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Immigrazione e inversione culturale

Uno degli aspetti più evidenti ed imbarazzanti del declino culturale dell’intera intera classe politica e dirigente viene spesso rappresentato dell’infantile processo di semplificazione adottato nei confronti di fenomeni complessi così interpretandoli attraverso un classico paradigma ideologico.

Il fenomeno dell’immigrazione rappresenta sicuramente uno di questi casi, la cui difficile gestione di fatto ha determinato la creazione di due schieramenti politici avversi ed incompatibili, rappresentati da chi si dichiara assolutamente contrario sic et nunc contrapposto a coloro i quali, invece, vedono addirittura in questo epocale fenomeno l’unico strumento che possa assicurare la ripresa economica, cioè rispondere alla richiesta delle imprese di nuove figure professionali e, contemporaneamente, determinare la soluzione all’inverno demografico italiano ed europeo.

Il recente studio pubblicato da Le Figaro, quasi completamente ignorato dai media italiani, ha il grande merito di riportare dei dati che possano fornire una griglia di valutazione da applicare ad una complessità in termini oggettivi (ma ovviamente sempre opinabili) e così escludere le interpretazioni politiche ed ideologiche. Questo studio sottolinea come le imposte versate dagli immigrati coprano solo l’86% dei costi che essi generano per il contribuente. Inoltre, solo il 62,4% degli immigrati in età lavorativa risulta occupato, contro una media UE del 67,5% e un tasso del 69,5% per i cittadini francesi nativi, in più con una percentuale di Neet sicuramente superiore.

A questo si aggiunga che le politiche dei diversi stati tendono a favorire i ricongiungimenti familiari (forse inevitabili) determinando ulteriori flussi ma non più legati ad un ipotetico inserimento professionale ma motivati da ragioni semplicemente familiari, quindi con un aggravio ulteriore di costi per la pubblica amministrazione.

Del resto il gap esistente tra le figure professionali richieste dalle imprese (quasi il 70% hanno difficoltà a reperire figure tecniche) e l’immigrazione assolutamente inidonea a rispondere a queste ricerche professionali non fa che certificare l’assoluta incompatibilità tra i due fenomeni.

Questa consapevolezza, ovviamente, non deve portare le autorità politiche europee ed italiane ad una radicalizzazione delle posizioni, quindi con una chiusura totale ai flussi migratori. Contemporaneamente sarebbe finalmente giunto il momento di crescere culturalmente, abbandonando così la classica soluzione semplicistica ed ideologica che vede nell’immigrazione la soluzione ad ogni problematica nazionale sia essa economica politica o sociale.

Lo sforzo culturale più che politico dovrebbe venire rappresentato ora più che mai dall’inizio di una articolata riflessione proprio in relazione a quel declino culturale del quale l’Italia e l’Europa intera ne rappresentano il simbolo.

In questa “inversione culturale” proprio il nuovo tentativo di comprensione del fenomeno dell’immigrazione, potrebbe in questo caso dimostrarsi un fattore decisivo.

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