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Libero furbo in libero fessaio*

Duecento anni di frodi alimentari: è possibile che la si dia vinta ancora oggi a chi ci avvelena senza scrupoli e si arricchisce illecitamente?

Nel 1769, in un piccolo paesino in Germania, nasce Friedrich Accum, esperto chimico tedesco sconosciuto ai più. Il suo cognome in origine era Marcus ma poi divenne Accum, quando il padre ebreo si convertì al cristianesimo. Il giovane Friedrich, dopo i suoi studi, inizia a lavorare presso una nota farmacia di Hannover e acquisisce tanta esperienza che, recatosi a Londra nel 1793, viene subito assunto dall’importante farmacia Brande di Arlington Street, la preferita da Re Giorgio III. In città il ragazzo viene notato dal Professor Nicholson, un famoso scrittore e sperimentatore chimico, che gli mette a disposizione un grande laboratorio dove poter nuove esperienze. Pubblica il suo primo lavoro all’età di 29 anni, nel 1798, sulla prestigiosa rivista “Journal of Natural Philosophy, Chemistry and the Arts”.

Nel 1800 apre un laboratorio tutto suo, in Old Compton Street, dove ben presto acquisisce una considerevole reputazione come consulente chimico, insegnante e conferenziere. La Casa Reale e i più ricchi industriali del tempo iniziano ad interessarsi alle sue conoscenze e ai suoi innovativi esperimenti. Sono anni in cui si investe molto e si iniziano a fare molti profitti grazie alle scoperte di nuove formule o principi della chimica.

Accum viene così nominato “esperto chimico” della Royal Institution e Professore presso una prestigiosa università londinese. Tuttavia, nonostante le numerose proposte ricevute (per sviluppare nuovi farmaci e nuove tecniche di estrazione o lavorazione mineraria) dai suoi scritti emerge che impiega la maggior parte dei suoi fondi e del suo tempo per affinare varie tecniche di analisi degli alimenti. Di questa esperienza scrive profusamente, e i suoi libri sulla chimica culinaria, sulla fabbricazione della birra e sulla panificazione sono rimasti per molti anni veri punti di riferimento per i chimici di tutto il mondo.

Nel 1820, a renderlo famoso, è il suo libro sull’adulterazione degli alimenti, da lui stesso intitolato There is death in the pot (C’è la morte nella pentola).

In questo testo egli smaschera con metodo scientifico, le più gravi e comuni sofisticazioni di pane (sbiancato con solfato di zinco e carbonato di calce, o con gesso, ossa umane o animali macinate, allume), birra (senza orzo e con l’estratto velenoso di un frutto tropicale – il “Cocculus indicus”), vino (senza uva), caffè (con argilla, terracotta, grano o caramello), formaggi (con farine ammuffite o minio), latte, liquori, the, olio d’oliva, panna, dolci, aceto, senape, pepe, sottaceti e altri alimenti tutti prodotti con molte sostanze tossiche. E, a supporto delle sue denunce, nello stesso testo riporta tutte le formule e i metodi utilizzati per smascherarle e un elenco dei farmacisti già condannati per spaccio illegale delle materie prime incriminate e un altro elenco dei produttori già multati per aver adulterato bevande e/o alimenti.

Il libro ebbe un enorme successo e tutte le copie vengo vendute in pochi giorni (ne furono stampate quattro edizioni in soli due anni). Se da una parte il popolo lo acclama come un benefattore dall’altra parte aveva reso furiosi la quasi totalità dei ricchi produttori e commercianti inglesi dei quali, non solo si era “permesso” di rifiutare le preziose avance ma ne ha denunciato i crimini e minato, per questo, gli ingenti profitti. Ergo, doveva “pagarla”. Ergo, come la storia occidentale ci racconta (non ci insegna, perché non è cambiato nulla da allora) Friedrich Accum divenne oggetto di una violenta campagna mediatica discriminatoria.

Iniziarono a girare calunnie sul suo corso di studi e pesanti accuse da parte delle prezzolate autorità della Royal Institution di aver sottratto dalla loro biblioteca numerose pagine di alcuni importanti libri.

Insomma: veniva accusato di essere un impostore e un ladro.

Nonostante non vi fossero testimoni ed Accum si professasse innocente, fu emesso un mandato di perquisizione della sua abitazione. Vennero (magicamente) trovati fogli provenienti da altri libri della biblioteca (non quelli indicati dall’accusa) e nemmeno stampati (erano pagine bianche) cosa che indusse il magistrato (non ancora corrotto o forse incorruttibile) ad archiviare l’accusa, se non che le autorità della Royal Institution insistettero per far istruire un procedimento, con un altro magistrato, contro di lui.

Mentre coloro che stimavano Accum e il suo coscienzioso lavoro scientifico lottavano per cercare di far cadere ogni accusa, i suoi nemici continuavano a calunniarlo a mezzo stampa. Amareggiato e fortemente preoccupato per le continue e gravi minacce ricevute (velatamente, da parte dei suoi diretti accusatori e, pubblicamente da parte di alcuni esaltati popolani che lo accusavano di averli imbrogliati – antesignani boccaloni di antesignane fake news?) il povero Accum decise di fare ritorno nella sua Patria natia. Gli andò bene perché molti di quelli che nella storia hanno toccato i fili, non hanno mai potuto fare ritorno a casa.

A chi non è andata bene è il popolo inglese (e tutta la popolazione mondiale) perché la conseguenza più grave della infamia caduta su Accum fu la perdita di fiducia da parte della gente in ciò che egli aveva scritto e denunciato. I suoi nemici, infatti, continuarono per molti mesi a screditarlo al punto che intorno al 1824 l’allarme sulle adulterazioni di bevande e alimenti era completamente rientrato; senza che alcuna autorità politica o giuridica avesse potuto (se qualcuno ci ha mai provato) contrastare questo sistema e, soprattutto, nonostante le persone continuavano a morire come mosche.

Pochi anni dopo, è il 1830, uno scrittore anonimo (perché aveva capito l’andazzo e forse teneva anche famiglia) fece diffondere un libricino (perché di certo teneva una coscienza) intitolato “Adulterazione mortale e avvelenamento lento; malattia e morte nella pentola e nella bottiglia”. Nella prefazione l’autore si definiva “nemico della frode e della furfanteria” e dedicò il suo scritto al Duca di Wellington (geniale! Ma inutile) chiedendogli di prendere provvedimenti per proteggere la popolazione dalla dilagante “adulterazione che avvelena il sangue e uccide la vita”.

Come andò a finire? Copia e Incolla. Non potendo discreditare direttamente il suo autore, la rivista scientifica The Lancet, nata da pochi anni, bollò il testo come una sorta di libretto umoristico ed il suo anonimo autore come un soggetto semi-pazzo. E il popolo? Che nel frattempo continuava ad ammalarsi e a morire precocemente? Impaurito da tanta potente furbizia (e crudeltà) di pochi è rimasto (come purtroppo succede ancora) nel proprio sovraffollato “fessaio”, a cercare giustizia nella macabra (o masochistica) arte della satira. Così, nel 1855, il settimanale popolare Punch, durante i lavori dell’ennesima e inconcludente Commissione d’Inchiesta Parlamentare sulle frodi alimentari, pubblicava un vignetta dove si vede una bambina che entra in negozio e dice “La mamma la prega di darmi un etto di the della migliore qualità per uccidere i topi e un mezzo etto di cioccolata per sterminare gli scarafaggi”.

Per fortuna ai nostri giorni qualcosa è cambiato!

Non è più permesso ai bambini di andare da soli a fare la spesa!

Ma di mangiare cibi adulterati, sì! Vergogna!

È il 2018. La Rete Europea per le Frodi Alimentari (EU Food Fraud Network) rende pubblica la seguente grande scoperta: “L’aumento e l’attuale diffusione della frode alimentare è causata dalla complessità delle nostre catene di approvvigionamento alimentare globalizzate e dalla motivazione economica a fornire prodotti alimentari sempre più economici”.

Pazienza, dove non arriveremo noi, arriverà la Natura a mettere le cose al loro posto. Certamente, quando sarà, sarà molto dura per tutti (ultra-medio-poco ricchi compresi). Nel frattempo, non fidiamoci più delle belle parole (o delle tanto belle immagini) e impariamo a leggere le etichette e a pretenderne di sempre più trasparenti e, di conseguenza, a boicottare chi non ci dice nulla di cosa e come lo fa.

Grazie coraggioso Friedrich! R.I.P.

E grazie a tutti gli uomini e le donne che continuano a cercare la verità… anche tra gli ingredienti.

* Libera interpretazione della frase “Il capitalismo? Libera volpe in libero pollaio.” Ernesto Che Guevara (1928-1967)

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