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La politica monetaria: l’illusione di Bce, progressisti e sovranisti

Dal 2015 la BCE ha adottato una politica monetaria fortemente espansiva attraverso il quantitative easing. Fino al 2019 e all’inizio del 2020 pre- covid l’inflazione media europea è risultata al di sotto del 2%, dato che viene indicato come l’indicatore di progresso e sviluppo economico.

Dall’avvento della crisi mondiale legata alla pandemia la Bce insiste, attraverso una politica monetaria espansiva, con l’obiettivo di raggiungere la crescita dell’inflazione al 2% ma non avendo ancora realizzato come la politica monetaria all’interno di un mercato globale abbia perso parte, se non tutta, della propria efficacia.

L’innovazione tecnologica permette infatti di ridurre i costi di intermediazione in qualsiasi settore industriale compreso soprattutto quello dei servizi anche finanziari.

Con scenari internazionali certamente non rosei da anni, ad esclusione delle due macroaree degli Stati Uniti e della Cina, e con la possibilità di accedere a prodotti e a servizi espressione di sistemi economici con costi del lavoro risibili rispetto ai nostri risulta evidente come il settore economico continentale, soprattutto con una situazione di stagnazione, potrà sperare in una crescita dei prezzi espressione di una domanda marginale in crescita.

La possibilità di reperire attraverso l’innovazione tecnologica beni (di consumo o intermedi) e servizi da ogni parte del mondo, espressione del mercato concorrenziale, determina di per sé una tendenza alla riduzione dei costi ma anche conseguentemente dei prezzi e quindi dei fatturati con un conseguente peggioramento del rapporto debito PIL. Perché, va ricordato, come sostanzialmente la ricerca di un maggiore tasso di inflazione da parte della BCE nasce proprio dalla speranza di riequilibrare il rapporto debito/PIL attraverso l’incremento nominale legato all’inflazione.

Di conseguenza, se la politica monetaria rappresenta un’arma priva di effetti sarebbe interessante individuare quali potrebbero rimanere gli altri fattori importanti per ridare allo scenario economico una prospettiva di crescita, italiana in particolare.

Sostanzialmente, più della politica monetaria la spesa pubblica, cioè la sua qualità unita alla pressione fiscale rappresentano i due fattori che possono maggiormente incidere sulla crescita economica e, di conseguenza, occupazionale. Spesa pubblica e pressione fiscale rappresentano i due fattori di maggiore potere da parte della classe politica e che non verranno mai ridotti in quanto ciò comporterebbe una sua riduzione (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/).

Questo ovviamente avviene in Italia in quanto in Germania e in Francia si assiste ad una scelta di ridurre, parzialmente e temporaneamente, la pressione fiscale sia a carico delle imprese (riduzione Imu per gli immobili strumentale) che sui beni di consumo (riduzione Iva).

In altre parole, la classe politica si dimostra convinta ancora, e vale sia per la corrente “progressista” che “sovranista” (che invita ad un ritorno alla lira), che la politica monetaria abbia degli effetti sostanziali nelle politiche di sviluppo economico.

L’illusione monetaria riunisce sotto lo stesso tetto i sostenitori del mercato globale senza alcuna barriera o protezione per i prodotti espressione del know-how nazionale con i sovranisti che vedono nel ritorno alla lira il volano per aumentare le esportazioni assieme alle autorità monetarie (Bce) che vedrebbero così riconfermata la propria funzione. Quando invece solo un radicale intervento sulla qualità della spesa pubblica e sulla pressione fiscale rappresentano gli unici due fattori che possano realmente creare le condizioni per una crescita. Entrambi, però, ridurrebbero il peso della compagine politica nella sua totalità ma comunque responsabile di questa situazione e che ancora spera, attraverso la politica monetaria, di accrescere o quantomeno mantenere la propria centralità e il proprio potere.

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