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Ernst & Young rileva un aumento di investimenti diretti in Italia nel 2020

Cresce l’attrattività dell’Italia, nonostante la pandemia. Nel 2020 il numero dei progetti degli investimenti diretti esteri (Ide) è cresciuto del 5% rispetto al 2019, mentre un manager internazionale su due (48%) si dice pronto a espandere le proprie attività nel nostro Paese. Marco Travaglio potrebbe scrivere un istant book per dire che Giuseppi era meglio di Draghi, ma tralasciando le facezie si tratta di 5 punti percentuali che equivalgono a 113 nuovi progetti in programma, dato in controtendenza a fronte di un calo complessivo del 13% a livello europeo.

È quanto rilevato dall’EY Europe Attractiveness Survey, studio condotto su oltre 550 intervistati a livello globale, che analizza l’andamento degli investimenti esteri in Europa. Nonostante l’Italia sia tra i pochi Stati del continente ad aver registrato una crescita, la limitata la quota di mercato, pari al 2% degli investimenti diretti totali in Europa, la colloca solo al 12esimo posto nella graduatoria europea. Ad attrarre di più il settore dei servizi alle imprese, cosiddetti B2B (13%), seguito da progettazione di software e servizi IT (12%), logistica e wholesale (12%), finanza (8%) e farmaceutico (7%). Flessione invece per il settore dei macchinari e attrezzatture industriali (5%) e per quello tessile (4%).

Quanto agli obiettivi degli investitori, in testa si trova il potenziamento della forza commerciale e del marketing (22%). Seguono gli investimenti per valorizzare il know-how tecnico e imprenditoriale nazionale, soprattutto in ambito di processi di produzione (19%) e ricerca e sviluppo (15%). Quanto alla provenienza delle risorse, l’analisi colloca al primo posto gli Stati Uniti (24%), seguiti da Francia (16%), Germania (12%) e Regno Unito (9%). Più indietro invece la Cina (4%), che sopravanza di poco il Giappone (3%). A rendere poco attrattiva l’Italia invece per il 58% degli intervistati è l’incertezza a livello di regolamentazione, seguita da un eccessivo carico burocratico per il business (55%).

“Serve quindi – spiega Massimo Antonelli, amministratore delegato di Ey Italia e managing partner per l’Europa – un esercizio collettivo da parte di istituzioni, aziende, manager affinché questo segnale di vantaggio competitivo sia stimolo alla crescita e possa diventare strutturale”.

Per dare una spinta alla competitività, secondo il rapporto, occorrono il taglio delle tasse (29%), il supporto alle Pmi (28%) la riduzione del costo del lavoro (28%). “Una porzione rilevante di nuovi flussi d’investimento punta all’Italia per il proprio know-how tecnico e per la qualità del capitale umano”, spiega il mediterranean leader per l’area strategy and transactions di EY, Marco Daviddi. “Occorre lavorare su questi aspetti per valorizzare le eccellenze del nostro Paese”.

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