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I figli di Khassoggi salvano i killer del padre dalla pena capitale

Il gesto di clemenza è arrivato in una delle ultime notti di Ramadan, come suggerisce la tradizione islamica. “Noi, figli del martire Jamal Khashoggi, annunciamo di voler perdonare coloro che hanno ucciso nostro padre”. Poche parole che hanno il peso di una pietra tombale sulle speranze di chi chiedeva giustizia per la brutale uccisione del reporter saudita, il 2 ottobre 2018 nel consolato di Riad a Istanbul. Con il perdono annunciato su Twitter dal figlio maggiore Salah, per i killer dell’editorialista del Washington Post, i cui resti non sono mai stati ritrovati, si apriranno le porte della commutazione della pena e, in futuro, magari anche quelle del carcere.

Secondo i media di Riad, con il “perdono” dei familiari della vittima dovrebbe infatti essere commutata in una pena minore la condanna a morte inflitta a cinque imputati da un tribunale del Regno. Incerto resta il destino degli altri tre condannati a 24 anni complessivi di carcere, mentre i sospetti mandanti l’avevano già fatta franca dopo che a dicembre i giudici sauditi avevano tolto l’aggravante della premeditazione, scagionando i due fedelissimi del principe ereditario Mohammed bin Salman, l’ex braccio destro della comunicazione, Saud al-Qahtani, e l’ex numero due dei servizi segreti, il generale Ahmed al-Assiri.

Ma l’annuncio di Salah Khashoggi si accompagna a forti sospetti di un accordo con la casa dei Saud, che secondo il Washington Post avrebbe lautamente ricompensato lui e gli altri figli del giornalista con proprietà immobiliari del valore di milioni di dollari e ingenti somme di denaro. Accuse che i familiari hanno sempre negato. In ogni caso, è un esito che permette a Mbs – come viene chiamato il principe – di archiviare almeno sul piano giudiziario una drammatica vicenda che ne ha macchiato l’immagine di aspirante sovrano riformatore, specie dopo che i rapporti della Cia e degli esperti Onu avevano escluso che potesse non sapere dell’operazione di Istanbul.

Dal resto del mondo continuano a levarsi voci indignate. A partire dalla fidanzata della vittima, l’ultima a vederlo in vita fuori dalla sede diplomatica. “Nessuno ha il diritto di perdonare gli assassini. Jamal Khashoggi – ha scritto su Twitter Hatice Cengiz – è diventato un simbolo internazionale più grande di tutti noi, ammirato e amato. Jamal è stato ucciso all’interno del consolato del suo Paese mentre prendeva dei documenti per il nostro matrimonio. L’imboscata e il suo efferato omicidio non vanno in prescrizione. Io e altri non ci fermeremo finché non avremo giustizia per Jamal”. Dura la reazione anche della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, Agnes Callamard, che dopo aver indagato per mesi sulla vicenda ha parlato di “prove credibili” di un coinvolgimento di Mbs. Secondo l’esperta dell’Onu, che non parla però a nome del Palazzo di Vetro, è un annuncio “scioccante”, anche se “atteso”, che rappresenta un nuovo atto della “parodia della giustizia saudita”.

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