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Pil cinese oltre le attese, ma c’è l’incognita Shanghai

Le misure draconiane della Cina per contenere il Covid-19, utili per la ripresa post pandemica e per tenere il virus sotto controllo negli ultimi due anni, stanno ora emergendo come la più grande minaccia alla crescita. Il campanello d’allarme è ufficialmente suonato per la leadership comunista con il Pil, salito del 4,8% annuo nei primi tre mesi del 2022 (dal 4% di fine 2021 e dal 4,4% atteso) e dell’1,3% su base congiunturale, meno dell’1,5% rivisto di ottobre-dicembre 2021 e più dello 0,6% della vigilia.

Il funzionamento dell’economia “è stato generalmente stabile”, ma i “frequenti focolai” di Covid-19 e uno “scenario internazionale sempre più grave e complesso”, nel mezzo della guerra Ucraina-Russia, hanno creato ulteriori tensioni sull’evoluzione dell’intero anno, ha ammesso nel briefing Fu Linghui, portavoce dell’Ufficio nazionale di statistica. L’economia è aumentata più rapidamente del previsto dagli analisti, ma gli ultimi dati hanno rivelato la contrazione delle vendite al dettaglio (-3,5% a marzo su -1,6% atteso, primo calo da luglio 2020, per un magro +3,3% nei primi tre mesi), pagando i blocchi anti-Covid. La produzione industriale ha avuto un rialzo del 5% (da attese del 4,5%), scontando il calo del manifatturiero e ha chiuso il trimestre a +6,5%, tenendo a malapena il passo con il Pil, trainato principalmente da investimenti ed export.

La congiuntura aumenterà la pressione sul governo centrale e sul presidente Xi Jinping che ha riaffermato il suo impegno per la politica zero-Covid malgrado i costi crescenti e i lockdown nelle città più grandi del Paese. I contagi sono saliti in tutta la Cina ad aprile e Shanghai, il principale hub finanziario, è bloccata. L’ondata Omicron è scoppiata in una fase delicata dell’economia, già provata dalla crisi del debito nel settore immobiliare (che valeva circa un terzo del Pil) e di un’ampia perdita di slancio con la stretta sul settore hi-tech e Internet.

A inizio marzo, malgrado le prevedibili ricadute internazionali dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina, il premier Li Keqiang ha annunciato un Pil per il 2022 del 5,5%, il più basso in 30 anni. I dati dei primi tre mesi non includono del tutto gli eventi di Shanghai, che a fine di marzo ha visto il lockdown più grave della Cina dall’emergenza del coronavirus di Wuhan di inizio 2020, tra pesanti polemiche per la gestione della crisi e casi di Covid – accertati e asintomatici – attualmente stabili sopra quota 20.000 al giorno.

La scorsa settimana, Nomura ha stimato che 45 città, responsabili del 40% del Pil cinese, erano in blocco completo o parziale, limitando la circolazione a 370 milioni di persone, e ha aggiunto che il Paese “è a rischio di recessione”.

Gli investimenti in immobilizzazioni sono saliti del 9,3% nei primi 3 mesi del 2022 sullo stesso periodo dello scorso annuo, oltre le stime dell’8,5%. Male la disoccupazione urbana: 5,8% dal 5,5% di febbraio, ai livelli più alti da due anni.

Intanto, il vicepremier Liu He ha sollecitato la stabilizzazione delle catene di approvvigionamento in risposta alle disfunzioni del Covid. “Dovremmo risolvere i problemi in sospeso uno per uno nelle regioni chiave”, ha detto Liu a una riunione sulla logistica. Il ministero dell’Industria e della Tecnologia ha chiarito venerdì che lavorerà con 666 aziende produttrici di semiconduttori, automobili e beni medicali a Shanghai per far ripartire le attività a regime. La produzione di circuiti integrati, ad esempio, è scesa del 4,2% nei primi 3 mesi dell’anno: è la performance trimestrale peggiore dal -8,7% di inizio 2019.

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