Attualità

La stagflazione politica-amministrativa

In passato si era già affrontato il problema del nostro Paese per le inevitabili ricadute economiche della gestione delle due forme massime di potere italiano rappresentate (1) dalla gestione della spesa pubblica e da quella del credito (2) nel lontano novembre 2018 (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/).

L’esercizio di questi due poteri, interamente in mano alla classe politica (1) che interagisce con i vertici degli Istituti bancari (2), come poteva risultare ampiamente prevedibile invece di partorire delle politiche che potessero supportare il sistema economico italiano si sono rivelati dei veri e propri strumenti di autofinanziamento elettorale e sostegno finanziario al sistema bancario, totalmente a danno del sistema Italia.

Questa metastasi economico-istituzionale ha prodotto negli ultimi vent’anni degli effetti devastanti, ora amplificati dopo un anno di pandemia.

Anche durante l’ultimo anno questa alleanza tra due poteri ha dimostrato i propri effetti: basti in questo senso ricordare come dei 150 miliardi di garanzie statali destinati alle imprese stanziati dal governo Conte 2 solo 39 miliardi di reali risorse effettivamente si siano rese disponibili in termini di garanzie statali per gli imprenditori. Una buona parte di queste garanzie statali di Cassa Depositi e Prestiti risultano, viceversa, trattenute all’interno del circuito bancario ed utilizzate per rientri dei fidi della clientela e conseguentemente riduzione dei rischi stessi per l’istituto bancario.

In questa operazione il silenzio del governo relativo a tale distorsione rispetto alla funzione originale di queste garanzie risulta assolutamente complice.

Sicuramente la devastante pandemia da covid-19 ha amplificato un disastroso trend iniziato proprio nel 2000.

Va ricordato, infatti, come dall’inizio del terzo millennio ad oggi la spesa pubblica sia aumentata del 85% ma con effetti fortemente contraddittori. In questo senso, per cominciare, va ricordato come, dato 100 il 1999, il sistema privato abbia aumentato la propria produttività di 29 punti (129) mentre la pubblica amministrazione lo abbia ridotto di 12,5 (87,5). L’aumento della spesa pubblica quindi, pur rendendo disponibili maggiori risorse finanziarie (frutto della sintesi di maggior debito e maggiore pressione fiscale), non ha prodotto alcun miglioramento dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione e quindi della sua efficienza a supporto dell’impresa. Addirittura, e siamo appunto all’effetto paradossale, questa maggiore dotazione finanziaria per la P.A. ha determinato un abbassamento delle produttività vanificando, così, in buona parte i risultati ottenuti dal settore privato sempre sul fronte della produttività. Un fattore determinante assieme alla scarsa crescita da oltre vent’anni caratterizzante la nostra economia (https://www.ilpattosociale.it/attualita/linutile-crescita-della-produttivita/).

In più, durante l’ultimo ventennio, i governi che si sono succeduti alla guida del nostro Paese hanno continuato a sperperare risorse pubbliche col duplice obiettivo di mantenere i propri bacini elettorali. Contemporaneamente hanno condotto delle battaglie politiche aspramente criticate dalla BCE (*) a favore della moneta elettronica (anche attraverso fiscalità premianti) come contropartita all’azione degli Istituti bancari nell’acquisto dei titoli del debito pubblico italiano.

Questa assoluta mancanza di responsabilità, che coinvolge tutti i ministri economici degli ultimi governi, parte dalla comune considerazione di come, seppur basso, un tasso di crescita potesse comunque risultare compatibile con la gestione della finanza pubblica italiana, perlomeno nell’immediato che rappresenta l’orizzonte massimo di valutazione della classe politica italiana. Un pensiero espressione di una cultura economica irresponsabile come testimoniano gli ultimi dati relativi alla crescita del reddito disponibile degli italiani.

Va ricordato come agli inizi del 2000 il reddito medio italiano rappresentasse l’83% di quello tedesco: ora, dopo vent’anni, questo rappresenta ormai solo poco più del 67%.

In altre parole, al di là dell’andamento sinusoidale dell’economia internazionale, il nostro Paese ha registrato una diminuzione di reddito prodotto rispetto alla Germania pari al -0,75 % annuo

All’interno di un mercato competitivo nel quale la Germania rappresenta la prima industria manifatturiera e noi la seconda è evidente che gli effetti devastanti di questo declino economico si manifestino in una progressiva perdita di competitività e un contemporaneo aumento dei costi sia per le imprese quanto per i consumatori.

Solo al fine di offrire un esempio di economia quotidiana: per un’impresa italiana attualmente il gasolio alla pompa viene erogato al prezzo medio di 1,48 euro, in Germania viceversa risulta di 1,21 (**), una differenza di poco superiore al 22%, ovviamente a favore dell’utenza e delle imprese tedesche.

Se poi si valuta anche il differenziale di reddito disponibile è evidente come il carburante in Italia venga pagato circa il 50% in più di quanto in Germania.

A questo immediato “svantaggio competitivo” per l’economia italiana risulta inevitabile aggiungere, per quanto riguarda il trasporto delle merci su gomma (82% del totale) ma anche in termini più generali per l’economia nel suo complesso, ovviamente il costo delle autostrade. La concessione di un monopolio pubblico a gruppi privati, come sostenuto dall’intera classe di economisti ad accademici negli anni 90, non ha creato alcun vantaggio per l’utenza e tantomeno aumentato gli investimenti nelle Infrastrutture. Con buona pace delle teorie economiche che sostenevano strategie diverse da quanto realizzato in Svizzera ed in Germania.

Due semplici esempi che mettono in evidenza come la nostra struttura economica sia caratterizzata da una serie di rendite di posizione a favore tanto dello Stato quanto di gruppi privati i quali hanno determinato una diminuzione per l’impresa della competitività e dei cittadini del reddito disponibile attraverso un continuo aggravio dei costi di servizio.

In altre parole, il costante aumento delle tariffe dei servizi (sia in termini di costi diretti quanto di qualità del servizio stesso) forniti dalla pubblica amministrazione, pur con un aumento di risorse finanziarie e compensato da una bassa inflazione, risulta il primo elemento di una stagflazione.

Il secondo elemento è conseguenziale al primo, individuabile nella sempre bassa crescita che ha caratterizzato negli ultimi vent’anni la nostra economia.

Una vera e propria stagflazione politica – amministrativa che definisce in modo chiaro il fallimento di una scuola economica e politica i cui effetti sono stati un progressivo aumento della spesa pubblica e del debito ma con una diminuzione del reddito disponibile dei cittadini anche per i consumi.

Si aggiunga poi che a causa di servizi della pubblica amministrazione sempre più scadenti molti contribuenti sono stati costretti a rivolgersi a soggetti privati per ottenere gli stessi servizi finanziati già col prelievo fiscale.

Un doppio costo che drena risorse al circuito economico. In altre parole, la sintesi di un fallimento economico politico.

(*) solo negli ultimi sei mesi la BCE ha richiamato due volte il Governo Conte ad una posizione neutrale rispetto alle forme di pagamento.

(**) Grazie ad una riduzione dell’IVA a sostegno della ripresa economica post pandemia.

Mostra altro

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio