Avremmo preferito commemorare e ricordare questo 68esimo anniversario della dichiarazione di Robert Schuman sul futuro dell’Europa in un altro contesto, diverso da quello attuale, caratterizzato da un lato dalla stasi politica dell’Unione europea e dall’altro, dalla crisi della politica italiana e dei suoi partiti.
L’avvio del processo d’integrazione europea, iniziato il 9 maggio 1950 con la dichiarazione sopramenzionata, ha portato a risultati eccellenti e non a caso, ai sei Stati fondatori, si sono aggiunti nel tempo altri 22 Stati, formando quella che è oggi l’Unione europea. E’ vero che uno di essi, il Regno Unito, ha deciso di uscirne, pur chiedendo di rimanere – ma non sarà possibile – nell’unione doganale. Ma è altrettanto vero che i rimanenti 27 Stati desiderano rimanere e – sia pure con divergenze su alcuni grandi temi come l’immigrazione o la sovranità condivisa – lavorano insieme per la realizzazione dei trattati. Non si può tuttavia misconoscere che i germi del rallentamento del processo d’integrazione datano dall’entrata in vigore del trattato di Maastricht e dalla decisione di espellere dal preambolo del progetto di costituzione europea predisposto dalla Convenzione europea (dal 28 febbraio 2002 al 19 luglio 2003) ogni riferimento alle radici cristiane che l’hanno permeata per secoli. Con Maastricht si è passati dalle Comunità europee all’Unione europea, ma nello stesso tempo si è privilegiato il carattere intergovernativo delle decisioni e dei rapporti, rispetto al carattere comunitario che aveva invece caratterizzato le Comunità europee. Il rifiuto del riconoscimento delle radici cristiane inoltre, ha rappresentato lo spartiacque tra una visione tradizionale alimentata da un retaggio culturale comune e una prospettiva esclusivamente laica, per non dire nichilista. Tagliare le radici ha significato simbolicamente cancellare un futuro certo, espressione del passato, con un avvenire incerto e tutto da inventare. Non riconoscere più i tradizionali valori comuni equivaleva ad affrontare l’incertezza per inventarne altri di nuovi, significava involontariamente abbandonare una visione comunitaria per abbracciarne una senza riferimenti metafisici, quella economica e bancaria, soprattutto, a scapito di quella politica. L’Unione europea si trova in questo stallo da qualche anno, con una diminuzione del suo peso sullo scacchiere internazionale e con una voce più debole nel concerto mondializzato della globalizzazione. Quello di oggi è un anniversario che cade in questo contesto di crisi. Con l’avvento al potere in Francia di Emmanuel Macron si era sperato che le sue idee in ordine allo sviluppo dell’Europa potessero contribuire a far uscire l’UE da questo stallo. Ma l’indebolimento della cancelliera tedesca Merkel, costretta a mediare rigorosamente con i socialdemocratici dell’SPD, non permette un’intesa rapida, costruttiva ed efficace con il presidente francese. I problemi vengono rimandati, ma il mondo cammina ugualmente, anche senza l’accordo con l’Europa, come lo dimostra l’uscita degli Stati Uniti dal trattato nucleare con l’Iran, tenacemente voluto dall’UE ed accettato in seguito anche da Obama.
Ma questa 68esima ricorrenza cade anche nel pieno della crisi della politica italiana, incapace fino ad ora di darsi una maggioranza di governo a distanza di 65 giorni dalle elezioni. La crisi italiana, tra l’altro, coincide con la crescita di forze politiche che non credono nell’Europa, che addirittura vorrebbero uscire dall’euro e che propongono, senza cognizione di causa, la revisione di tutti i trattati europei. Propositi incredibili, se non fossero veri! Vorremmo che fossero soltanto retorica, ma temiamo che siano il frutto di una non conoscenza della storia europea, delle sue istituzioni e dei grandi progressi che i nostri Paesi hanno compiuto con le Comunità europee prima e con l’UE dopo. La crisi c’è ed è altrettanto vera, ma un conto è adoperarsi perché essa venga superata e un altro, invece, è il suo azzeramento facendo tabula rasa di quanto esiste. Disinformazione, mediocrità e illusioni ci sembrano caratterizzare una larga fetta della classe politica per quanto attiene all’analisi sulla crisi dell’Europa. La lettura della dichiarazione di Schuman e del suo volume “Pour l’Europe”, ora reperibile anche in Italiano tramite l’editrice Ave di Roma, fornirebbe molti spunti di riflessione, ancora attuali oggi a distanza di decenni dalla loro formulazione e permetterebbe a chi deve interessarsi dell’Europa di capire meglio le ragioni razionali e storiche dello stare insieme e i valori che distinguono gli europei dagli altri popoli del mondo. Capire queste ragioni renderebbe palesi le contraddizioni di diversi politici nostrani e l’incongruenza delle loro chiacchiere sull’avvenire dell’Italia senza l’Europa. Schuman è ancora attuale e ci mostra ancora oggi l’opportunità che il nostro futuro sia costruito insieme agli altri popoli del continente. Da soli non andremmo lontano. Insieme, potremmo avere nel mondo quel peso che la nostra tradizione, i nostri valori e il nostro lavoro meritano.