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Il caporalato coinvolge 180mila lavoratori nei campi

Sono 180 mila i lavoratori “vulnerabili” in agricoltura a rischio sfruttamento e caporalato, concentrati non più solamente al Sud ma in tutta Italia. E’ quanto emerge dal V Rapporto Agromafie dell’Osservatorio Placido Rizzotto/Flai Cgil che, con nuovi parametri rispetto alle passate edizioni, fotografa lo sfruttamento lavorativo degli ultimi due anni nel settore agroalimentare. “I fenomeni di sfruttamento, lavoro sommerso e caporalato non sono più appannaggio esclusivo delle regioni del Mezzogiorno”, ha detto il segretario generale del sindacato, Giovanni Mininni. Sui 260 procedimenti penali riguardanti tutti i settori, 163 riguardano l’agricoltura e 143 non il Sud Italia. Veneto e Lombardia sono le Regioni che seguono più procedimenti, come anche Emilia-Romagna, Lazio e Toscana.

“Il caporalato è mafia ed esiste anche al Nord”, ha detto la ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, nel suo intervento, secondo la quale questa battaglia deve riguardare tutti i settori economici, “cosa che io avrei già voluto fare con la norma sulla regolarizzazione che ha interessato solamente agricoltura e lavoro domestico, perché c’è tanto lavoro nero e tanto caporalato anche nell’edilizia, nella ristorazione e nella logistica”. E proprio per combattere il caporalato la ministra ha annunciato il Calendario delle colture, un vero e proprio Osservatorio del fabbisogno agricolo con uno stanziamento di 150 mila euro per il triennio 2020-2022 attraverso il riparto dei fondi del Mipaaf.  A lanciare la proposta di tornare al collocamento pubblico è il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. “Se vogliamo ricostruire una questione di domanda e offerta precisa – ha detto il sindacalista – serve tornare alla costruzione di un collocamento pubblico facendo gli investimenti necessari; per combattere le mafie, uno degli elementi di fondo è proprio ricostruire una credibilità nelle istituzioni pubbliche e nel funzionamento pubblico”.

Il Rapporto, infine, mette a fuoco il nodo della catena del valore che caratterizza il settore agro-alimentare, individuando in 12 euro l’ora il salario minimo per soddisfare il giusto reddito del datore di lavoro e allo stesso tempo non penalizzare e sfruttare il lavoro delle maestranze occupate. Si tratta di una cifra per le attività di raccolta e non per le più professionalizzate, che dovrebbe permettere di ridurre lo sfruttamento che si concentra nelle prime fasi della filiera, dove l’impiego dei caporali trova la sua massima e ampiamente distorsiva funzionalità.

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