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432 NO alla Brexit contro 202 SI’

Il rifiuto dell’accordo del governo May con l’UE è più ampio del previsto

Quel che si prevedeva è accaduto. La Camera dei Comuni ha respinto l’accordo del governo con l’UE per l’uscita del Regno Unito dall’Europa. Quel che non si prevedeva, invece, è stata la dimensione del NO: 432 pareri contrari contro soltanto 202 a favore. Il che vuol dire che la crisi in seno al parlamento, ed in particolare in seno al partito conservatore, è molto più ampia di quel che si temeva. Una larga fetta di deputati conservatori ha votato contro il proprio governo, dando man forte all’opposizione laburista, che non ha mai dichiarato che Brexit vuole. Il partito di Corbyn vuole innanzitutto le dimissioni della May. Per il resto si vedrà! Il che sta a dimostrare che anche tra i laburisti ci sono opinioni contrarie e divergenti. Alcuni vorrebbero un secondo referendum, nella speranza che stavolta la Brexit sia respinta, ma Corbyn non è dello stesso parere. La volontà dei deputati comunque è stata chiara: No a questa Brexit negoziata dalla May nel corso di 18 mesi. Quale Brexit, allora? Quella senza accordo, con conseguenze incalcolabili per la finanza e per l’economia, tanto del RU che dell’UE? Quella con una presenza del RU nell’Unione doganale (e quindi nel mercato unico) a tempo indeterminato? Sarebbe salvaguardata in questo modo la libera circolazione delle merci alla frontiera dell’Irlanda del Nord con la repubblica irlandese, come vorrebbe il partito nord-irlandese che sostiene la May al governo. Sarebbe la Brexit del cosiddetto Piano B, vale a dire con modifiche all’accordo attuale per chiedere ulteriori rassicurazioni sulla dichiarazione politica facente parte dell’accordo attuale che riguarderebbero il “backstop” con il RU dentro l’Unione doganale. Una Soft Brexit con una proroga della sua entrata in vigore per permettere un negoziato finalizzato a non prevedere la piena permanenza nel mercato unico, ma una forma di accordo di libero scambio simile a quello che l’UE ha negoziato recentemente con il Canada. Le ipotesi sono molte, ma probabilmente non esiste per ora nessuna maggioranza a favore di esse.  E’ indubbio che il ritorno dei dazi doganali e l’entrata in funzione delle dogane impensierisce molti produttori. Essere tagliati fuori dal grande mercato unico fa temere una diminuzione dei traffici commerciali, con conseguenze negative nel settore della produzione e dei trasporti. Quale soluzione scegliere, allora? L’incertezza è sovrana e i rischi del peggio non sono solo minacce verbali. Molti si chiedono, anche a livello internazionale, che cosa farà la May? Rimarrà in carica o darà le dimissioni per favorire un’uscita dalla crisi? Conoscendo il suo carattere e la sua tempra di combattente, i suoi amici affermano che non abbandonerà il governo, tanto più che non esiste al momento attuale una ipotesi alternativa dichiarata. La frammentazione delle forze politiche, unita a quella della Scozia che non vuole la Brexit, non permette al momento di imbarcarsi per un approdo sicuro. Ricostituire l’unità dei conservatori e pretendere una visione unitaria dei Laburisti sembrano ipotesi lontane dalla realtà. Siamo portati a credere, come abbiamo affermato in altre occasioni, che la Brexit, più che un problema per l’Europa, sia soprattutto un problema interno inglese. Un sovranismo mal posto, un populismo un po’ retorico, un nazionalismo fuori tempo sono tutti elementi che non possono essere ricomposti con la necessità dello stare insieme e con una geopolitica razionale. La Brexit è anche un problema di cultura ed è difficile, per il pragmatismo anglosassone, rendersene conto. Occorre tempo. Ma nel frattempo bisogna riuscire a far andar d’accordo le frontiere con la libera circolazione e le relazioni commerciali con la libertà di scambio. Le sfide che nel mondo globale attendono gli europei, inglesi compresi, non aspettano certamente le sottigliezze dei politicanti di professione. Il mondo va avanti e l’Europa, Regno Unito compreso, non può  permettersi di fermarsi davanti al no dei deputati laburisti, unito a quello dei deputati conservatori che rifiutano la leadership del loro Primo ministro. La posta in gioco è troppo alta perché si rinunci a quel senso di responsabilità richiesto dalla gravità della situazione. Anche l’Italia avrebbe una lezione da tirare dalla realtà britannica. Chiacchere a vanvera sull’Europa e sulla sua moneta unica non favoriscono comprensione e solidarietà, due elementi indispensabili per lo stare insieme senza traumi. Così come non portano a soluzioni condivise i sovranismi populisti. Una Brexit mal riuscita avrebbe conseguenze incalcolabili anche per l’Italia.

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