valore a causa della politica monetaria espansiva. Tassarli ulteriormente, tuttavia, rappresenterebbe l’atto finale e conclusivo di una strategia finalizzata ad azzerare completamente i consumi già ora in flessione (nell’anno in corso oltre 1 miliardo). Il tutto in nome di una lotta all’evasione fiscale della quale ancora oggi non si comprendono i termini ed i volumi figuriamoci le cause.

L’idea lanciata da Confindustria di  tassare del 2% i prelievi al bancomat oltre 1.500 euro per combattere l’evasione fiscale rappresenta perfettamente lo scollamento non solo della politica ma anche della cosiddetta classe dirigente dalla realtà economica ed il comune percorso verso un declino culturale di cui quello economico ne rappresenta un aspetto. In questo modo, infatti, verrebbero penalizzati tutti i cittadini onesti che vedono versato il proprio stipendio o pensione sul proprio conto corrente e che pagherebbero una sovrattassa di oltre 1.500 euro di prelievo mentre il nero (Confindustria lo ignora) che certamente  non viene versato sui conti correnti continuerebbe a girare regolarmente (https://www.ilpattosociale.it/2019/01/10/il-falso-alibi-dellevasione-fiscale/).

In questo contesto storico, nel quale anche gli Istituti di credito presentano forti difficoltà nel reperire marginalità, possono risultare comprensibili, anche se sono intellettualmente disoneste le motivazioni che spingono Confindustria, assieme al mondo degli istituti di credito, nel  proporre la progressiva eliminazione del contante in quanto assieme alle compagnie telefoniche si assicurerebbero delle vere e proprie rendite di posizione .

Le strategie economiche, tuttavia, dovrebbero dimostrare come obiettivo da conseguire non tanto quello di creare ulteriori vantaggi per uno specifico settore ma, viceversa, avere come traguardo  quello di creare nuovo reddito e PIL, quindi nuovo valore aggiunto. La combinazione, quindi, di una perdita del valore patrimoniali dei risparmi, e conseguentemente delle rendite, unita ad una tassazione dei contanti innescherebbe una spirale recessiva dalla quale sarebbe estremamente difficile uscirne.

La terribile connessione tra quantitative easing ed una tassazione sul contante si manifesterebbe quindi non come la sommatoria di questi due fattori, il primo indiretto il secondo espressione di una volontà politica, ma fonte di effetti esponenziali in relazione al reddito disponibile e quindi alla capacità di spesa dei consumatori.

La nostra economia rientrata dopo tre anni al punto di partenza avrebbe bisogno non solo una iniezione di liquidità destinata ad una sostanziale riduzione della pressione fiscale ed al finanziamento delle attività produttive ed infrastrutturali  ma anche di nuove professionalità svincolate da interessi di parte. Al tempo stesso anche di una sana iniezione di libertà che possa trovare la propria espressione attraverso competenze contemporanee.

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