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Il Covid provocherà solo una lieve fuga di capitali dalle imprese in Italia

Tra le conseguenze economiche della pandemia da Covid 19 non c’è un grande timore di deflusso dei capitali dall’Italia. A non temere una caduta di appeal del Paese come destinazione degli investimenti esteri, pur prevedendo un moderato deflusso nel breve-medio termine, è il 50% della comunità finanziaria. Fatto è che l’attrattività del Paese per gli investitori, pur cresciuta rispetto al 2019 (+3,5%), resta sotto la sufficienza (44,4 in una scala da 0 a 100), secondo l’Aibe-Index, indice sintetico che misura l’attrattività del sistema-Italia da un punto di vista di investimenti esteri. A dirlo è la seconda rilevazione 2020 realizzata dall’Aibe (Associazione italiana banche estere) con la collaborazione del Censis, per sondare l’opinione sulla situazione economica e di fiducia nel Paese col virus, condotta dal 1 al 15 novembre in un panel internazionale di società finanziarie, fondi di investimento, imprese multinazionali. Quanto al flusso di capitali, per il 23,2% degli interpellati ci si potrebbe all’opposto aspettare un moderato afflusso, soprattutto verso i settori produttivi che hanno registrato una forte domanda interna proprio in conseguenza al coronavirus, come il farmaceutico, gli apparecchi medicali, la distribuzione alimentare. Meno probabile l’opzione di un forte deflusso collegato alle incertezze della domanda globale (17,9%) e quella associata alla leva delle risorse dell’Unione europea, rese disponibili per contrastare l’impatto economico e rilanciare il Paese (8,9%).

L’Italia resta però indietro quanto ad attrattività, soprattutto per il carico fiscale (indice di attrattività di 4,32 su 10), i tempi della giustizia civile (4,19 su 10), il carico normativo e burocratico (3,58 su 10), il livello di corruzione del sistema (4,68 su 10) e la certezza del quadro normativo (4,71 su 10). Priorità d’intervento indicate dunque nel carico fiscale (56,1% delle risposte), nel carico normativo e burocratico (56,1%), nei tempi della giustizia civile (29,8%). Quanto ai decreti messi in campo dal governo, viene ritenuto (37,3%) che provvedimenti come il blocco dei licenziamenti e la proroga delle misure di integrazione del reddito dei lavoratori abbiano solo ritardato gli effetti inevitabili della crisi economica e produttiva. Oltre un quinto delle risposte segnala inoltre l’effetto di dispersione delle risorse secondo una logica di puro trasferimento monetario, mentre il 16,9% riconosce al governo e ai suoi provvedimenti un effetto positivo ottenuto contro i rischi di tensione sociale. Il 23,7% evidenzia l’importanza dei provvedimenti finalizzati a scongiurare la chiusura delle imprese a causa della crisi di liquidità.

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