Europa

L’Europa si nasconde e l’Italia vorrebbe uscire

Talvolta sembra non esserci e tal altra sembra non voler apparire. Succede quando i 27 Paesi membri dell’UE non si trovano d’accordo, oppure quando Germania e Francia hanno opinioni diverse su un problema considerato importante per l’avvenire dell’Europa e per la soluzione di problemi contingenti che toccano da vicino i loro interessi. Ma l’Europa c’è, anche quando Olanda e Germania marciano per conto loro in seno al Consiglio europeo, come è successo la settimana scorsa, nell’opporsi alle richieste dell’Italia e di altri Paesi mediterranei per definire le iniziative da intraprendere a tutela e a difesa dell’economia europea, disastrata dalla presenza nefasta del coronavirus e dalle iniziative intraprese dai governi per combatterlo e contenerlo. L’Europa c’è, tant’è vero che alcuni governi hanno espresso giudizi molto negativi sull’atteggiamento del primo ministro olandese e sulle sue dichiarazioni offensive ed inopportune nei confronti dei paesi del Mediterraneo. Qualche voce si è alzata anche dalle istituzioni europee e il primo ministro Mark Rutte si è sentito in dovere di fare qualche precisazione che attutiva l’asprezza dei suoi insulti e l’arroganza delle sue discriminanti opinioni. C’è l’Europa, ma non si manifesta. E’ come intimidita dalle responsabilità che si deve prendere sulle spalle e dalle scelte difficili, ma importanti, che deve decidere. Diciamo anche dagli interessi che deve necessariamente toccare, soprattutto quelli dei grandi Paesi. E’ un’Europa che si nasconde, che forse non è ancora in grado di dire quello che vuole e dove vuole in definitiva arrivare. Un’Europa ancora debole, certamente, ma consapevole che se non si manifesta del tutto c’è il rischio della sua dissoluzione. E’ un’Europa frantumata, retta da una cultura decadente che ha rinunciato alla ricerca della verità e si è accontentata di un relativismo persistente e negativo, considerato come una dittatura da Papa Ratzinger. Ho davanti agli occhi la figura di un uomo in bianco che il 27 marzo, un venerdì di quaresima, nella solitudine desolata di piazza san Pietro vuota e sotto la pioggia battente, sale lentamente, tutto solo, leggermente claudicante, la scala non impervia che porta alla porta centrale della basilica di san Pietro. E’ una solitudine parlante, commovente, immagine di quella chiesa che vuole parlare al mondo, ma che il mondo e l’Europa respingono. Quella figura bianca e sola sembrava portare su di sé tutta la tristezza del creato, tutte le mancanze dell’umanità che non risponde più ai disegni di Dio e vive in un vuoto di ideali che lo allontana dalla verità, la sola che valga la pena di essere perseguita e conosciuta. La cultura imperante è agnostica, quando non è pervicacemente contraria. La politica non riconosce il valore del sacro e lo nega. Le sue istituzioni negano addirittura le testimonianze della storia e dell’arte e non riconoscono che l’Europa affondi la sue radici nei valori del cristianesimo. Che cosa ha permesso  questa aberrazione che cancella secoli di civiltà? Quali nuovi valori intravvede la politica per affrancarci da una verità storica incontrovertibile? Che cosa animava Giscard d’Estaing ed i deputati che hanno votato come lui quando hanno respinto in seno alla Convenzione europea che doveva redigere il progetto di un nuovo trattato, l’accenno alla radici cristiane dell’Europa? Convinta contrarietà al cristianesimo? Obbedienza alla massoneria? Incomprensione del fenomeno? Leggerezza di comportamento, senza immaginare le conseguenze che ne sarebbero derivate? Si nota ora come la cosiddetta civiltà occidentale, da allora, abbia raggiunto i minimi livelli ed è opinione quasi comune che ciò dipende anche dal fatto d’aver negato ed abbandonato i valori cristiani. Li ha rappresentati e portati su di sé quella bianca figura che saliva in solitudine e sotto la pioggia verso la basilica vuota, una basilica vuota splendida, ammaliante, fascinosa e incantevole. Bellissima! E il vuoto era l’emblema di un popolo rinunciatario e smarrito, incapace di affiancarsi al suo pastore solitario e d’accompagnarlo verso la verità e la ricerca della misericordia. Siamo uno strano popolo noi italiani: accettiamo e sosteniamo per vent’anni una dittatura e la sua guerra d’Abissinia; rinunciamo volontariamente, alla domanda del duce, all’oro che ricorda la nostra nozze, entriamo con fanatismo nella seconda guerra mondiale, ne usciamo distrutti nelle cose e nell’animo dopo l’8 settembre del 1943 ed il 25 aprile del 1945, e nel 1948, in un sussulto di dignità, condanniamo con il voto il fronte popolare staliniano socialcomunista e ci affidiamo alla Democrazia Cristiana, una nuova forza politica  erede del partito popolare  italiano di don  Luigi Sturzo, prete siciliano di Caltagirone, che nel giro di quindici anni porta l’Italia, insieme ai suoi alleati laici dei partiti repubblicano, liberale e socialdemocratico di Saragat, al cosiddetto “miracolo economico”, che è consistito nel trasformare l’Italia da paese povero ed agricolo a sesta potenza industriale e manifatturiera. Un risultato inimmaginabile ma raggiunto, con proposte teoriche e pratiche presentate da uomini retti e all’altezza del compito, come De Gasperi e Ezio Vanoni, valtellinese di Morbegno, primo di quattro figli di una famiglia agiata. Fu il suo programma a dare slancio alle riforme e allo sviluppo, in ciò favorito dal fatto che l’Italia, con la Francia di Robert Schuman e la Germania di Conrad Adenauer, insieme ai tre Paesi del Benelux, avevano fondato le tre Comunità Europee. Fu un periodo splendido quello della fine degli anni cinquanta e di tutti gli anni sessanta, con una progressione di sviluppo economico continua e con la trasformazione dei rapporti all’interno del Paese che si toccava con mano. Certo, non mancarono anche episodi negativi come il trasferimento  di larghe fasce di popolazione dal Sud al Nord d’Italia, ma questo fu il prezzo da pagare per il raggiungimento della  modernità, perché così era considerato il passaggio dalla  vecchia società contadina a quella nuova industriale. Tutto questo periodo di passaggio fu però astiosamente e ferocemente contrastato dal partito comunista e dai sindacati a lui facenti capo. Larga parte dei media, influenzati dalla teoria gramsciana dell’egemonia culturale, non accompagnò lo sviluppo raccontandone i benefici, ma criticò in continuazione quel che stava succedendo, vedendone soltanto i lati oscuri e mai quelli positivi e benefici per l’intero popolo italiano, comunisti e sindacati rossi compresi. Questa prima repubblica, che raggiunse quegli straordinari obiettivi, fu distrutta definitivamente dalla magistratura politicamente organizzata, che disintegrò i cinque partiti democratici con l’accusa di corruzione e salvò soltanto il partito comunista, che la corruzione l’aveva inventata con gli affari legalmente e moralmente illeciti instaurati con i paesi dell’Est europeo dominato dal bolscevismo russo. L’Italia è ancora in balia di quella scomparsa e la politica è ancora orba di una leadership autorevole e prestigiosa. Ne stiamo pagando le conseguenze, con una classe politica che non si sa da dove è sbucata e perché, ma che si vede che non è preparata a governare e non ha nessuna esperienza di potere. Ne parleremo un’altra volta, ma non rinunciamo ad affermare che questo popolo italiano è pronto a tutto, al bianco e al nero, al rosso e al giallo, purché non gli si chieda di essere serio e conseguente.

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