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La pandemia riduce i lavoratori e i contributi e aumenta il disavanzo della previdenza

Aumentano i pensionati, anche grazie alle uscite anticipate, diminuiscono gli occupati, soprattutto a causa della pandemia e aumenta il disavanzo previdenziale, ovvero la differenza per la spesa per la previdenza e le entrate contributive al netto dei trasferimenti dello Stato. Nel 2020 – secondo l’ultimo Rapporto Itinerari previdenziali – il disavanzo è arrivato a 33 miliardi dai 20,8 del 2019 soprattutto a causa del calo dei contributi passati da 209 a 200 miliardi mentre la spesa previdenziale passa, secondo le stime, da 230,2 a 233 miliardi. I pensionati crescono di 100.000 unità arrivando a toccare quota 16,135 milioni anche grazie alle uscite con Quota 100 pari a 267.000 unità in due anni, un dato comunque molto inferiore rispetto alle previsioni (quasi un milione nel triennio previsto per la misura).

Nonostante il blocco dei licenziamenti la riduzione del lavoro autonomo e dei contratti a termine legata alle chiusure e alla crisi economica dovute alla pandemia da Covid 19 ha riguardato, secondo il Rapporto, 700.000 persone. Se nel 2019 gli occupati erano 23,376 milioni, l’anno scorso erano, secondo le stime, 22,640 milioni mentre per quest’anno si ipotizza una ripresa che porti gli occupati a 22,8 milioni sempre che non ci siano nuove ondate del virus e si riesca a concludere il piano vaccinale.

Mentre professionisti, commercianti e dipendenti privati finanziano completamente le proprie pensioni, il disavanzo è rilevante per i dipendenti pubblici (solo il 54,2% della spesa pensionistica finanziata con le entrate contributive nel 2019) e per i coltivatori diretti (il 35,7%). Per gli artigiani il finanziamento è al 72,6% mentre per i professionisti è al 176,2%. Il Fondo clero è al 34,1% di finanziamento con i contributi. Se le previsioni di Itinerari previdenziali dovessero essere confermate il rapporto sul Pil della spesa pensionistica passerebbe dal 12,88% nel 2019 al 14,48% del 2020 per poi arrivare al 14,11% nel 2021.

Durante la presentazione del Rapporto il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, ha avanzato la proposta di introdurre dopo l’esaurimento di Quota 100 alla fine del 2021, Quota 102-103″ per l’uscita anticipata, un sistema che non sarebbe troppo penalizzante dato che già in questi anni la maggioranza delle persone è uscita con un’età superiore a 62 anni e con un numero di anni di contributi superiore a 38.

Uno dei temi principali del rapporto resta quello dell’assistenza che secondo Itinerari previdenziali è “insostenibile”. Mentre la spesa previdenziale è sotto controllo a 230,3 miliardi quella assistenziale ha superato nel 2019 i 114 miliardi con un tasso di crescita annuo dal 2008 del 4%.

“I beneficiari di prestazioni totalmente o parzialmente assistite in Italia nel 2019 – afferma Brambilla che torna a chiedere la separazione di previdenza e assistenza – erano, senza considerare le quattordicesime mensilità, 8.137.540 e, al netto delle duplicazioni relative ai soggetti contemporaneamente percettori di pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento, 7.728.678, vale a dire il 48,2% dei pensionati totali”.

“Mentre negli ultimi anni le prestazioni previdenziali sono state ridotte a mezzo di stringenti riforme che hanno colto l’obiettivo di stabilizzare la spesa (sforzo che Quota 100 e provvedimenti collegati rischiano di vanificare) – si legge nel Rapporto – quelle assistenziali continuano ad aumentare per le continue promesse politiche e per l’inefficienza della macchina organizzativa, priva di un’anagrafe centralizzata, di un monitoraggio efficace tra i diversi enti erogatori e di un adeguato sistema di controlli”. Bisognerebbe che il sistema aiuti – sottolinea il Rapporto – “chi ha davvero bisogno e non evasori o malavitosi, cui vanno spesso agevolazioni, soldi e bonus erogati a piè di lista, con una buona pace delle statistiche sulla povertà, tutt’altro che abolita nonostante l’enorme quantità di denaro elargita”.

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