Europa

L’Ue dà altri due anni di tempo alle banche per la stretta di Basilea 3

Prima la ripresa economica, poi Basilea 3. Il pacchetto per attuare la stretta sui requisiti globali di capitale, liquidità e leva finanziaria delle banche è pronto, ma la data da segnare sul calendario è l’1 gennaio 2025. E non più l’1 gennaio 2023. Le banche e le autorità di vigilanza hanno bisogno di “ulteriore tempo per concentrarsi sulla gestione dei rischi finanziari derivanti dal Covid e sul finanziamento della ripresa”, si è giustificata Bruxelles, stretta tra le pressioni delle maggiori banche centrali europee (con alcune assenti illustri come Francia e Danimarca) e delle autorità di vigilanza, che nei giorni scorsi erano tornate a chiedere l’implementazione coerente e puntuale degli standard concordati nel 2017.

Con il suo piano Bruxelles punta a far sì che i modelli interni utilizzati dalle banche per calcolare i propri requisiti patrimoniali non sottovalutino i rischi, garantendo che il capitale necessario a coprirli sia sufficiente. Questo renderà anche più facile confrontare i coefficienti patrimoniali basati sul rischio tra le banche. Il tutto, assicura la Ue, per rafforzare “la resilienza” del settore senza però “comportare aumenti significativi dei requisiti patrimoniali” per gli istituti. A spiegare il valore di questo incremento ci ha pensato il vicepresidente Ue Valdis Dombrovskis in prima persona: con il pieno recepimento di Basilea 3 allo scoccare del 2025, i requisiti patrimoniali delle banche europee aumenteranno in media tra il 3 e il 5% nei primi tempi, fino ad arrivare all’8-9% alla fine del periodo di transizione, nel 2030.

Cifre che, seppur mitigate dal rinvio della stretta e dalle rassicurazioni di palazzo Berlaymont, non sembrano accendere gli entusiasmi del settore. Dall’Italia, l’Abi ha fatto sapere che è pronta a compiere “una attenta valutazione, anche sotto il profilo della quantificazione degli impatti sia in termini di incremento dei requisiti patrimoniali sia sull’offerta di credito e sull’economia europea in generale” delle decisioni Ue. Anche la Federazione bancaria europea chiede “soluzioni permanenti per mantenere i ratios di capitali attuali delle banche senza ridurre la loro capacità di finanziare la ripresa”, appoggiata anche da Business Europe, la Confindustria europea, che tiene il punto sulla necessità di evitare “aumenti di capitale non necessari per il settore bancario Ue”. Più positivo, ma con riserva, il giudizio di Federcasse che riunisce le Bcc italiane. Il rinvio è “valutato con favore” ma “sono necessari una modalità e un approccio di recepimento degli Accordi finali di Basilea 3+ che non ripetano gli schemi adottati (one size fits all) in occasione del recepimento di Basilea 2 e Basilea 3. Occorre, per questo, consolidare ed accentuare le prime scelte effettuate dal legislatore europeo nel 2019 nella direzione della proporzionalità e dell’adeguatezza strutturali”.

A tenere banco resta su tutti l’approccio sul controverso ‘output floor’, che richiede alle banche che scelgono di utilizzare i loro modelli interni per stimare il rischio degli attivi di non scendere sotto il 72,5% rispetto a quanto calcolato dai modelli standardizzati. Un sistema che, adottato così, si applicherebbe a tutti i requisiti, in specifico quelli europei. Mentre c’è chi, come le casse di risparmio Ue, chiede di applicarlo limitatamente ai requisiti patrimoniali internazionali.

Bruxelles ha voluto anche puntare sul “rafforzamento della resilienza” delle banche ai rischi ambientali, sociali e di governance (Esg) prevendendo “stress test periodici sui rischi climatici”. Sono poi stati introdotti elementi di flessibilità, apprezzati dal settore e dall’industria, come la scelta di tenere conto del ruolo economico significativo delle Pmi, la maggior parte delle quali è sprovvista di rating. E, per scongiurare un altro scandalo come Wirecard, saranno messi a disposizione delle autorità di vigilanza “strumenti più forti” anche per supervisionare i gruppi fintech.

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