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Qualche risparmio con la riduzione dei parlamentari, ma la democrazia non è mera contabilità

Produrre di più, o almeno lo stesso, con meno risorse è la ricetta dell’efficienza. Nel caso della macchina pubblica l’efficientamento è difficoltoso e secondo alcuni anche controproducente in termini di democrazia, ma la riduzione dei parlamentari ha dato qualche frutto, almeno in termini di costo. A fronte di una dotazione di 943 milioni sia nel 2021 (quando non era ancora scattata la riduzione dei parlamentari) che nel 2023 (a riduzione scattata), la Camera dei Deputati ha registrato spese in lieve calo, da 1,241 a 1,234 miliardi, entrare in aumento, da 1,240 a 1,284 miliardi, e un saldo di esercizio passato da 8,4 milioni a 59 milioni.

Ne è valsa la pena? In termini di democrazia, che non è mera contabilità, il dubbio resta aperto. L’attività del Parlamento nel suo complesso, tra sedute d’aula e lavori di commissione, è rimasto sostanzialmente lo stesso, ma sempre più, come attestano le analisi della Fondazione Openpolis sui lavori parlamentari, le Camere si stanno riducendo a un ruolo notarile, di passacarte del governo più che di proposizione e propulsione dell’attività di governo. Anzitutto sotto il governo Conte, il Parlamento ha dedicato la sua attività alla conversione in legge di decreti legge emananti dall’esecutivo (è bene sottolineare che si tratta di decreti legge, non dei regolamenti amministrativi coi quali quel governo governò durante il Covid, facendo ampio ricorso ad atti che, pur determinando quanto i cittadini potevano o non potevano fare, non richiedevano di essere valutati dal Parlamento vista l’opportunità di ridurre anche le sedute parlamentari all’epoca della pandemia).

La subalternità del Parlamento al governo invero trova le sue cause in radici più profonde della riduzione del numero di rappresentanti nelle due Camere, anche se certamente meno eletti significa meno voci, e anzitutto alla sempre maggior necessità di celerità delle decisioni in ambito internazionale, nel quale sono i governi ad accordarsi tra loro perché i rispettivi Stati assumano una posizione o misure comuni di fronte alla varie problematiche globali, ma il loro accordo vale e produce effetti solo se i rispettivi Parlamenti lo approvano.

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