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L’indice di povertà

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Solo tre decenni fa il nostro Paese si pavoneggiava, e certo non a torto, della propria posizione nella classifica delle superpotenze economiche poiché deteneva la settima casella in graduatoria. Una posizione conquistata grazie soprattutto ad una struttura industriale di primo ordine in grado di raggiungere posizioni di vertice all’interno dei mercati esteri e sostenuta comunque da una domanda interna in costante crescita.

Come conseguenza, invece, delle scellerate politiche di sostegno alla spesa pubblica, espressione dell’ideologia di uno Stato non solo parte attiva nella crescita economica ma anche in grado di guidarla, l’inevitabile impennata del Total Tax Rate il quale viene calcolato tra il 59,1%, per la Banca Mondiale (Doing Business 2020), ed il 64% secondo Unimpresa: pressione fiscale a sostegno della stessa esplosione della spesa pubblica. Da allora il nostro Paese ha registrato delle percentuali di crescita mediamente inferiori del 50% rispetto ai concorrenti europei (negli anni precedenti la pandemia pari anche ad 1/3) alle quali hanno fatto riscontro le impennate della spesa pubblica, in buona parte a debito o con una copertura sostenuta dall’aumento della pressione fiscale. Queste scellerate strategie hanno determinato ovviamente il cambiamento del posizionamento della nostra economia all’interno del contesto delle potenze economiche nell’ordine mondiale, ma non solo. E’ di questi giorni la pubblicazione di un’altra interessante classifica all’interno della quale il nostro Paese detiene l’ottavo (8°) posto nel mondo. Questa classifica, tuttavia, è relativa agli stati con una maggiore percentuale di persone che vive al di sotto della soglia di povertà (*).

Un dato di una gravità assoluta che ridicolizza tutte le politiche di “sviluppo e sostegno” attuate dai governi di ogni ispirazione politica ed economica. Contemporaneamente questo risultato dovrebbe avere come inevitabile conseguenza anche il forte ridimensionamento del ruolo complice quanto ridicolo delle eminenze accademiche fuoriuscite dall’alveo universitario per fornire il proprio “prezioso” apporto alla distruzione sistematica del nostro sistema economico.

Questa ricerca testimonia il disastro di dimensioni così epocali che investe una, se non due generazioni di classe politica e dirigente italiana tanto evidente se poi confrontato con la Repubblica Federale Tedesca che si posiziona nella medesima classifica ben quindici (15!!!) posti al di sotto della nostra ma addirittura con debito pubblico decisamente inferiore al nostro (**).

La terribile commistione tra scellerate politiche di svalutazione “competitiva” della lira (**) ed esplosione della spesa pubblica corrente favorita tanto dalla riduzione dei tassi di interesse, una volta entrati nell’area euro, ed ancora di più a fronte del loro quasi azzeramento come conseguenza del Quantitative Easing inaugurato dalla BcE con presidente Mario Draghi, ha partorito questo vergognoso ottavo posto.

Questa forte diminuzione del costo al servizio del debito, infatti, ha avuto come inevitabile  conseguenza una sensazione di irresponsabilità determinata della sostanziale “sospensione dalla realtà” delle valutazioni di sostenibilità del debito pubblico italiano che hanno regalato il mix vincente finalizzato a favorire la spesa con il conseguente debito con il  mantenimento di rendite di posizione a partire dal sistema bancario e da tutte le società partecipate da soggetti ed istituzioni pubbliche.

In questo contesto la ricchezza prodotta sempre più viene drenata e quindi resa NON disponibile per consumi ed investimenti (la vera ed unica forma di crescita economica rispetto agli effetti della spesa pubblica) dai costi dei servizi cresciuti in modo ingiustificato e spesso espressione di sodalizi politico/economici nazionali e locali che comunque hanno determinato aumenti ingiustificati per la cittadinanza.

Basti pensare alle tariffe dell’acqua con un +90% e dei trasporti ferroviari del +14,9% ma anche del servizio postale del +45% fino alla raccolta rifiuti del +40% pedaggi e soste a pagamento del +40% solo nell’ultimo decennio a fronte di una crescita dell’inflazione inferiore quasi sempre all’1%. Logica conseguenza sono minori consumi, espressione di una domanda interna penalizzata, ma anche l’aumento della soglia di povertà per le fasce più deboli della popolazione italiana.

L’avvilente posizione in questa terribile classifica dovrebbe finalmente aprire un confronto relativo a questi disastrosi “traguardi” quanto alle qualità umane e professionali espresse dalla classe politica, dirigente e accademica italiana invece di venire omessa in modo clamoroso anche dal vergognoso sistema dell’informazione, prono davanti al potere finanziatore come già in passato alla “crescita” del reddito disponibile in Italia (https://www.ilpattosociale.it/attua…/che-altro-aggiungere/).

Se poi si considera come le brillanti menti, ignorando completamente l’attuale e particolare situazione del nostro Paese e le cause che l’hanno determinata, abbraccino la “deriva ambientalista”, cioè l’ultima prova di esistenza in vita di un mondo politico ampiamente sconfitto dalle dinamiche politiche nazionali e internazionali, allora il peggioramento delle già insostenibile situazione potrebbe essere a portata di mano e giusto dietro l’angolo.

Una posizione miope ma, va ricordato, ora supportata in questa deriva dalla scandalosa volontà speculativa delle maggiori aziende di automobili le quale si sentono convinte con la sola “transizione elettrica delle auto” della creazione di un mercato di oltre 230 milioni di auto da sostituire con altrettanti modelli elettrici. Una strategia suicida restando con le attuali condizioni di crescita economica.

Si conferma, quindi, una sorta di strabismo della classe dirigente e politica italiana ed europea convinte di continuare a crescere nonostante si consideri fisiologico lasciare indietro quote di popolazione sempre maggiori.

Il ritorno alla cruda realtà potrebbe rivelarsi inaspettato e imbarazzante per le élite politiche, insostenibile finanziariamente per l’industria dell’auto e drammatico per alcune sempre più ampie fasce della popolazione.

(*) La soglia di povertà è un parametro normativo che cerca di stabilire il livello di reddito al di sotto del quale una famiglia od un individuo possano venire considerati poveri.

(**) al 2019 la Germania aveva un debito al 62% sul Pil rispetto al nostro che era al 132% (www.truenumbers.it)

(***) ogni “svalutazione competitiva” si traduce inevitabilmente in una perdita di valore di tutti gli asset nazionali espressi in una valuta deprezzata ed anche se nel brevissimo periodo può favorire le esportazioni ma con una crescita non sufficiente a compensare la depatrimonializzazione degli stessi asset.

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