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“Un tram che si chiama desiderio” di spesa

Una delle più macroscopiche forme di distonia tra le reali condizioni del sistema economico italiano e le istituzioni è relativo alle aspettative legate alla possibilità di gestire una parte dei fondi europei legati al Recovery Fund. Non passa giorno nel quale ogni istituzione statale, regionale ma anche comunale non avanzi progetti nuovi e ovviamente “straordinari ed innovativi” per i quali andrebbero utilizzati i fondi che sembra L’Unione Europea abbia intenzione di regalarci.

In questo contesto di grande euforia istituzionale certamente un ruolo importante viene svolto dai vari sindaci di città articolate e complesse che vorrebbero a propria disposizione queste risorse finanziarie per rivoluzionare la complessa movimentazione metropolitana. Le aspettative dei diversi sindaci assumono i connotati di veri e propri voli pindarici di fantasia uniti a ridicole ipotesi di rivoluzione urbana assolutamente distaccate da una qualsiasi sostenibilità economica e soprattutto da un’analisi comparativa con i mezzi alternativi a disposizione.

In questo contesto il tram rappresenta il sogno proibito di tutti i sindaci per i quali sono disposti, come hanno già fatto a Mestre a Firenze, a tagliare qualsiasi tipologia di albero con particolare attenzione a quelli secolari pur di realizzare il percorso del tram. Una scelta, quindi, monotematica con il tram al centro dei desideri frutto essenzialmente di una scelta ideologica priva, come si diceva prima, di una reale valutazione in relazione a determinati fattori.

Va innanzitutto ricordato infatti come per sua stessa natura il tram, rappresentando un vettore vincolato a terra, dispone nel suo utilizzo di un grado di flessibilità pari allo zero soprattutto se in relazione anche alle stesse filovie le quali, anche se vincolate a dei cavi sollevati, sono prive di rotaie.

Generalmente, poi, in tutte le città i percorsi dei tram nascono con lo stesso sviluppo urbanistico della città stessa per cui inserirle all’interno di una viabilità già compromessa rappresenta uno stupro ed una scelta che da una parte crea maggiore tempi di attesa per le autovetture (e quindi aumenta l’inquinamento) e dall’altra non risolve assolutamente la movimentazione cittadina se non lungo l’unica direttrice servita dai binari.

Quindi due fattori negativi, cioè l’assoluta assenza di flessibilità moltiplicata per una rete stradale già problematica esistente all’interno delle città, a differenza di quanto avviene in matematica, non danno un risultato positivo ma anzi raddoppiano la negatività di entrambi i fattori.

In altre parole, due rigidità che rappresentano l’opposto del concetto di flessibilità non potranno mai determinare una positiva strategia flessibile in rapporto alle diverse esigenze della mobilità cittadina. Nonostante questo, i sindaci reclamerebbero ben 11 miliardi di quelli messi a disposizione dal Recovery Fund per la realizzazione di queste reti intrecciate di tram.

In questo contesto di assoluta euforia il fattore costi risulta assolutamente marginale nella scelta dei sindaci mentre, specialmente a livello europeo, dovrebbe diventare fondamentale per ottenere l’approvazione degli stessi piani.

In breve si sottolinea come la realizzazione di una rete tranviaria necessita di 8,9 milioni al km. In considerazione delle reti esistenti a Firenze, Padova e Venezia possiamo stimare nella lunghezza media di una rete tranviaria in circa 15 km il cui solo costo dell’allestimento è pari a 133,5 milioni.

Una medesima cifra, o meglio, con il medesimo finanziamento concesso dalla Ue ciascun comune potrebbe acquistare circa 333,7 autobus completamente elettrici considerando il prezzo medio di questa innovativa tipologia di vettori tra i 300.000 ed i 500.000 euro. A questo si aggiunga poi come il tram abbia un costo di gestione mediamente doppio rispetto a quello di un autobus il quale garantisce in più la massima flessibilità in relazione alla domanda di movimentazione urbana in continua evoluzione.

Questo accanimento con il quale invece i sindaci continuino a chiedere investimenti più costosi a basso tasso di flessibilità e con costi di gestione superiori rimane uno dei grandi misteri della politica soprattutto locale.

Non è tuttavia da escludere come la scelta del tram, assolutamente insostenibile sotto il profilo economico, rappresenti in buona sostanza l’ultimo strumento per dimostrare la propria appartenenza intellettuale da parte di una certa politica che ha abbracciato ciecamente il più intransigente ambientalismo. Con l’obiettivo dichiarato non tanto di rendere una città più fruibile, e quindi competitiva, ma semplicemente penalizzare l’utenza privata.

Una semplice analisi comparativa dimostra come il tram abbia assunto i connotati di uno strumento fortemente politicizzato ed economicamente insostenibile il quale viene caricato di un ruolo “sociale e politico” con l’obiettivo di penalizzare il “privato”.

Il tram, quindi, diventa il personaggio principale di una riedizione 2021 del film “Un tram chiamato desiderio” il cui obiettivo è quello di soddisfare la volontà di affermazione dei sindaci prettamente ideologica anche se applicata alla movimentazione urbana.

Le risorse finanziarie di provenienza statale oppure europee diventano, ancora una volta, uno strumento politico ed ideologico. Per di più a debito.

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