
Congo e Ruanda siglano la pace, ma sull’accordo non c’è la firma delle milizia M23
Il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, la sottosegretaria per gli Affari politici, Allison Hooker, e il consigliere senior Massad Boulos hanno ospitato, il 27 giugno a Washington, la firma ministeriale dell’accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda. La ministra degli Esteri Therese Kayikwamba Wagner ha firmato per conto della parte congolese e il ministro degli Esteri Olivier Nduhungirehe per la parte ruandese, con Rubio in qualità di testimone. Lo riferisce un comunicato del dipartimento di Stato statunitense, aggiungendo che alla cerimonia erano presenti anche il presidente dell’Unione africana, Mahmoud Ali Youssouf, il ministro degli Esteri del Togo, Robert Dussey, per conto dell’Ua, e il ministro di Stato del Qatar, Mohammed bin Abdulaziz al Khulaifi, in qualità di osservatori.
L’accordo è entrato in vigore al momento della firma e gli Stati Uniti ribadiscono il loro impegno a sostenerne la piena e tempestiva attuazione, in stretto coordinamento con l’Unione africana, il Qatar e il Togo. “Nelle prossime settimane ci auguriamo di ospitare un vertice dei capi di Stato alla Casa Bianca per promuovere ulteriormente la pace, la stabilità e la prosperità economica reciproca”, si legge nella nota. La firma “segna una pietra miliare storica nel perseguimento della pace e della prosperità per la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda e, più in generale, la regione africana dei Grandi Laghi”, sottolinea il dipartimento di Stato, ricordando che l’accordo è il frutto di mesi di negoziati, guidati dal consigliere Boulos.
L’accordo presenta tuttavia alcuni problemi. Anzitutto, ufficialmente Repubblica Democratica del Congo e Ruanda non erano in guerra: il Ruanda è accusato di aver inviato i propri militari in Congo a sostegno dell’M23, un gruppo paramilitare che combatte contro l’esercito regolare congolese e che da gennaio controlla varie zone nell’est del paese. Il presidente ruandese Paul Kagame però ha sempre negato sia di aver inviato l’esercito in Congo, sia di appoggiare l’M23 in altri modi (per esempio finanziariamente o con addestramenti).
L’altro problema riguarda il fatto che l’M23 non ha partecipato ai negoziati che hanno portato all’accordo (sebbene abbia partecipato ad altre trattative). Di fatto quindi la parte sul disarmo e sull’integrazione nell’esercito regolare, che lo riguarda direttamente, non è stata approvata dal gruppo, che infatti ha detto: «Qualsiasi [accordo] che ci riguarda e che è fatto senza di noi, è contro di noi». Non sembra quindi che l’M23 abbia intenzione di rispettarlo, e non è chiaro se si ritirerà dalle zone occupate e cosa ne sarà dei suoi miliziani (oltretutto l’M23 nacque nel 2009 proprio da una frangia dissidente di un precedente gruppo paramilitare, contraria all’epoca al patto col governo congolese che avrebbe previsto l’integrazione nell’esercito).
Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno portato avanti anche delle trattative con il Congo per garantirsi l’accesso alle sue ingenti risorse minerarie, che sono concentrate soprattutto nelle regioni controllate dall’M23. Il Ruanda è accusato di sfruttarle in modo illecito, ossia usando i legami con l’M23 per importare illegalmente i minerali nel paese e poi esportarli in tutto il mondo. Non si sa cosa stiano concordando gli Stati Uniti, ma un eventuale ritiro dell’M23 dalla zona potrebbe facilitare l’accesso statunitense a queste risorse.